“Ocio Disi, che adesso scodello la pasta!!!“. Era sempre Franco
detto “Boranga”, che gridava. E poi il paranco andava giù, tirandosi
dietro il flusso della lega di acciaio rovente, come un fiume iridato. E
a quel punto toccava a lui, a Disi: era il momento di fare la battuta.
Lavorare alla stampatura, ancora nel XXI secolo, non era molto diverso
da farlo, nel XIX. Dovevi passare la tua giornata davanti alla fiamma
del metallo che fonde, al calore che ti scartavetra la faccia, alle
vampe che ti scotennano la pelle. Dovevi battere il colpo con la forza
delle tue braccia. Si, é vero c’erano anche un contratto nazionale, e un
orario di lavoro. Ma da che mondo è mondo, in fabbrica, alla
stampatura, si viene pagati a battuta. Lavorare allo stampo, da che
mondo é mondo, significa che la giornata di lavoro finisce solo quando
finiscono le tue battute. Di solito Boranga gli gridava: “Cosa contiamo stavolta, Disi?“. C’era stata una parte della sua vita in cui aveva misurato tutto con le battute, e Disilluso Padano
aveva sempre fatto così, quando la fatica iniziava a morderlo come un
artiglio intorno agli occhi: questa é per finire la rata della macchina,
questa é per pagare il mutuo del mese della casa, questa é per mandare
la piccola Lara in gita, come tutti gli altri.
Ogni volta Disi aveva scadenzato la speranza della sua vita con i colpi delle battute. Ma adesso anche tutti i sogni erano scadenzati in battute, e anche quell’incubo che lo svegliava nel cuore della notte, con le braccia che si muovevano da sole, per un riflesso, e quel dolore terribile, come una coltellata secca, tra il braccio e la schiena. Il dottore, alla mutua aveva preso un respiro, prima di parlare: “Te lo dico perché ti voglio bene, Disi: dovresti smettere. Guarda che la prossima visita che passi visita, in fabbrica, finisci tra gli Erreciielle”. Rcl era una sigla, ma anche un chiodo di angoscia, per lui. Se ti mettono il timbro rosso dell’Rcl, sulla cartella medica, é peggio di una condanna. Esami, esami, esami, e poi quella sentenza: “Inidoneitá sopravvenuta alla mansione”. Baldi, il primo a cui era toccato in sorte aveva ruggito di rabbia impotente: “e che Cazzo vuol dire?”. Il medico della fabbrica aveva risposto con aria costernata, mentre metteva il timbro rosso sul referto: “Significa che ti licenziano“.
Una vita alla Berko, nel Canavese, a stampare le maglie dei cingoli, Disi. Una vita scandita da quel metronomo pesante sul tuo corpo: il primo colpo entusiastico, a 18 anni, l’ultimo faticosissimo ieri. Adesso sei in fila al supermercato a caccia di tre per due. Sessant’anni malportati, per Disilluso, e persino qualche beffa atroce, come l’altro giorno all’autogrill: “Che bel colorito che ha: é giá andato in settimana bianca con i nipotini? Le sono rimasti i segni della maschera da sci intorno agli occhi!“. E lui gelido: “No, guardi: lavoro in fonderia“.
Ecco perché adesso, quando é allo stampo, per la prima volta nella sua vita, il suo metronomo non batte più una somma crescente, ma un conto alla rovescia. Non batte più per il mutuo, per la macchina, per l’aspirapolvere. “Cosa conti oggi, Disi???!”, gridava Boranga quando calava la lega incandescente. E lui, con la voce bassa: “Conto quel che mi manca alla pensione“. Dieci colpi al minuto, cento all’ora. settecento al giorno. Ventunomila colpi, in un anno. Ventunomila battute che mancano alla pensione.
Anzi no. Ventunomila fino alla settimana scorsa. Poi martedi la ministra rugosa e forbita ha pianto. Disi l’ha vista, quel giorno, in tv, e ha sentito di nuovo il colpo al braccio, come quando ha gli incubi, di notte, e la fitta al tendine, dietro la schiena. La mattina dopo é corso dal suo delegato, la Margot. Disi é nel sindacato cattolico, da sempre. Per molti anni ha votato Dc, poi Per alcuni anni Pci, dopo aver visto Berlinguer andare davanti ai cancelli della Fiat, a dire che lui stava con gli operai. Infine, da Tangentopoli in poi, sempre e solo Lega: gli altri gli facevano schifo, ed era tanta la paura che uno più giovane, magari straniero, gli rubasse il lavoro. Gli era piaciuto molto, il senatùr, quando diceva con la sua voce biascicata: “Le pensioni… non si toccano… Ehhh….“. É vecchio e malandato come me, pensava Disi.
Poi quella sera la ministra aveva pianto e la mattina dopo, quando era andato da Margot, le aveva chiesto: “A me questa cosa non mi tocca, vero?“. Allora lei aveva abbassato gli occhi:
- “Disi, tu…“.
- “Tu cosa?”
- “Sei…. anagraficamente sfortunato“.
Margot voleva dire questo: Disi era nato nel 1952, era entrato in fabbrica a 19 anni, nel 1971, quando i colpi gli correvano veloci, sotto le mani. Aveva compiuto quarant’anni di fabbrica e tre figli quell’anno. E oggi la pensione era anche un’esigenza economica: restare fino all’ultimo per uscire con il massimo, e poi andare in pensione, sapendo almeno di poter pagare l’università a Mara. Ma adesso Margot scuoteva il capo: “Mi spiace Disi… Con le nuove norme devi fare altri tre anni”. E lui: “Sessantatremila?“. E lei: “Cosa?“. E lui: “Ancora sessantatremila colpi“.
L’altro giorno Disi ha visto parlare in televisione quel sottosegretario al welfare. Il giovane professorino che adesso é diventato “tecnico”, quello con il none che pare un cognome e il cognome che pare un pirla. Stava parlando di quelli come lui. I “fortunati” che restano a lavorare. Gli hanno chiesto di chi lavora in fonderia. Il professorino ha cinguettato: “per gli usuranti l’innalzamento dell’età pensionabile non vale“. Il giorno dopo é corso dalla Margot. Ma la sua faccia é rimasta seria: “Tu non ci rientri Disi. Il decreto del 2011 é stato uno scherzetto: solo 15 mila usuranti, hanno definito. Quelli dell’altoforno sì. Tu che sei allo stampo, no“.
Ancora settecento colpi senza sapere perché, poi é arrivato quel maledetto giorno della visita con il medico di fabbrica, e il timbro rosso sullo statino: “Rcl”: licenziamento. Vuol dire che sei diventato parte di una nuova razza. Significa che Disi non può andare in pensione ma non può nemmeno continuare a lavorare. Era uno che aveva battuto colpi per tutta una vita, e ora gli restava solo la Caritas: “Mi hanno fatto diventare un inservibile Margot. E voi del sindacato non combinerete un tubo“.
La mattina dopo la lettera l’ha trovata Lara, sul suo scrittoio: “Cucciola, l’università Papá te la paga lo stesso. Con l’Inail“. Quando sua figlia é arrivata alla fabbrica era giá troppo tardi. Si é trovata stretta fra le braccia d’acciaio di Boranga, lacrime di sale senza pianto. “Tuo padre se n’é andato come é vissuto. L’ultimo colpo, mi ha gridato mentre si buttava, é per Lara“.
Ogni volta Disi aveva scadenzato la speranza della sua vita con i colpi delle battute. Ma adesso anche tutti i sogni erano scadenzati in battute, e anche quell’incubo che lo svegliava nel cuore della notte, con le braccia che si muovevano da sole, per un riflesso, e quel dolore terribile, come una coltellata secca, tra il braccio e la schiena. Il dottore, alla mutua aveva preso un respiro, prima di parlare: “Te lo dico perché ti voglio bene, Disi: dovresti smettere. Guarda che la prossima visita che passi visita, in fabbrica, finisci tra gli Erreciielle”. Rcl era una sigla, ma anche un chiodo di angoscia, per lui. Se ti mettono il timbro rosso dell’Rcl, sulla cartella medica, é peggio di una condanna. Esami, esami, esami, e poi quella sentenza: “Inidoneitá sopravvenuta alla mansione”. Baldi, il primo a cui era toccato in sorte aveva ruggito di rabbia impotente: “e che Cazzo vuol dire?”. Il medico della fabbrica aveva risposto con aria costernata, mentre metteva il timbro rosso sul referto: “Significa che ti licenziano“.
Una vita alla Berko, nel Canavese, a stampare le maglie dei cingoli, Disi. Una vita scandita da quel metronomo pesante sul tuo corpo: il primo colpo entusiastico, a 18 anni, l’ultimo faticosissimo ieri. Adesso sei in fila al supermercato a caccia di tre per due. Sessant’anni malportati, per Disilluso, e persino qualche beffa atroce, come l’altro giorno all’autogrill: “Che bel colorito che ha: é giá andato in settimana bianca con i nipotini? Le sono rimasti i segni della maschera da sci intorno agli occhi!“. E lui gelido: “No, guardi: lavoro in fonderia“.
Ecco perché adesso, quando é allo stampo, per la prima volta nella sua vita, il suo metronomo non batte più una somma crescente, ma un conto alla rovescia. Non batte più per il mutuo, per la macchina, per l’aspirapolvere. “Cosa conti oggi, Disi???!”, gridava Boranga quando calava la lega incandescente. E lui, con la voce bassa: “Conto quel che mi manca alla pensione“. Dieci colpi al minuto, cento all’ora. settecento al giorno. Ventunomila colpi, in un anno. Ventunomila battute che mancano alla pensione.
Anzi no. Ventunomila fino alla settimana scorsa. Poi martedi la ministra rugosa e forbita ha pianto. Disi l’ha vista, quel giorno, in tv, e ha sentito di nuovo il colpo al braccio, come quando ha gli incubi, di notte, e la fitta al tendine, dietro la schiena. La mattina dopo é corso dal suo delegato, la Margot. Disi é nel sindacato cattolico, da sempre. Per molti anni ha votato Dc, poi Per alcuni anni Pci, dopo aver visto Berlinguer andare davanti ai cancelli della Fiat, a dire che lui stava con gli operai. Infine, da Tangentopoli in poi, sempre e solo Lega: gli altri gli facevano schifo, ed era tanta la paura che uno più giovane, magari straniero, gli rubasse il lavoro. Gli era piaciuto molto, il senatùr, quando diceva con la sua voce biascicata: “Le pensioni… non si toccano… Ehhh….“. É vecchio e malandato come me, pensava Disi.
Poi quella sera la ministra aveva pianto e la mattina dopo, quando era andato da Margot, le aveva chiesto: “A me questa cosa non mi tocca, vero?“. Allora lei aveva abbassato gli occhi:
- “Disi, tu…“.
- “Tu cosa?”
- “Sei…. anagraficamente sfortunato“.
Margot voleva dire questo: Disi era nato nel 1952, era entrato in fabbrica a 19 anni, nel 1971, quando i colpi gli correvano veloci, sotto le mani. Aveva compiuto quarant’anni di fabbrica e tre figli quell’anno. E oggi la pensione era anche un’esigenza economica: restare fino all’ultimo per uscire con il massimo, e poi andare in pensione, sapendo almeno di poter pagare l’università a Mara. Ma adesso Margot scuoteva il capo: “Mi spiace Disi… Con le nuove norme devi fare altri tre anni”. E lui: “Sessantatremila?“. E lei: “Cosa?“. E lui: “Ancora sessantatremila colpi“.
L’altro giorno Disi ha visto parlare in televisione quel sottosegretario al welfare. Il giovane professorino che adesso é diventato “tecnico”, quello con il none che pare un cognome e il cognome che pare un pirla. Stava parlando di quelli come lui. I “fortunati” che restano a lavorare. Gli hanno chiesto di chi lavora in fonderia. Il professorino ha cinguettato: “per gli usuranti l’innalzamento dell’età pensionabile non vale“. Il giorno dopo é corso dalla Margot. Ma la sua faccia é rimasta seria: “Tu non ci rientri Disi. Il decreto del 2011 é stato uno scherzetto: solo 15 mila usuranti, hanno definito. Quelli dell’altoforno sì. Tu che sei allo stampo, no“.
Ancora settecento colpi senza sapere perché, poi é arrivato quel maledetto giorno della visita con il medico di fabbrica, e il timbro rosso sullo statino: “Rcl”: licenziamento. Vuol dire che sei diventato parte di una nuova razza. Significa che Disi non può andare in pensione ma non può nemmeno continuare a lavorare. Era uno che aveva battuto colpi per tutta una vita, e ora gli restava solo la Caritas: “Mi hanno fatto diventare un inservibile Margot. E voi del sindacato non combinerete un tubo“.
La mattina dopo la lettera l’ha trovata Lara, sul suo scrittoio: “Cucciola, l’università Papá te la paga lo stesso. Con l’Inail“. Quando sua figlia é arrivata alla fabbrica era giá troppo tardi. Si é trovata stretta fra le braccia d’acciaio di Boranga, lacrime di sale senza pianto. “Tuo padre se n’é andato come é vissuto. L’ultimo colpo, mi ha gridato mentre si buttava, é per Lara“.
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