sabato 3 dicembre 2011

LA VERA CASTA

Guarguaglini, un addio da 5,5 milioni
 
Chi credeva di avere ormai visto tutto nella vicenda della Finmeccanica, ieri sera si è dovuto ricredere. Il modo in cui il governo, azionista di controllo del gruppo industriale, ha congedato il presidente indagato Pier Francesco Guarguaglini si può ben definire surreale. Come dimostra il comunicato di commiato al presidente uscente emesso al termine del consiglio d’amministrazione. Val la pena di leggerlo integralmente: “I più sentiti ringraziamenti per l’altissima professionalità e il proficuo impegno che hanno consentito la crescita e l’affermazione del gruppo nei mercati mondiali”. Il tutto in una busta con un assegno da 5, 5 milioni di euro, pari a circa 220 anni di stipendio di un impiegato della Finmeccanica.

Complimenti, ma allora perché l’hanno cacciato? 
Per chi si fosse perso qualche puntata, un breve riassunto. Il 73 enne Guarguaglini, indagato per false fatturazioni nell’inchiesta Enav-Finmeccanica, è il marito di Marina Grossi, amministratore delegato della Selex Sistemi Integrati, la controllata di Finmeccanica considerata dai magistrati inquirenti l’epicentro di un sistema di tangenti ramificato come una metastasi. La Grossi è indagata per corruzione, e resiste saldamente al suo posto.

Il braccio destro di Guarguaglini, Lorenzo Borgogni, al suo fianco lungo tutta la carriera da industriale delle armi che ha visto il manager toscano passare dalla guida della Oto-Melara a quella della Fincantieri fino alla Finmeccanica, è indagato pure lui. Ha raccontato ai magistrati di aver intascato 5, 6 milioni di euro da ditte fornitrici del gruppo, ma sostiene che non si trattava di tangenti ma di consulenze “di natura privatistica”. Adesso sta raccontando agli inquirenti che la Finmeccanica, come l’ha vista lui da un punto di osservazione privilegiato lungo i nove anni della gestione Guarguaglini, soccombe da anni agli appetiti di politici di ogni colore.

Insomma, la Finmeccanica, come la raccontano i protagonisti, sembra essersi trasformata da gioiello della tecnologia made in Italy a fogna della corruzione. Ciò che ha spinto il premier Mario Monti, domenica 20 novembre, a emettere una nota con cui si chiedevano in modo implicito ma chiaro le dimissioni di Guarguaglini, il presidente che ha sempre negato ogni coinvolgimento nel malaffare senza poter però smentire di essere quantomeno distratto.

E così sono trascorsi dieci giorni di braccio di ferro. Guarguaglini, perso l’onore, ha pensato bene di salvare almeno la cassa. E si è rifiutato di dimettersi per non perdere la sontuosa liquidazione che gli spettava di diritto per la risoluzione anticipata del contratto. Il governo avrebbe potuto cacciarlo senza dargli una lira invocando la giusta causa, ma Monti ha scelto la linea sobria. Ha trattato, facendo scendere le pretese dell’esperto manager dai 12-15 milioni di partenza a più modesti 5, 5 milioni lordi. Per la precisione 4 milioni sono l’indennità compensativa per la risoluzione anticipata del rapporto, e 1, 5 per un patto di non concorrenza della validità di un anno. Tecnicamente Guarguaglini non si è dimesso, ma ha aperto una trattativa del tipo “quanto mi date se mi dimetto?”.

Uno spettacolo edificante per i 74 mila dipendenti del gruppo che adesso temono per il proprio posto di lavoro. Monti ha scelto di dare per ora piena fiducia all’amministratore delegato Giuseppe Orsi, che Guarguaglini voleva fortissimamente trascinare con sé nella disgrazia. Ma Orsi da oggi è anche presidente e ha i pieni poteri.

Non è ancora chiaro se si tratti di una soluzione transitoria o se il governo ha deciso di scommettere sull’uomo che, secondo la protesta di Antonio Di Pietro, “è il massimo della rappresentazione spartitoria dei partiti nelle aziende pubbliche”.

Orsi è salito al vertice sei mesi fa su indicazione della Lega Nord, che oggi è all’opposizione. Fin dall’inizio è entrato in rotta di collisione con Guarguaglini imponendo con i conti trimestrali di fine settembre l’esposizione di pesantissime perdite causate dalla gestione operativa del presidente. Il suo programma è noto: ridimensionare Finmeccanica avviando verso la cessione la Ansaldo-Breda (treni), la Ansaldo Sts (segnalamento ferroviario), alcuni pezzi dell’americana Drs e l’Ansaldo Energia. Cura dimagrante per concentrarsi nei due settori chiave: aeronautica e “sistemi di difesa”, l’eufemismo per dire armi. Finmeccanica a pezzi e posti di lavoro in pericolo. Un ringraziamento a Guarguaglini ci stava proprio bene. Forse quel comunicato era un saggio della rinomata ironia sottile del professor Monti.

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