venerdì 9 dicembre 2011

L'inganno della crescita - Luca Mercalli

Quando vediamo la pubblicità inneggiare a modelli di vita dove il successo si misura con quanti cavalli ha nel motore, quanto è più grande la sua automobile, quante stanze hai nella tua casa, quante case ha in più, quanti viaggi esotici riesce a fare, è un continuo stimolare la mente su oggetti e proposte di una vita al di fuori dei limiti, è proprio la pubblicità che ci dice “Trasgredisci i limiti”. Non ci sono limiti nel mondo, più compri e quindi più soldi devi avere e più potrai trasgredire questi limiti e avere una vita di successo, ma questa è una trappola mortale, non è possibile trasgredire i limiti fisici della termodinamica ambientale, delle risorse di cui disponiamo. Ogni popolazione sulla Terra ha i suoi limiti, l’uomo ha l’intelligenza, ma l’intelligenza serve per essere consapevole dei limiti, non soltanto per tentare di superarli, il superamento dei limiti è possibile in alcuni casi e per limitati brevi periodi, non è possibile all’infinito.
Fermare la crescita
Molti pensano che in un momento di profonda crisi economica, parlare di un diverso modello di sviluppo, più attento ai problemi ambientali, a una riduzione dell’uso delle risorse, a una minore produzione di rifiuti e di scorie, a un rispetto del territorio sia quasi un optional.Qualcosa di non necessario e quindi, in questo momento così spaesante per il nostro futuro, sia rimandabile più in là e nel frattempo cercare di risolvere ancora una volta il problema della crisi economica, con la crescita, senza capire che forse è proprio la crescita che ha generato la crisi economica. E’ uno di quei momenti nei quali ci si rende conto che ciò che era stato annunciato 40 anni fa, dal famoso rapporto sui limiti della crescita compilato dai ricercatori del MIT a Boston su incarico del Club di Roma, si stanno avverando. I limiti alla crescita nel pianeta Terra esistono perché il pianeta è fatto così, è un pianetino molto piccolo con un set di risorse naturali finito, alcune di queste sono rinnovabili, altre non lo sono per niente, come il petrolio e il carbone che quando bruciano generano dei sottoprodotti negativi nei confronti dell’ambiente. Se non si prende coscienza di questa limitatezza, la crescita sarà la migliore ricetta per finire il prima possibile nel baratro.Rispetto a 40 anni fa abbiamo ormai quasi quattro miliardi in più di persone, le cose che si potevano già fare negli anni ‘70 non sono state fatte e ci siamo oggi trovati in una situazione ancora più difficile, ma il messaggio continua a non passare, viene visto come un messaggio retrogrado che ci fa tornare al Medioevo, che non vuole lasciare i paesi in via di sviluppo alla loro parte di crescita per migliorare le condizioni di vita. Ogni volta che si apre un dibattito su questo tema si finisce subito con queste facili accuse e non si approfondisce le uniche istanze che possono, qualora ci si ragioni sopra, portarci fuori da questa crisi epocale. Si tratta di prendere coscienza che il futuro non può continuare com’è stato programmato in passato finora, ci sono limiti fisici naturali del pianeta. Fermare la crescita vuole dire non avere questo dogma assoluto, che il benessere sia fatto sempre e solo di un’aggiunta di qualcosa, senza renderci conto che ci sono dei livelli minimi di benessere delle persone che debbono essere chiaramente raggiunti e che corrispondono al soddisfacimento dei bisogni. I bisogni fondamentali di un uomo ormai li conosciamo bene, nei paesi occidentali li abbiamo soddisfatti tutti, si tratta di nutrirci in modo corretto, di avere una casa confortevole, di avere l’acqua corrente, l’acqua calda, di poterci riscaldare d’inverno e rimanere freschi d’estate, di avere uno Stato che ci garantisce un minimo di assistenza sociale, di assistenza sanitaria, dei diritti, la possibilità di avere un’istruzione pubblica, ma più in là andiamo e più ci accorgiamo che l’elenco di questi bisogni fondamentali termina con poche decine di temi. Il resto comincia sempre più a diventare un superfluo che negli ultimi 20 anni è stato costruito su un immaginario televisivo – pubblicitario che corrisponde a più mezzi, più beni, più capricci direi, perché quando vediamo la nostra pubblicità inneggiare a modelli di vita dove il successo dell’uomo si misura con quanti cavalli ha nel motore, quanto è più grande la sua automobile, quante stanze ha nella propria casa, quante case ha in più, quanti viaggi esotici riesce a fare, è un continuo stimolare la mente su oggetti e proposte di una vita al di fuori dei limiti, è proprio la pubblicità che ci dice “Trasgredisci i limiti”. Non ci sono limiti nel mondo, più compri e quindi più soldi devi avere e più potrai trasgredire questi limiti e avere una vita di successo, ma questa è una trappola mortale, non è possibile trasgredire i limiti fisici della termodinamica ambientale, delle risorse di cui disponiamo. Ogni popolazione sulla Terra ha i suoi limiti, l’uomo ha l’intelligenza, ma l’intelligenza serve per essere consapevole dei limiti, non soltanto per tentare di superarli, il superamento dei limiti è possibile in alcuni casi e per limitati brevi periodi, non è possibile all’infinito.
Prosperità senza crescita
Il collasso è certo, tutta la scienza che studia questi argomenti ce lo dice chiaramente. A questo punto suggerirei, in un momento di profonda crisi come questa, di rivedere profondamente i bisogni dell’uomo, garantire una salvaguardia di ciò che abbiamo raggiunto negli ultimi 50 anni di crescita petrolifera perché è stato il petrolio a permettere nel mondo di raggiungere i livelli nei quali siamo oggi, quantomeno nei paesi occidentali, rivedere non vuole dire tornare indietro, vuole dire tenerci stretti dei bisogni fondamentali, diffonderli, se è possibile e con i mezzi a nostra disposizione a tutti i 7 miliardi di abitanti della Terra, cercare di moderare l’aumento della popolazione perché altrimenti per ogni passo virtuoso che si farà nel mondo occidentale di riduzione dei consumi, questo verrà vanificato dalla crescita della popolazione terrestre nei successivi anni. Bisogna trovare una stabilità nella popolazione terrestre, a dispetto di quanti molti economisti e demografi pensano che ritengono che invece si possa anche in questo caso continuare a crescere e che la tecnologia risolverà tutti i problemi. Non è vero, la tecnologia può darci degli strumenti, ma non risolvere tutti i problemi, anzi vediamo che molto spesso se male utilizzata la tecnologia ne crea anche di problemi.Quindi direi che è un sottile pensiero filosofico che vorrei che venisse recepito, perché già esiste, è un pensiero che è già stato elaborato e da una certa filosofia, penso a Hans Jonas con il principio di responsabilità e da una certa economia, penso non solo alla decrescita, che è forse quella più provocatoria come impatto mediatico, ma all’economia dello stato stazionario di Hermann Deli che riflette da decenni su questi argomenti. Penso non solo al rapporto del Club di Roma, ma agli esperimenti che si stanno facendo in Germania e in Inghilterra con l’attività di Tim Jackson: “Prosperità senza crescita”, oppure le riflessioni di Wolfgang Sachs in Germania al Wuppertal Institute con un progetto intitolato “Benessere senza crescita”. Le vie d’uscita ci sono. Ho degli ottimi maestri molto anziani che hanno capito tutto di come funziona il mondo da un punto di vista fisico e ecologico, da loro le lezioni le accetto, anzi mi sono formato sulle loro lezioni, un nome per tutti, il fisico Luigi Sertorio, uno dei più esperti al mondo che elaborano oggi i principi della ecofisica. Al contrario mi dà fastidio quando personaggi molto più anziani di me vogliono prevedere e soprattutto fabbricare un modello per decidere del mio futuro. Questi signori hanno davanti a sé, se va bene, una decina di anni di aspettativa di vita, non capisco perché sono così impegnati a difendere il futuro che poi vivrò io. Si occupino al limite del presente, un loro consiglio è sempre benvenuto, ma io vorrei che oggi il futuro a lungo termine, quello che io vivrò, spero per ancora circa 30/40 anni di attesa di vita media, ma quelli che sono i miei studenti oggi, invece vivranno per tutta la vita, vorrei che fossero loro a decidere di questo futuro, vorrei che fossero persone di 30 anni che si interrogano e che cercano di analizzare se questo modello di sviluppo, se questa crescita che viene invocata ancora una volta come la soluzione di tutti i mali, sia in realtà quello che lascerà a loro un mondo con delle opportunità oppure meno.Non credo che il modello della crescita proposto da dei personaggi un po’ agée basati sul terrore di rivivere la miseria e la povertà dalla quale vengono ci possa portare molto lontano, il mondo evolve, ci sono idee nuove, ci sono possibilità per un’economia che non sia la padrona delle nostre vite. L’economia non deve essere il dogma fondamentale, non capisco perché devo oggi basare tutte le mie scelte e tutta la mia vita sullo spread con i bund tedeschi, ma insomma, ma sono cose ridicole, ma cos’è lo spread sui bund? Ma il mondo si fonda sulla termodinamica, si fonda su delle leggi che funzionano da miliardi di anni, i bund e lo spread li abbiamo inventati in questo periodo da un’economia che abbiamo visto in tutti i modi non funziona, allora cambiamo le leggi degli uomini che è molto più facile che cambiare le leggi di natura.
Indipendenti dal petrolio
Cosa proporrei dunque per uno Stato come l’Italia in questo momento storico per affrontare questa crisi? Farei un progetto di resilienza che è la proprietà di un sistema di sopportare uno stress esterno senza collassare. L’Italia non è per nulla un paese resiliente, è un paese che ha fatto il passo più lungo della gamba, è vissuto molto al di sopra delle proprie possibilità, facendo anche una grande festa che va al di là di quello che è stato il soddisfacimento dei bisogni fondamentali che quello è stato già raggiunto con il boom economico tra gli anni ‘50 e i primi anni 70. Adesso siamo già nell’era del superfluo, l’Italia è un paese che ha accumulato ricchezza, che l’ha anche sperperata e che ha un modello di vita piuttosto effimero. Suggerirei di investire le poche risorse economiche che restano nel rendere gli italiani più resilienti di fronte a questo futuro con molte trappole e trabocchetti. Un futuro dove l’energia fossile costerà sempre di più e quindi siamo un paese fragilissimo, legato al cordone ombelicale di un paio di gasdotti e di un po’ di petroliere che ci vengono a rifornire, possiamo essere più autonomi energeticamente? Ma certo che possiamo, siamo un paese ricchissimo di potenzialità di energie rinnovabili, l’idroelettrico l’abbiamo molto sfruttato negli scorsi anni, può essere rimordernato ma soprattutto il sole, il vento, le biomasse possono costituire il nostro petrolio domestico.Accanto alle energie rinnovabili, democratiche, che ognuno di noi può mettere sul tetto di casa, c’è rendere più efficienti i propri edifici, le nostre case sono dei colabrodo, l’energia che noi a caro prezzo compriamo all’estero, ricattati da mezzo mondo, possiamo in realtà produrcela in buona parte a casa nostra. Farei un’operazione di manutenzione del territorio, l’Italia è un paese completamente infrastrutturato, addirittura in molti casi in eccesso, solo che le nostre infrastrutture hanno poca manutenzione, noi fabbrichiamo, costruiamo e poi lasciamo crollare, suggerirei di abbandonare completamente i progetti delle grandi opere, non abbiamo più bisogno di grandi opere concentrate e faraoniche. Il mondo del futuro è un mondo, al limite, di piccole opere, ma diffuse, piccole non vuole dire che non siano all’avanguardia tecnologicamente, piccolo vuole dire nanotecnologie, vuole dire tecnologie dell’informazione, trasferire la visione di un mondo dell’industria pesante, del trasporto pesante a un mondo molto più leggero dove le relazioni avvengono via Internet, via telefono, attraverso le scambio di informazioni. Abbiamo un territorio che abbiamo reso molto fragile nei confronti dei cambiamenti climatici, delle alluvioni, un’agricoltura che non è più in grado di sostenere noi stessi. Ricuciamo tutti questi nostri rapporti con il territorio, facciamo delle nostre città dei luoghi più vivibili, che non siano legati soltanto all’arrivo di merci da oltreoceano e che restituiscono poi soltanto grandi quantità di rifiuti e fanno morire la nostra industria e la nostra produzione locale, ricreiamo quindi un mondo a misura d’uomo, dove non c’è bisogno di una grande competitività, non dobbiamo competere così tanto con il mondo esterno.
La cooperazione è il futuro
La competitività non è un valore per la specie umana, la specie umana è una specie sociale, cos’è il valore oggi in un mondo così sovraffollato se non vogliamo farci la guerra? Competitività è quasi sempre l’anticamera del conflitto. E’ la cooperazione il valore del futuro, dobbiamo cooperare per usare le risorse, per produrre la minima quantità di rifiuti, per essere pronti verso un futuro che ci toglierà una serie di risorse su cui abbiamo puntato nell’abbondanza e nella ricchezza del boom economico, un momento irripetibile nella storia dell’umanità. Non ci sarà mai più un petrolio a prezzi stracciati come accadeva negli anni 50/60. Quindi progettiamo questo tipo di Italia che sia in grado di vivere bene con obiettivi più bassi, ma più bassi non vuole dire Medioevo, vuole dire che invece che l’obiettivo dell’oggetto costoso e di lusso, tanto effimero quanto dissipatore di risorse, ci sono tantissime cose che ci fanno vivere bene, che hanno costi ambientali e economici irrisori: la cultura, i nostri musei, le nostre biblioteche, tesori immensi che tutto il mondo ci invidia e che sono disertati proprio dagli italiani. Oggi possiamo ricostruire un mondo estremamente qualitativo sul piano del livello di vita sbarazzandoci del superfluo passando a un lusso leggero, un lusso della cultura, della conoscenza, della musica, della convivialità tra persone. Il modello di comprarsi il Suv o lo yacht è un modello socialmente conflittuale, costosissimo, che costringe le persone a lavorare molto di più. Se ce ne sbarazziamo possiamo lavorare di meno. Uno degli obiettivi della decrescita non è lasciare a casa un sacco di persone perché tutti quei beni superflui vengono visti come un limite all’occupazione: nel momento in cui noi li togliamo le industrie non lavorano più. Abbiamo visto che comunque non ha funzionato questo modello, qualsiasi cosa, superflua che è stata prodotta, inevitabilmente con l’automazione o con lo spostamento in paesi emergenti, ha tolto poi alla fine ugualmente occupazione, allora non sarebbe meglio produrre solo le cose veramente utili alla nostra qualità della vita e lavorare poi di meno? Se abbiamo meno necessità di acquistare oggetti inutili, forse potremmo lavorare tutti, ma la metà del tempo che lavoriamo adesso, quattro ore al giorno, pomeriggio o mattino libero, a seconda delle scelte, più possibilità per stare in famiglia, più possibilità per curare la propria cultura, il proprio orticello in senso veramente fisico, poter coltivare anche il proprio cibo. Questo si può fare e è forse uno standard di vita. Io peraltro non voglio insegnare niente a nessuno, ma a casa mia lo faccio, è facile, mi fa risparmiare dei soldi, tempo, mi dà delle soddisfazioni, mi ha permesso di togliermi da una certa serie di circuiti di obblighi sociali basati sulla pubblicità che scava nel tuo cervello e ti dice cosa è giusto fare.
Fonte: www.beppegrillo.it

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