Bilancio delle partecipazioni della Bce [Fonte Der Spiegel/Bce 05/2011] |
di Alberto Bagnai*
A distanza di 3 mesi dalla pubblicazione sul Manifesto del
mio articolo sull’uscita dall’euro, vorrei riproporlo nel mio forum col
suo titolo originale (Il teorema della piscina) e commentarlo
brevemente per vedere a che punto siamo. L’articolo era stato
banalizzato da molti (a cominciare dalla redazione) come un manifesto a
favore di “svalutazioni competitive”. Chiunque si documenti un minimo sa
che il problema europeo è proprio dato dalle svalutazioni
competitive... ma della Germania, non dell’Italia! L’intento
dell’articolo non era nemmeno quello di “prevedere” la fine dell’euro,
perché da prevedere c’era e c’è ben poco. Chiunque si documenti un
minimo sa bene che sulla insostenibilità dell’euro si sono pronunciati i
massimi economisti mondiali. E poi, è sotto gli occhi di tutti. Non c’è
bisogno di prevedere, basta vedere.
Il
mio intervento in realtà proponeva un'analisi politica, un'analisi che
mi sembra si stia rivelando giusta ogni giorno di più, e che politici e
giornalisti non mi sembravano e non mi sembrano in grado di fare, per
motivi ogni giorno più evidenti. Questa analisi si può sintetizzare in
pochi punti:
1) rivendicando
l’euro la sinistra italiana si è suicidata politicamente, perché l’euro
è il coronamento di due progetti non esattamente di sinistra: il
progetto imperialistico della Germania, e il progetto di “disciplina”
dei sindacati mediante il vincolo esterno, caro alle classi dominanti
dei paesi periferici;
2) l’ideologia
del “vincolo esterno”, tra l’altro, era intrinsecamente di destra
perché disconosceva in modo paternalistico il diritto dei cittadini di
orientare le scelte economiche del proprio paese, delegandolo a istanze
tecnocratiche spacciate per indipendenti, e si basava su un ampio
progetto di disinformazione, volto a nascondere i costi economici
dell’euro ampiamente documentati dalla letteratura economica; la
Realpolitik suggeriva però alla sinistra di aderire a questa ideologia
di destra, che era l’unica che le desse qualche speranza di accedere
ogni tanto alla stanza dei bottoni;
3) continuando
a difendere l’euro, per evitare una spiacevole autocritica, la sinistra
si espone al rischio di essere sorpassata a sinistra. Lascerà cioè un
argomento vero e inoppugnabile (l’euro ha strangolato l’economia
italiana) in mano alle destre più becere e nazionaliste (dalla Lega in
giù). E allora la situazione diventerà difficilmente reversibile.
Questa
analisi politica è stata capita da molti, ma ha anche incontrato una
serie di prevedibili critiche, forse anche perché i giornalisti vogliono
parlare di economia (senza saperne molto), ma mal sopportano che chi
conosce le dinamiche economiche della società si arrischi a trarne
conclusioni politiche. Purtroppo (per loro, ma soprattutto per noi)
tutto quello che avevo previsto nell’articolo si è verificato. Lo
sottolineo, nel rileggerlo con voi, non per vanità (è vero che il nostro
lavoro ci lascia poche altre soddisfazioni, oltre a quella di essere
Cassandre, ma qui da prevedere c’era poco: è un film già visto). Insisto
su questo punto perché insieme riflettiamo su cosa fare per evitare il
suicidio totale delle forze progressiste nel nostro paese.. Vi ricordo
che l’articolo è stato inviato alla redazione l’8 agosto, e pubblicato
il 23 agosto. Vi ricordo anche che è stato l’articolo del forum “La
rotta d’Europa” più referenziato su Google (47800 hits).
Voglio
infine sottolineare che non disconosco a nessuno, tantomeno a un
giornalista, il diritto di esprimere comunque le proprie opinioni, per
quanto disinformate esse siano. Voglio però insistere sul fatto che
esprimersi in modo disinformato durante una crisi economica equivale a
farlo durante un’epidemia, durante una catastrofe nucleare, insomma,
durante un evento nel quale chi non coopera al prevalere della
razionalità si assume responsabilità molto gravi. In particolare, la
disinformazione sui temi economici in questa fase di crisi economica e
politica è un’operazione intrinsecamente antidemocratica, perché
influisce sulle libere scelte degli elettori e perché rischia di
propugnare scelte che possono condurci a esiti nazionalisti e
autoritari. Per questa mia difesa della razionalità tecnica
dell’economia sono stato fatto passare per una maestrina dalla matita
blu che si arrocca nel suo sapere tecnico e emette sentenze dalla sua
torre d’avorio. A voi il giudizio.
Debito federale degli USA e le previsioni 2000-2016 in Mld di dollari Fonti: Us Treasury Berruyer/GEAB, 06/2011 |
Segue il testo inviato alla redazione, in tondo, con alcuni commenti in corsivo.
Il teorema della piscina.
Un
anno fa, discorrendo con Aristide, chiedevo come mai la sinistra
italiana rivendicasse con tanto orgoglio la paternità dell’euro: non
vedeva quanto esso fosse opposto agli interessi del suo elettorato? Una
domanda simile a quella di Rossanda. Aristide, economista di sinistra,
mi raggelò: “caro Alberto, i costi dell’euro, come dici, sono noti,
tutti i manuali li illustrano. Li vedevano anche i nostri politici, ma
non potevano spiegarli ai loro elettori: se questi avessero potuto
confrontare costi e benefici non avrebbero mai accettato l’euro. Tenendo
gli elettori all’oscuro abbiamo potuto agire, mettendoli in una impasse dalla
quale non potranno uscire che decidendo di fare la cosa giusta, cioè di
andare avanti verso la totale unione, fiscale e politica, dell’Europa.”
Insomma: “il popolo non sa quale sia il suo interesse: per fortuna a
sinistra lo sappiamo e lo faremo contro la sua volontà”. Ovvero: so che
non sai nuotare e che se ti getto in piscina affogherai, a meno che tu
non “decida liberamente” di fare la cosa giusta: imparare a nuotare.
Decisione che prenderai dopo un leale dibattito, basato sul fatto che ti
arrivo alle spalle e ti spingo in acqua. Bella democrazia in un
intellettuale di sinistra! Questo agghiacciante paternalismo può
sembrare più fisiologico in un democristiano, ma non dovrebbe esserlo.
“Bello è di un regno come che sia l’acquisto”, dice re Desiderio. Il
cattolico Prodi l’Adelchi l’ha letto solo fino a qui. Proseguendo,
avrebbe visto che per il cattolico Manzoni la Realpolitik finisce
in tragedia: il fine non giustifica i mezzi. La nemesi è nella
convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui
futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale
natura delle tensioni attuali.
Primo
commento: per aver denunciato la Realpolitik paternalistica sottostante
alla scelta dell’euro sono stato accusato di complottismo da svariati
passanti(guardate ad esempio il dibattito con p.p. in questo post),
e di incapacità di analisi politica da diversi colleghi (anche loro
abbastanza paternalisti: “sai, Alberto, tu sei bravo, ma un giornalista
ha una visione politica più ampia della tua!” Sarà...). A nulla è
servito far notare che questa Realpolitik era palese e ammessa dai suoi
stessi protagonisti. L’argomento di Prodi infatti è quello che riporta
la Rossanda: “dovevamo cominciare dalla moneta perché altrimenti non si
sarebbe fatto nulla, data la litigiosità dei governi europei”. Ma questo
modo di argomentare chiarisce bene che chi lo ha fatto sapeva benissimo
che “cominciare dalla moneta” era la cosa sbagliata: bisognava
cominciare dal disegno di istituzioni che uniformassero le economie
reali europee e riducessero il conflitto fra i governi. E infatti ora le
stesse persone ammettono l’irrazionalità della scelta compiuta, il fatto che essa conviene solo alla Germania, ecc. Quindi si sapeva che ci sarebbero stati dei costi e questi costi sono stati nascosti agli elettori.
Complottismo? Bene: allora cosa ne dite di questo video?
Svegliatevi! Siete in mano a persone che ragionano così, non a
statisti, ma a politicanti, a persone che preferiscono che una regione
(il Lazio) sia gestita male anziché bene purché questo dia loro qualche
speranza di accedere alle leve del potere non per i loro intrinseci
meriti, ma per la loro capziosa abilità di portare scompiglio nelle fila
dell’avversario. Siete in mano a persone che non si occupano degli
studenti “perché non votano”. Siete in mano a persone che affidano alla
crisi economica il compito di portarle al potere, con una Schadenfreude e
un disprezzo del proprio paese che dovrebbe suscitare rivolta in
qualsiasi italiano di buon senso. Sono persone prive di visione,
incapaci di pensare in categorie che non siano quelle tattiche della
Realpolitik. Sono le persone che hanno sterilizzato il dibattito
politico italiano polarizzandolo sul tema dell’antiberlusconismo, non
perché ritenessero Berlusconi dannoso al paese, ma perché lo ritenevano
di intralcio alla loro bramosia di potere.
Del resto, costruire un nemico era l’unico modo per coagulare un po’ di consenso attorno a una classe politica che non aveva nulla da dire e molto da nascondere. Perché queste persone sono le stesse che per “disciplinare” (leggi: sconfiggere) i sindacati hanno sconfitto il proprio paese, nella speranza di poter così entrare (loro) nei salotti buoni della finanza (“abbiamo una banca”!). Cara Concita, benvenuta nel club dei complottisti. Non mi sei mai sembrata così bella! Se poi sapessi che anche tu capisci che questa sinistra ha gestito l'euro come la presidenza della regione Lazio, mi sentirei meno solo su questa terra...
Del resto, costruire un nemico era l’unico modo per coagulare un po’ di consenso attorno a una classe politica che non aveva nulla da dire e molto da nascondere. Perché queste persone sono le stesse che per “disciplinare” (leggi: sconfiggere) i sindacati hanno sconfitto il proprio paese, nella speranza di poter così entrare (loro) nei salotti buoni della finanza (“abbiamo una banca”!). Cara Concita, benvenuta nel club dei complottisti. Non mi sei mai sembrata così bella! Se poi sapessi che anche tu capisci che questa sinistra ha gestito l'euro come la presidenza della regione Lazio, mi sentirei meno solo su questa terra...
Il debito pubblico non c’entra.
Sgomenta l’unanimità
con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito
pubblico. Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco
ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della
“controriforma” seguita al crollo del muro. Questo a Rossanda è chiaro.
Le ricordo che nessun economista ha mai asserito, prima del
trattato di Maastricht, che la sostenibilità di un’unione monetaria
richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico (il 60% di cui parla
lei). Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht, ribadendo il fatto che queste soglie sono insensate. Maastricht è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più
mercato). Ma perché qui (cioè a sinistra?) nessuno mette Maastricht in
discussione? Questo Rossanda non lo nota e non se lo chiede. Se il
problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito
prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio
(89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona
avevano debiti pubblici inferiori. Ma la crisi è esplosa prima in
Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo
(65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Non il
debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi),
ma l’inflazione. Già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo,
Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella
dei paesi “virtuosi”. I Pigs erano un club a parte, distinto dal club
del marco (Germania, Francia, Belgio, ecc.), e questo sì che era un
problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non
uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi di debito estero (prevalentemente privato).
Secondo
commento: inutile dire che questo punto (la rilevanza del debito
privato) è passato inosservato. Anche qui il motivo è politico. A tutti,
ma soprattutto alla “sinistra”, fa comodo liquidare il problema come un
problema di debito pubblico, perché così ne può dare la colpa al
governo precedente. Il problema è invece di debito privato, la colpa è
dell’euro, e il governo precedente ha tenuto i conti in ordine,
mantenendo il fisiologico incremento del debito durante la recessione
nell’ambito dei 10 punti di Pil. Certo, questo ci ha riportato indietro
di dieci anni come rapporto debito/Pil, ma in Europa, con una crisi
simile, solo la Germania ha fatto marginalmente meglio di noi, potendo
però contare su una crescita drogata dalla nostra domanda. Quindi
Berlusconi non era un problema macroeconomico, l’euro sì, e i fatti lo
dimostrano.
Inflazione e debito estero.
Se
in X i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, X esporta
sempre meno, e importa sempre più, andando in deficit di bilancia dei
pagamenti. La valuta di X, necessaria per acquistare i beni di X, è meno
richiesta e il suo prezzo scende, cioè X svaluta: in questo modo i suoi
beni ridiventano convenienti, e lo squilibrio si allevia. Effetti
uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta
diventa scarsa e si apprezza. Ma se X è legato ai suoi partner da
un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire
l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o X deflaziona, o i
suoi partner in surplus inflazionano. Nella visione keynesiana i due
meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché
surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere
in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve
accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la
visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella
nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono i “cattivi” in deficit a
dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se, come i Pigs, non ci
riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si indebita con
l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione
più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal
1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65)
e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella
spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi
all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.
Andamento e struttura del debito greco in Mld di €: Rosso: debito in scadenza; verde deficit di bilancio; viola: prestiti Ue; marrone: prestiti FMI: Blu: altri. [Fonti: le Figaro/Sg CIB, 05/2011] |
Lo spettro del 1992.
E
l’Italia? Dice Rossanda: “il nostro indebitamento è soprattutto
all’interno”. Non è più vero. Pensate veramente che ai mercati interessi
con chi va a letto Berlusconi? Pensate che si preoccupino perché il
debito pubblico è “alto”? Ma il nostro debito pubblico è sopra il 100%
da 20 anni, e i nostri governi, anche se meno folcloristici, sono stati
spesso più instabili. Non è questo che preoccupa i mercati: quello che
li preoccupa è che oggi, come nel 1992, il nostro indebitamento con
l’estero sta aumentando, e che questo aumento, come nel 1992, è guidato
dall’aumento dei pagamenti di interessi sul debito estero, che è in
massima parte debito privato, contratto da famiglie e imprese (il 65%
delle passività sull’estero dell’Italia sono di origine privata).
Terzo
commento: previsione azzeccata. Vorrei ricordare che all’epoca la
sinistra “per bene” era tutta intenta a combattere il Belzebù
Berlusconi, ritenuto responsabile della sfiducia dei mercati. Berlusconi
se ne è andato, e lo spread è granitico intorno a 500 punti. Mi sembra
chiaro quindi che i mercati non erano innervositi da lui, come avevo
detto (anche su lavoce.info, che all'epoca era l'organo più antiberlusconiano in circolazione, per comprensibili motivi).
Cui Prodest?
Calata
nell’asimmetria ideologica mercantilista (i “buoni” non devono
cooperare) e monetarista (inflazione zero) la scelta politica di
privarsi dello strumento del cambio diventa strumento di lotta di
classe. Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui
prezzi dei beni, che possono diminuire o riducendo i costi (quello del
lavoro, visto che quello delle materie prime non dipende da noi) o
aumentando la produttività. Precarietà e riduzioni dei salari sono
dietro l’angolo. La sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi
fa un po’ pena. Chi non deflaziona accumula debito estero, fino alla
crisi, in seguito alla quale lo Stato, per evitare il collasso delle
banche, si accolla i debiti dovuti agli squilibri esterni,
trasformandoli in debiti pubblici. Alla privatizzazione dei profitti
segue la socializzazione delle perdite, con il vantaggio di poter
incolpare a posteriori i bilanci pubblici. La scelta non è se
deflazionare o meno, ma se farlo subito o meno. Una scelta ristretta, ma
solo perché l’ottusità ideologica impone di concentrarsi sul sintomo
(lo squilibrio pubblico, che può essere corretto solo tagliando),
anziché sulla causa (lo squilibrio esterno, che potrebbe essere corretto
cooperando). Alla domanda di Rossanda “non c’è stato qualche errore?”
la risposta è quella che dà lei stessa: no, non c’è stato nessun errore.
Lo scopo che si voleva raggiungere, cioè la “disciplina” dei
lavoratori, è stato raggiunto: non sarà “di sinistra”, ma se volete
continuare a chiamare “sinistra” dei governi “tecnici” a guida
democristiana accomodatevi. Lo dice il manuale di Acocella: il “cambio
forte” serve a disciplinare i sindacati.
Quarto
commento: so che non fa piacere scoprire di essere stati presi in giro.
Per questo il mio lavoro ha avuto molte critiche. Ma se non partiamo da
qui, cioè dall’ammissione che il “popolo della sinistra” si è fatto
prendere in giro da politici che gli hanno proposto come soluzione delle
politiche di destra (perché dannose agli interessi dei salariati) non
andremo da nessuna parte. Bisogna rottamare i “padri nobili” dotati di
“visione” che ci hanno messo in queste condizioni con l’euro, a partire
da quello che si rimbocca le maniche, e rottamarli da sinistra, cosa che
si può fare solo denunciando quello che è in tutti i manuali di
economia, cioè la distorsione deflazionistica che l’euro induce, per cui
alla fine rimane solo da tagliare. Se non lo si denuncia apertamente,
allora la rottamazione rimarrà (come è) in mano ai giovanotti tutti
chiesa e Bce, e non usciremo dal meccanismo dei sacrifici inutili.
Più Europa?
Secondo
la teoria economica un’unione monetaria può reggere senza tensioni sui
salari se i paesi sono fiscalmente integrati, poiché ciò facilita il
trasferimento di risorse da quelli in espansione a quelli in recessione.
Una “soluzione” che interviene a valle, cioè allevia i sintomi, senza
curare la causa (gli squilibri esterni). È il famoso “più Europa”. Un
esempio: festeggiamo quest’anno il 150° anniversario dell’unione
monetaria, fiscale e politica del nostro paese. “Più Italia” l’abbiamo
avuta, non vi pare? Ma 150 anni dopo la convergenza dei prezzi fra le
varie regioni non è completa, e il Sud ha un indebitamento estero
strutturale superiore al 15% del proprio Pil, cioè sopravvive importando
capitali dal resto del mondo (ma in effetti dal resto d’Italia). Dopo
cinquanta anni di integrazione fiscale nell’Italia (monetariamente)
unita abbiamo le camicie verdi in Padania: basterebbero dieci anni di
integrazione fiscale nell’area euro, magari a colpi di Eurobond, per
riavere le camicie brune in Germania. L’integrazione fiscale non è
politicamente sostenibile perché nessuno vuole pagare per gli altri,
soprattutto quando i media, schiavi dell’asimmetria ideologica,
bombardano con il messaggio che gli altri sono pigri, poco produttivi,
che “è colpa loro”. Siano greci, turchi, o ebrei, sappiamo come va a
finire quando la colpa è degli altri.
Quinto
commento: a quell’epoca non andava ancora di moda chiedere alla Bce di
agire come “lender of last resort”. Una versione riveduta e corretta, ma
ugualmente insulsa, del più Europa. I motivi sono due: (1) nel lungo
periodo interventi di quantitative easing da parte della Bce alzerebbero
l’inflazione nei paesi del nucleo europeo, i cui elettori sono stati
bombardati da anni col messaggio che l’inflazione è il male assoluto. La
non sostenibilità politica di questo intervento è quindi chiara: al
limite, sarebbero gli elettori dei paesi del nucleo a chiedere di uscire
dall’euro (danneggiando se stessi). (2) qualsiasi politica monetaria
centralizzata non corregge gli squilibri fondamentali, che sono
squilibri fra paesi. A cosa serve alzare l’inflazione media europea, se
la Germania ne ha comunque (per quanto alta) un po’ meno degli altri? A
nulla. L’unico risultato è quello di dare un po’ di fiato alle finanze
pubbliche dei paesi periferici, in modo che abbiano munizioni da sparare
quando le loro finanze private rientreranno in crisi, avendo accumulato
passività verso i paesi del nucleo. Forse è questo che si vuole.
Quelli
che vogliono una Bce come la Fed americana forse non sanno che negli
Stati Uniti il bilancio federale compensa con trasferimenti una
proporzione attorno al 30% degli shock negativi subiti da Stati
dell’Unione. Questo è il risultato degli studi compiuti non dai soliti
ex-sindacalisti, ex-sociologi, ex-portieri di serie B che in questi
giorni pontificano sull’euro, ma da studiosi di riconosciuto spicco
internazionale come Bayoumi e Masson o Sala-i-Martin e Sachs,
articoli che un economista che vuole pronunciarsi su questo dibattito
dovrebbe conoscere (parlo mai di Walras io?). In questo caso, e solo in
questo caso, la politica monetaria centralizzata funziona. Si chiama
integrazione fiscale. E voi ce la vedete la Germania ad agire in tal
senso, compensando gli shock dei Pigs con i soldi che ha accumulato
grazie alla loro domanda? No, ovviamente. Quindi anche la Bce modello
Fed non può funzionare. Chiavatevelo in testa: non può. L’unica Bce
buona è quella morta.
Deutschland über alles.
Le
soluzioni “a valle” dello squilibrio esterno sono politicamente
insostenibili, ma lo sono anche quelle “a monte”. La convivenza con
l’euro richiederebbe l’uscita dall’asimmetria ideologica mercantilista.
Bisognerebbe prevedere simmetrici incentivi al rientro per chi si
scostasse in alto o in basso da un obiettivo di inflazione. Il
coordinamento del quale Rossanda parla andrebbe costruito attorno a
questo obiettivo. Ma il peso dei paesi “virtuosi” lo impedirà. Perché
l’euro è l’esito di due processi storici. Rossanda vede il primo (il
contrattacco del capitale per recuperare l’arretramento determinato dal
new deal post-bellico), ma non il secondo: la lotta secolare della
Germania per dotarsi di un mercato di sbocco. Ci si estasia (a destra e a
sinistra) per il successo della Germania, la “locomotiva” d’Europa, che
cresce intercettando la domanda dei paesi emergenti. Ma i dati che
dicono? Dal 1999 al 2007 il surplus tedesco è aumentato di 239 miliardi
di dollari, di cui 156 realizzati in Europa, mentre il saldo commerciale
verso la Cina è peggiorato di 20 miliardi (da un deficit di
-4 a uno di -24). I giornali dicono che la Germania esporta in Oriente e
così facendo ci sostiene con la sua crescita. I dati dicono il
contrario. La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio
fisso, sostiene la crescita tedesca. E la Germania non rinuncerà a
un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando. Ma perché i governi
“periferici” si sono fatti abbindolare dalla Germania? Lo dice il
manuale di Gandolfo: la moneta unica favorisce una “illusione della
politica economica” che permette ai governi di perseguire obiettivi
politicamente improponibili, cavandosela col dire che sono imposti da
istanze sopraordinate (quante volte ci siamo sentiti dire “l’Europa ci
chiede...”?). Il fine (della lotta di classe al contrario) giustificava
il mezzo (l’ancoraggio alla Germania).
Sesto
commento: sono sconfortato dall’insipienza tecnica non solo del
pubblico, ma anche e soprattutto di molti colleghi. L’ideologia della
stabilità dei prezzi li porta a non capire una cosa semplicissima: in un
sistema di cambi fissi chi forza una deflazione sta praticando una
svalutazione reale competitiva. Che questo sia da 60 anni il disegno
esplicito della Germania è lucidissimamente esposto da Cesaratto.
Un sistema di cambi fissi (o moneta unica, il che è lo stesso) non può
sopravvivere se c’è qualcuno che fa il furbo, e non esistono strumenti
tecnici per opporsi. Non esistono perché non li si vuole porre in
essere. In una logica keynesiana, sarebbe bastato inserire nella
costruzione dell’euro una clausola della valuta scarsa (come quella che
Keynes propose a Bretton Woods), che attribuisse ai paesi in deficit il
diritto di adottare pratiche commerciali protezionistiche nei confronti
dei paesi in surplus che non accettassero (come la Germania non accetta)
di cooperare alla soluzione degli squilibri. Non lo si è fatto non
tanto perché le regole le detta il più forte, ma anche perché dotando i
paesi di armi per difendersi si sarebbe palesato il fatto che con l’euro
si apriva una guerra commerciale. E l’euro doveva essere venduto agli
elettori come l’età dell’oro...
La svalutazione rende ciechi.
È un
film già visto. Ricordate lo Sme “credibile”? Dal 1987 al 1991 i cambi
europei rimasero fissi. In Italia l’inflazione salì dal 4.7% al 6.2%,
con il prezzo del petrolio in calo (ma i cambi fissi non domavano
l’inflazione?). La Germania viaggiava su una media del 2%. La
competitività italiana diminuiva, l’indebitamento estero aumentava, e
dopo la recessione Usa del 1991 l’Italia dovette svalutare.
Svalutazione! Provate a dire questa parola a un intellettuale di
sinistra. Arrossirà di sdegnato pudore virginale. Non è colpa sua. Da
decenni lo bombardano con il messaggio che la svalutazione è una di
quelle cosacce che provocano uno sterile sollievo temporaneo e orrendi
danni di lungo periodo. Non è strano che un sistema a guida tedesca sia
retto dal principio di Goebbels: basta ripetere abbastanza una bugia
perché diventi una verità. Ma cosa accadde dopo il 1992?
L’inflazione scese di mezzo punto nel ’93 e di un altro mezzo nel ’94.
Il rapporto debito estero/Pil si dimezzò in cinque anni (da -12 a -6
punti di Pil). La bolletta energetica migliorò (da -1.1 a -1.0 punti).
Dopo uno shock iniziale, l’Italia crebbe a una media del 2% dal 1994 al
2001. La lezioncina sui danni della svalutazione (genera inflazione,
procura un sollievo solo temporaneo, non ce la possiamo permettere
perché importiamo il petrolio) è falsa.
Settimo
commento: i tronfi tromboni (o parola che faccia rima) che premettono
un “neo” a ogni parola che usano (il neoliberismo neocapitalista, il
neouovo e la neogallina), lo fanno un po’ perché sono pagati a cartella
(forse), e molto per indurre la sensazione (falsa, ma plausibile agli
occhi degli incolti) che questa volta siamo in una situazione totalmente
nuova, per cui la storia non ha nulla da insegnarci. La Storia ha
sempre da insegnare, a chi non è in cattiva fede.
Irreversibile?
Ma
tutto questo Rossanda non lo sa. Sa che la svalutazione non sarebbe
risolutiva, e che le procedure di uscita non sono previste, quindi...
Quindi cosa? Veramente Rossanda è così ingenua da non vedere che la
mancanza di procedure di uscita è solo un espediente retorico, il cui
scopo è quello di radicare nel pubblico l’idea di una “naturale” o
“tecnica” irreversibilità di quella che in fondo è una scelta umana e
politica (e come tale reversibile)? Certo, la svalutazione renderebbe
più oneroso il debito definito in valuta estera. Ma porterebbe da una
situazione di indebitamento estero a una di accreditamento estero,
producendo risorse sufficienti a ripagare i debiti, come nel 1992. Se
non lo fossero, rimarrebbe la possibilità del default. Prodi vuol far
sostenere una parte del conto ai “grossi investitori istituzionali”?
Bene: il modo più diretto per farlo non è emettere Eurobond
“socializzando” le perdite a beneficio della Germania (col rischio
camicie brune), ma dichiarare, se sarà necessario, il default, come
hanno già fatto tanti paesi che non sono stati cancellati dalla
geografia economica per questo. È già successo e succederà. “I mercati
ci puniranno, finiremo stritolati!”. Altra idiozia. Per decenni l’Italia
è cresciuta senza ricorrere al risparmio estero. È l’euro che,
stritolando i redditi e quindi i risparmi delle famiglie, ha costretto
il paese a indebitarsi con l’estero. Il risparmio nazionale lordo,
stabile attorno al 21% dal 1980 al 1999, è sceso costantemente da allora
fino a toccare il 16% del reddito. Nello stesso periodo le passività
finanziarie delle famiglie sono raddoppiate, dal 40% all’80%. Rimuoviamo
l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati
continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani.
Ottavo
commento: la ricerca scientifica dice che i costi del default sono
grandemente esagerati dall’opinione pubblica. Del resto, l’Argentina dal
suo default in poi è decollata, i redditi pro capite sono cresciuti
dell’8% all’anno, portando l’Argentina dalla 60° alla 54° posizione
nella graduatoria mondiale. Certo, le interpretazioni su cosa è successo
non sono univoche (possono mai esserlo, quando ci sono i soldi di
mezzo?), ma una cosa è certa: chi evoca l’Argentina come spauracchio è
un dilettante che fa autogol, per diversi motivi: (1) perché rende
evidente che l’euro non ci ha difeso dalla crisi, ma ci ha messo in
crisi, esattamente come l’Argentina fu messa in crisi dall’aggancio al
dollaro: perdita di competitività, accumulo di debito estero, crisi; (2)
perché rende altresì evidente che la crisi da noi non sarebbe
ugualmente devastante: la svalutazione necessaria all’Italia si colloca
attorno al 20%, perché questo è il differenziale di inflazione che
abbiamo cumulato verso la Germania dall’ultimo riallineamento del
cambio; in Argentina fu del 230% non perché “i mercati” la punirono, ma
perché quello era il differenziale di inflazione maturato nei confronti
del dollaro negli anni della dollarizzazione; abbiamo già svalutato del
20% nel 1992, è stata dura, ma siamo sopravvissuti; chi parla di svalutazioni del 100% sragiona o
è un dilettante dell’economia che non dovrebbe parlare in un momento di
crisi, momento in cui la disinformazione diventa un atto
intrinsecamente antidemocratico; gli
esperti, che in quanto tali stanno già pensando a un piano B, sanno che
la svalutazione nostra (o la rivalutazione tedesca) sarà di
quell’ordine di grandezza; ringrazio Sergio Polini per la
segnalazione dell'ultimo link, ma, senza sminuire il suo contributo,
segnalo che queste cifre sono ovvie, perché sono quelle ampiamente
previste dalla teoria economica ,
secondo la quale quando ci si sgancia da una valuta troppo forte si
recupera il differenziale di inflazione cumulato, e questo è anche il
modello che i mercati usano! (3) perché oggi gli argentini stanno bene.
Non faccia la sinistra ciò che fa la destra.
Dall’euro
usciremo, perché alla fine la Germania segherà il ramo su cui è seduta.
Sta alla sinistra rendersene conto e gestire questo processo, anziché
finire sbriciolata. Non sto parlando delle prossime elezioni. Berlusconi
se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la
macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di
sangue stonano meno sul grembiule rosso. Sarà ancora una volta concesso
alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché
esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più
accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di
sinistra. Ma gli elettori cominciano a intuire che la macelleria sociale
si può chiudere uscendo dall’euro. Cara Rossanda, gli operai non sono
“scombussolati”, come dice lei: stanno solo capendo. “Peccato e vergogna
non restano nascosti”, dice lo spirito maligno a Gretchen. Così, dopo
vent’anni di Realpolitik, ad annaspare dove non si tocca si
ritrovano i politici di sinistra, stretti fra la necessità di ossequiare
la finanza, e quella di giustificare al loro elettorato una scelta
fascista non tanto per le sue conseguenze di classe, quanto per il
paternalismo con il quale è stata imposta. Si espongono così alle
incursioni delle varie Marine Le Pen che si stanno affacciando in paesi
di democrazia più compiuta, e presto anche da noi. Perché le politiche
di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra. Ma mi rendo
conto che in un paese nel quale basta una legislatura per meritarsi una
pensione d’oro, il lungo periodo possa non essere un problema dei
politici di destra e di sinistra. Questo spiega tanta unanimità di
vedute.
Nono
e ultimo commento: ogni singola parola di questo paragrafo mi è stata
contestata. Mi è stato detto: “il capitalismo tedesco è razionale, non
segherà il ramo sul quale è seduto”... e si è visto! Le cose si sono
spinte a un punto tale che ormai l’unica soluzione razionale per la
Germania è propugnare un’uscita selettiva o generalizzata. Non lo si
dice per evitare fenomeni, appunto, argentini (corse agli sportelli,
ecc.), ma che ci sia aria di piano B è evidente e confermato da tutti i
quotidiani finanziari internazionali. Il governo tecnico (il macellaio
col grembiule rosso) è arrivato, come da me previsto in un periodo in
cui tutti pensavano che Berlusconi sarebbe stato eterno. Ma il lavoro
sporco in democrazia viene sempre fatto fare alla sinistra. Vi ricordate
gli anni ’90? Da dove venite? Da Marte? La destra si è appropriata di
una verità tecnica (l’euro è stato un errore) e la sinistra continua a
difendere una bugia tecnica, quando, se avesse ascoltato il mio modesto
contributo e quello di tanti grandi economisti, avrebbe potuto attivare
un vero dibattito sulla rotta d’Europa, su basi equilibrate e
propositive, anziché la sfilata della corte dei miracoli alla quale
abbiamo assistito per tutta l’estate, condotta su basi distorte e
difensive, tutte volte a salvare il non salvabile, e quindi a non
riflettere sul “dopo”. Perché un “dopo” ci sarà. E naturalmente chi avrà
mentito e continuato a mentire ai suoi elettori non potrà che pagarne
le conseguenze. Ci avviamo a altri due decenni di governi di destra,
nazionalisti e populisti, se non ammettiamo che l’euro è stato un
errore, non liquidiamo politicamente chi lo ha commesso, e non
riflettiamo su come uscirne con il minor danno possibile.
Sed
de hoc satis. Per un economista, in fondo, non è così divertente
occuparsi di cose che la lettura affrettata di un libro di testo del
secondo anno fa immediatamente intuire come ovvie. Volevo solo attirare
la vostra attenzione sul fatto che queste verità ovvie sono state
deliberatamente ignorate da qualcuno. E il motivo c'era. Complottismo?
* Fonte: Goofynomics
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