Sono
anni ormai che ci sentiamo ripetere che per rilanciare il paese occorre
puntare sulla crescita. Parole sante a cui non sono mai seguiti fatti.
Crescita vuol dire soprattutto diminuire il rapporto Debito/Pil
intervenendo sul denominatore, ottenendo in tal maniera un duplice
obiettivo: dar fiato alle energie produttive del paese e calmare la
buriana finanziaria che sta facendo salire i tassi di interesse alle
stelle.
Purtroppo, l’ipotesi di manovra che il governo Monti sembra proporre non ha nessuna speranza di rilanciare la crescita.
Purtroppo, l’ipotesi di manovra che il governo Monti sembra proporre non ha nessuna speranza di rilanciare la crescita.
Parliamoci chiaro,
l’Italia è in recessione. Il Pil sta calando, altro che aumentare. Ma
riuscisse pure il governo a ritornare alla crescita piatta degli ultimi
10-20 anni, sarebbe inutile. Per mettere sotto controllo la dinamica del
debito, per evitare cioè che questo aumenti, è necessaria una crescita
sostenuta. Martin Feldstein, sul Financial Times, indica come obiettivo
minimo per uscire dalla crisi attuale una crescita annua del due per
cento. Lo stesso giornale nei giorni scorsi ospitava un’altra analisi
che suggeriva che la crescita necessaria, al corrente livello di debito,
dovrebbe essere di quasi il 5 per cento. Se poi il costo del denaro si
stabilizzasse sui numeri attuali, il tasso di crescita per stabilizzare
il debito dovrebbe addirittura essere dell’8,5%. Livelli
fantascientifici, o meglio, cinesi.
Questi numeri, anche quelli più contenuti e realistici, non si possono certo raggiungere con una manovra che rischia, invece, di aggravare la crisi. La finanziaria di Monti rischia di avere effetti recessivi a partire dalla diminuzione dei consumi che calerebbero con un ulteriore aumento dell’Iva.
Anche la reintroduzione dell’Ici, che può pure essere giusta in linea di principio, avrà un effetto negativo sui consumi. Infatti, l’Ici generalizzata si trasformerebbe immediatamente in una tassa sul reddito per quanto riguarda i ceti meno abbienti – che non hanno altra ricchezza al di fuori della casa stessa – comprimendo ulteriormente il potere d’acquisto, già ora troppo basso. L’Ici invece deve essere una tassa sul patrimonio e deve dunque essere reintrodotta solamente sugli immobili di valore, cioè quelli in possesso dei ceti medio-ricchi (e della Chiesa). Infatti, in quel caso, il livello di ricchezza ha una incidenza molto meno rilevante sul consumo e dunque gli effetti recessivi sarebbero minimi.
Ancora peggio, ovviamente, sarebbe il congelamento delle pensioni. Anche in questo caso, sarebbe una tassa sul reddito, fortemente recessiva se non nei casi delle pensioni più elevate. Che invece di essere congelate andrebbero semplicemente ridotte drasticamente, spostando magari i risparmi ottenuti verso le pensioni più basse, aumentando dunque reddito e, di conseguenza, consumo.
Naturalmente anche l’aumento delle aliquote sugli scaglioni più alti dell’Irpef avrebbe l’effetto di ridurre il reddito, ma in questo caso gli effetti recessivi sarebbero minori. I ricchi non consumano tutto il salario, e dunque prelievi più alti potrebbero lasciare sostanzialmente inalterati i livelli di consumo, semplicemente diminuendo la quota di risparmi privati ed aumentando quella di entrate pubbliche.
Queste nuove entrate e minori spese sono giustificate dalla necessità di fare cassa per rilanciare la crescita. Purtroppo però, i risparmi ottenuti saranno sostanzialmente insufficienti per intervenire in maniera effettiva e rilanciare l’economia. Il governo punta solamente a diminuire il cuneo fiscale – obiettivo giusto, ma una riduzione di qualche decimale avrà effetti ininfluenti su produzione ed occupazione. In realtà, al livello attuale dei tassi di interesse tutti i tagli e i risparmi andrebbero a coprire i costi ulteriori causati dall’aumento dello spread.
Le soluzioni, dunque, vanno cercate altrove, e non c’è davvero molto spazio per la fantasia. A livello europeo è indispensabile che la Bce diventi prestatore di ultima istanza, comprando titoli, creando eurobond e diminuendo sostanzialmente i tassi di interesse, quantomeno al livello pre-crisi. D’altronde la Gran Bretagna, grazie al supporto della Banca d’Inghilterra, ha al momento tassi più bassi della Germania, pure a fronte di una economia assai meno forte.
Bisogna poi intervenire a livello domestico. Con questo livello di debito, pure a tassi minori, la crescita è impossibile. Troppe le risorse drenate dal pagamento degli interessi. Bisogna abbassare drasticamente lo stock di debito. E questo è possibile farlo solo con una vera e pesante patrimoniale.
Questi numeri, anche quelli più contenuti e realistici, non si possono certo raggiungere con una manovra che rischia, invece, di aggravare la crisi. La finanziaria di Monti rischia di avere effetti recessivi a partire dalla diminuzione dei consumi che calerebbero con un ulteriore aumento dell’Iva.
Anche la reintroduzione dell’Ici, che può pure essere giusta in linea di principio, avrà un effetto negativo sui consumi. Infatti, l’Ici generalizzata si trasformerebbe immediatamente in una tassa sul reddito per quanto riguarda i ceti meno abbienti – che non hanno altra ricchezza al di fuori della casa stessa – comprimendo ulteriormente il potere d’acquisto, già ora troppo basso. L’Ici invece deve essere una tassa sul patrimonio e deve dunque essere reintrodotta solamente sugli immobili di valore, cioè quelli in possesso dei ceti medio-ricchi (e della Chiesa). Infatti, in quel caso, il livello di ricchezza ha una incidenza molto meno rilevante sul consumo e dunque gli effetti recessivi sarebbero minimi.
Ancora peggio, ovviamente, sarebbe il congelamento delle pensioni. Anche in questo caso, sarebbe una tassa sul reddito, fortemente recessiva se non nei casi delle pensioni più elevate. Che invece di essere congelate andrebbero semplicemente ridotte drasticamente, spostando magari i risparmi ottenuti verso le pensioni più basse, aumentando dunque reddito e, di conseguenza, consumo.
Naturalmente anche l’aumento delle aliquote sugli scaglioni più alti dell’Irpef avrebbe l’effetto di ridurre il reddito, ma in questo caso gli effetti recessivi sarebbero minori. I ricchi non consumano tutto il salario, e dunque prelievi più alti potrebbero lasciare sostanzialmente inalterati i livelli di consumo, semplicemente diminuendo la quota di risparmi privati ed aumentando quella di entrate pubbliche.
Queste nuove entrate e minori spese sono giustificate dalla necessità di fare cassa per rilanciare la crescita. Purtroppo però, i risparmi ottenuti saranno sostanzialmente insufficienti per intervenire in maniera effettiva e rilanciare l’economia. Il governo punta solamente a diminuire il cuneo fiscale – obiettivo giusto, ma una riduzione di qualche decimale avrà effetti ininfluenti su produzione ed occupazione. In realtà, al livello attuale dei tassi di interesse tutti i tagli e i risparmi andrebbero a coprire i costi ulteriori causati dall’aumento dello spread.
Le soluzioni, dunque, vanno cercate altrove, e non c’è davvero molto spazio per la fantasia. A livello europeo è indispensabile che la Bce diventi prestatore di ultima istanza, comprando titoli, creando eurobond e diminuendo sostanzialmente i tassi di interesse, quantomeno al livello pre-crisi. D’altronde la Gran Bretagna, grazie al supporto della Banca d’Inghilterra, ha al momento tassi più bassi della Germania, pure a fronte di una economia assai meno forte.
Bisogna poi intervenire a livello domestico. Con questo livello di debito, pure a tassi minori, la crescita è impossibile. Troppe le risorse drenate dal pagamento degli interessi. Bisogna abbassare drasticamente lo stock di debito. E questo è possibile farlo solo con una vera e pesante patrimoniale.
Nicola Melloni - Liberazione
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