La
crisi economica e i suoi effetti aprono grandi opportunità politiche
per tutti i partiti populisti europei. La Lega cerca di sintonizzarsi
con la prevedibile crescita della protesta e della indignazione popolare
recuperando il suo armamentario tradizionale di proposte e simboli.
Tutti ripresentati, con qualche parziale aggiornamento, nei discorsi dei
dirigenti che hanno animato la riunione del Parlamento Padano a
Vicenza.
I partiti populisti europei si erano affermati negli ultimi venti anni sfruttando soprattutto il deficit di rappresentanza delle classi popolari. I partiti tradizionali non riescono più a gestire le nuove domande, le fratture sociali e i problemi che sono emersi per la crisi dei sistemi di welfare, lo smantellamento di interi settori industriali, la diffusione della disoccupazione, la crescita dell’immigrazione. Con la crisi economica in corso sono ancora aumentate le difficoltà per molti governi europei, sempre più in balia dei mercati e di fatto commissariati dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale. Si è ampliato, ed è sempre più percepibile, un vuoto nelle relazione fra élite politiche e i cittadini, costretti a prendere atto delle decisioni prese “altrove”, da attori politici ed economici che agiscono senza tenere conto della sovranità popolare. Si sono così delineate nuove opportunità, ancora più favorevoli per i partiti populisti.
I partiti populisti europei si erano affermati negli ultimi venti anni sfruttando soprattutto il deficit di rappresentanza delle classi popolari. I partiti tradizionali non riescono più a gestire le nuove domande, le fratture sociali e i problemi che sono emersi per la crisi dei sistemi di welfare, lo smantellamento di interi settori industriali, la diffusione della disoccupazione, la crescita dell’immigrazione. Con la crisi economica in corso sono ancora aumentate le difficoltà per molti governi europei, sempre più in balia dei mercati e di fatto commissariati dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale. Si è ampliato, ed è sempre più percepibile, un vuoto nelle relazione fra élite politiche e i cittadini, costretti a prendere atto delle decisioni prese “altrove”, da attori politici ed economici che agiscono senza tenere conto della sovranità popolare. Si sono così delineate nuove opportunità, ancora più favorevoli per i partiti populisti.
Un’altra
opposizione è, naturalmente, possibile. Dieci anni fa si era avviato,
dopo la contestazione del Wto di Seattle (1999) il movimento
transnazionale “per la giustizia globale” che ha messo in discussione
gli sviluppi della globalizzazione neoliberista; negli ultimi mesi si è
sviluppata in molti paesi la mobilitazione degli “indignati”, seguendo
l’esempio della Spagna e del movimento Occupy Wall Street. Queste
mobilitazioni hanno avuto una notevole influenza sul clima di opinione,
sull’immaginario sociale e sul discorso pubblico. Ma hanno molte
difficoltà a durare e ad incidere in modo significativo sui processi in
corso perché privi di una identità collettiva forte e soprattutto di una
rappresentanza politica. In queste condizioni, senza un accesso
significativo ai principali media, il loro ruolo nella sfera pubblica
risulta molto limitato e discontinuo, nonostante la disponibilità e
l’uso crescente di nuove forme di comunicazione che utilizzano il web.
Sono invece molto più rilevanti le possibilità delle formazioni populiste che si attivano come movimenti di protesta della società civile, ma sanno utilizzare con successo tutte le opportunità offerte dal canale elettorale-rappresentativo. Il successo e la durata della destra populista europea si è finora basato sulla capacità di collegare l’espressione della protesta popolare con la costruzione di nuove identità politiche: una comunità immaginata (il “popolo”), definita in termini etnico-nazionali o almeno territoriali, composta soprattutto dalla gente comune e dai ceti popolari.
La protesta dei partiti populisti non mette in discussione la crescita delle disuguaglianze sociali, ma viene gestita in nome di una comunità a base territoriale, nazionale o regionale. Con la sostituzione del conflitto di classe con il “comandiamo a casa nostra”, e le misure discriminatorie per gli immigrati. Oggi appare ancora più facile per la destra populista una gestione politica della proteste perché da una parte viene messa in discussione la sovranità popolare e dall’altra si ridimensionano i sistemi di welfare locali, chiedendo allo stesso “popolo” di pagare i costi per risanare i bilanci statali.
La Lega non poteva lasciare cadere la possibilità di utilizzare queste nuove opportunità politiche, anche se è ancora segnata e condizionata dalla lunga partecipazione al governo Berlusconi, e dalle divisioni interne che si sono create nel movimento. La possibilità di essere l’unica opposizione al governo Monti in parlamento offre d’alta parte moltissimi vantaggi. E non ci sono state esitazioni a riproporre le idee e i vecchi slogan negli anni Novanta, anche se hanno perso i significati e la forza del passato, e assumono il formato di semplici rituale simbolici, istituzionalizzati e ripetitivi. Bossi rievoca la secessione, ma si affretta a dire che deve essere pacifica e consensuale (“come in Cecoslovacchia”). Si programmano mobilitazioni e si avvia una raccolta di firme per abrogare il nuovo ordinamento delle pensioni: ma i leghisti si affrettano ad esorcizzare l’idea di un passibile conflitto sociale. La difesa delle pensioni di anzianità è soprattutto la difesa di un diritto dei lavoratori del Nord, uno dei possibili conflitti a base territoriale.
La Lega teme di ricadere in una posizione di isolamento come nella seconda metà degli anni Novanta, ed è preoccupata di mantenere le posizioni di governo locale e regionale fino ad ora conquistate. L’isolamento politico è certamente un problema, un elemento di debolezza, che può creare difficoltà all’iniziativa del Carroccio. La debolezza può però diventare un elemento di forza se si svilupperà nei confronti del governo Monti e delle sue politiche, una nuova ed efficace divisione del lavoro tra le forze di centrodestra: un processo già in corso, nonostante le dichiarazioni dei dirigenti leghisti. Il Pdl e la Lega possono gestire da una parte il sostegno governo (con senso di responsabilità, ma anche con molte critiche), dall’altra l’opposizione su tutti i piani. Marciando distinti, ma non distanti, per logorare e colpire senza troppe difficoltà le forze del centrosinistra che sostengono Monti. Se avrà successo, questo modello di divisione del lavoro tra partiti di centrodestra e formazioni populisti troverà certamente imitatori anche in altri paesi europei. Non mancheranno, nei prossimi mesi, le mobilitazioni sociali e quelle sindacali: ma ancora una volta, l’assenza di una rappresentanza politica e la difficoltà di un effettivo coordinamento fra le iniziative limiteranno fortemente le possibilità di intervenire efficacemente sulle scelte per affrontare la crisi economica e i suoi effetti.
Sono invece molto più rilevanti le possibilità delle formazioni populiste che si attivano come movimenti di protesta della società civile, ma sanno utilizzare con successo tutte le opportunità offerte dal canale elettorale-rappresentativo. Il successo e la durata della destra populista europea si è finora basato sulla capacità di collegare l’espressione della protesta popolare con la costruzione di nuove identità politiche: una comunità immaginata (il “popolo”), definita in termini etnico-nazionali o almeno territoriali, composta soprattutto dalla gente comune e dai ceti popolari.
La protesta dei partiti populisti non mette in discussione la crescita delle disuguaglianze sociali, ma viene gestita in nome di una comunità a base territoriale, nazionale o regionale. Con la sostituzione del conflitto di classe con il “comandiamo a casa nostra”, e le misure discriminatorie per gli immigrati. Oggi appare ancora più facile per la destra populista una gestione politica della proteste perché da una parte viene messa in discussione la sovranità popolare e dall’altra si ridimensionano i sistemi di welfare locali, chiedendo allo stesso “popolo” di pagare i costi per risanare i bilanci statali.
La Lega non poteva lasciare cadere la possibilità di utilizzare queste nuove opportunità politiche, anche se è ancora segnata e condizionata dalla lunga partecipazione al governo Berlusconi, e dalle divisioni interne che si sono create nel movimento. La possibilità di essere l’unica opposizione al governo Monti in parlamento offre d’alta parte moltissimi vantaggi. E non ci sono state esitazioni a riproporre le idee e i vecchi slogan negli anni Novanta, anche se hanno perso i significati e la forza del passato, e assumono il formato di semplici rituale simbolici, istituzionalizzati e ripetitivi. Bossi rievoca la secessione, ma si affretta a dire che deve essere pacifica e consensuale (“come in Cecoslovacchia”). Si programmano mobilitazioni e si avvia una raccolta di firme per abrogare il nuovo ordinamento delle pensioni: ma i leghisti si affrettano ad esorcizzare l’idea di un passibile conflitto sociale. La difesa delle pensioni di anzianità è soprattutto la difesa di un diritto dei lavoratori del Nord, uno dei possibili conflitti a base territoriale.
La Lega teme di ricadere in una posizione di isolamento come nella seconda metà degli anni Novanta, ed è preoccupata di mantenere le posizioni di governo locale e regionale fino ad ora conquistate. L’isolamento politico è certamente un problema, un elemento di debolezza, che può creare difficoltà all’iniziativa del Carroccio. La debolezza può però diventare un elemento di forza se si svilupperà nei confronti del governo Monti e delle sue politiche, una nuova ed efficace divisione del lavoro tra le forze di centrodestra: un processo già in corso, nonostante le dichiarazioni dei dirigenti leghisti. Il Pdl e la Lega possono gestire da una parte il sostegno governo (con senso di responsabilità, ma anche con molte critiche), dall’altra l’opposizione su tutti i piani. Marciando distinti, ma non distanti, per logorare e colpire senza troppe difficoltà le forze del centrosinistra che sostengono Monti. Se avrà successo, questo modello di divisione del lavoro tra partiti di centrodestra e formazioni populisti troverà certamente imitatori anche in altri paesi europei. Non mancheranno, nei prossimi mesi, le mobilitazioni sociali e quelle sindacali: ma ancora una volta, l’assenza di una rappresentanza politica e la difficoltà di un effettivo coordinamento fra le iniziative limiteranno fortemente le possibilità di intervenire efficacemente sulle scelte per affrontare la crisi economica e i suoi effetti.
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