Le pensioni sono il
campo dove il governo ha fatto le scorrerie più sanguinose.
Confermate le peggiori previsioni della
vigilia:
- il sistema di calcolo col “contributivo” viene esteso a tutti, anche a chi aveva più di 18 anni di servizio prima del 1995 (al tempo della “riforma Dini”); è da ricordare che il “retributivo” era stato introdotto nel 1976 proprio per sostituire il “contributivo” (l'ammontare dell'assegno viene calcolato ai contributi effettivamente versati), che aveva prodotto una marea di “pensionati poveri”; ora si torna a quello scenario sociale;
- viene cancellata “l'anzianità” - ovvero la possibilità di lasciare il lavoro dopo 40 anni, anche se non è è ancora raggiunta l'età minima pensionabile; il minimo diventano infatti 42 anni di contributi, con “disincentivi” (un assegno pensionistico più magro) per coloro che intendono avvalersi di questa possibilità prima del raggiungimento dell'età pensionabile: il 3% dell'assegno per ogni anno prima dei 62;
- contemporaneamente viene cancellata la “rivalutazione” dell'assegno in base all'aumento dell'inflazione;
- età pensionabile che viene a sua volta innalzata, in modo da accorciare il più possibile il periodo della vita in cui si percepisce l'assegno pensionistico (l'ideale capitalistico è un'età pensionabile che coincide con le aspettative di vita); le donne che lavorano nel settore privato andranno in pensione a 62 anni, a partire da gennaio, qualsisai sia la loro “anzianità”, e gradualmente si arriverà ai 66 anni nel 2018;
- per gli uomini la “vecchiaia” si raggiunge a 66 anni da subito;
Si dice che l'”anzianità” sia
un'”anomalia italiana”. In Germania l'età pensionabile “teorica” è a 65 anni,
quella “effettiva” a 61,8. Magari non si chiama anziantià, ma c'è sicuramente
un meccanismo analogo che consente – a determinate condizioni – di lasciare il
lavoro prima senza penalizzazioni.
E' falso che siano “i giovani” a “pagare”
la pensione ai padri. La pensione è “salario differito”, ovvero una quota del
salario “trattenuta” ogni mese e accantonata (nell'Inps o in altri istituti
previdenziali), che viene “restituita” al momento del ritiro. Quindi chi va in
pensione se l'è già pagata.
Sul piano linguistico, infine, non si
riesce proprio a capire perché elevare l'età pensionabile sarebbe una “scelta
coraggiosa”. A noi sembra soltanto “prepotente”, un atto d'imperio crudele e
senza senso economico-produttivo: quale azienda si tiene al lavoro un
ultra-60enne, se non nei ruoli di dirigente o comunque “concettuali”?
Chiarissimo invece cosa la borghesia
italiana intenda per "equità": quella "attuariale": ossia
"quando a tutte le storie contributive e pensionistiche individuali è
garantito lo stesso tasso di rendimento interno". Che c'entrano le classi
e le persone...
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La scheda de Il Sole chiarisce come il
sistema di "incentivi" e "disincentivi" obblighi di fatto i
lavoratori a "scegliere" l'età pensionabile più alta, pur di
mantenere un assegno pensionistico non troppo penalizzato.
Strada stretta per l'uscita anticipata
Nella previdenza «a due vie», ordinaria o
anticipata, disegnata dalla nuova riforma, il dato chiave per capire se si
potrà salire sul primo binario o bisognerà attendere l'assegno di vecchiaia è
la data di ingresso al lavoro. A regime, il discrimine dovrebbe attestarsi in
genere attorno ai 25 anni: chi ha iniziato prima, e ha versato i contributi con
regolarità, potrà utilizzare la prima via, che permette di lasciare il lavoro
dopo 42 anni di contributi (42 anni e 3 mesi dal 2014), gli altri dovranno
attendere l'età minima per l'uscita di vecchiaia: età che dal 2012 si alza a 66
anni, ed a 66 anni e mezzo nel caso dei lavoratori autonomi.La nuova
architettura previdenziale, che entra in vigore da gennaio (con possibilità,
per chi matura i requisiti prima, di farselo certificare), elimina i
bizantinismi che fino a oggi hanno complicato il calcolo, comprese le finestre
«mobili» che ritardano di un anno l'uscita dei dipendenti e di 18 mesi quella
degli autonomi.
Per preventivare il proprio futuro
previdenziale, occorre ora tenere conto solo di due fattori: i requisiti (42
anni e 3 mesi di contributi per l'anticipata, 66 anni di età per la vecchiaia
dei dipendenti, 66 e 6 mesi per gli autonomi), e l'impatto degli incrementi
automatici legati alla speranza di vita, che la riforma non abroga. Secondo le
previsioni della Ragioneria generale, gli incrementi periodici chiederanno un
anno in più dal 2022, due anni in più dal 2031 e imporranno ulteriori passaggi
d'anno nel 2040 e 2052. Il tutto vale dal 2012 per gli uomini e le donne del
pubblico impiego, e dal 2018 (con avvicinamento graduale) anche per le
lavoratrici del settore privato.
Qualche esempio aiuta per iniziare a
districarsi nelle nuove regole (con l'avvertenza che la tabella a fianco, come
quella pubblicata nella pagina precedente e riferita alle donne del settore
privato, ipotizza per uniformità che l'ingresso al lavoro sia avvenuto sempre
al 1° gennaio): un lavoratore nato nel 1955, se ha iniziato a lavorare a 18
anni, matura i requisiti nel 2015, dopo aver accumulato 42 anni e tre mesi di
contributi. Attenzione, però: se deciderà di andare in pensione, subirà un
taglio del 9% (3% per ogni anno inferiore a 63), che potrà essere evitato
aspettando fino al 2018. La penalizzazione diventa ancora più pesante per chi
ha iniziato prima: entrando al lavoro a 14 anni, si matura il diritto ad
uscirne a 56, ma la sforbiciata sarà del 21 per cento.
Le dinamiche del sistema, però, porteranno la tagliola a scattare sempre meno nel tempo. Fra un ventennio, a meno di impreviste inversioni nell'aspettativa di vita, occorreranno più di 44 anni di contributi per il pensionamento «anticipato», per cui la penalizzazione potrebbe scattare solo nei confronti di sceglie questa strada avendo iniziato a lavorare prima della maggiore età.
Le dinamiche del sistema, però, porteranno la tagliola a scattare sempre meno nel tempo. Fra un ventennio, a meno di impreviste inversioni nell'aspettativa di vita, occorreranno più di 44 anni di contributi per il pensionamento «anticipato», per cui la penalizzazione potrebbe scattare solo nei confronti di sceglie questa strada avendo iniziato a lavorare prima della maggiore età.
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