venerdì 30 dicembre 2011

Poche, vaghe e misere parole - di Loris Campetti, Il Manifesto


Chissà quanti italiani poveri avranno ascoltato la conferenza stampa del presidente Monti. Il 25% della nostra popolazione che vive una condizione di esclusione sociale o di povertà, ha un sacco di tempo libero da passare davanti alla tv. Disoccupati, precari, cassintegrati, in mobilità, lavoratori sommersi e al nero, costretti a vivere dentro una porta girevole, oggi lavoro e mangio, domani è un altro giorno. La fase due non esiste, ha detto Monti, era già dentro la fase uno. Diciamo che è sinergica alla fase uno. Diciamo che la crescita era nella stangata votata da una maggioranza «bulgara», ma noi non ce n’eravamo accorti.  
Cos’altro ha detto il presidente alla conferenza stampa di fine anno? A chiunque gli chiedesse del mercato del lavoro o della Libia, dell’accordo con la Svizzera o dell’evasione fiscale, la risposta era sempre la stessa: «Sto studiando il dossier», dunque «ci stiamo lavorando».
Mentre Monti ci stava lavorando, 239 operaie nuove povere, alla Omsa non ci lavorano più. Il padre-padrone Nerino Grassi ha inviato un fax ai sindacati per dire che alla fine della cassa integrazione licenzierà tutte le «maestranze». Ha fretta di trasferire la produzione da Faenza in Serbia, e visto che c’è, chiuderà anche uno stabilimento nel teramano e manderà altre 360 operaie a irrobustire le fila della nuova povertà. Viva la Serbia che offre spazi, incentivi, capannoni, detassazioni e un accordo di libero mercato, cioè senza dazi, con la Russia. Una volta i giovani italiani andavano all’est con i bagagliai imbottiti di calze di seta – valore di scambio – mentre oggi i vecchi padroni ci vanno per produrle, le calze di seta. Chissà se all’est il Nerino Grassi recupererà il vecchio Carosello: «Omsa, che gambe!». Certo non proietterà le performances artistiche e rabbiose delle operaie di Faenza che hanno fatto di tutto per difendere il lavoro. Come i loro compagni autoreclusi all’Asinara, o i ferrovieri arrampicati sui grattacieli.
Per un liberista, guai a mettere limiti alla libertà di movimento del capitale. La libertà – non pretendiamo dal bisogno ma almeno dalla povertà – di chi lavora è meno interessante. Il lavoro dev’essere flessibile, mica libero. Sarà per questo che il governo italiano non dice una parola sulla chiusura dei cantieri navali di cui è proprietario, così come il governo precedente non aveva nulla da contestare alla Fiat che chiudeva la fabbrica italiana di autobus per rafforzare quelle ceche e francesi. Per non parlare della chiusura di fabbriche di automobili. La libertà di spostamento, è il caso di ripeterlo, non vale per i lavoratori e per i cittadini ma solo per i capitali che si muovono on-line. Nessuno ha chiesto a Monti cosa pensi di tutti questi capitali coraggiosi, e se non creda che tra i compiti di un governo ci sia anche la difesa – lasciamo stare la crescita – del proprio patrimonio professionale, industriale, economico. E culturale. Se glielo chiedessimo, probabilmente, ci risponderebbe: «Ci stiamo lavorando». Ma forse, quello che abbiamo visto ieri in tv non era Monti ma Crozza.


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