giovedì 1 dicembre 2011

2012. L'anno Maya della finanza globale

Solo l'intervento pubblico tiene in piedi la finanza mondiale in cerca di valorizzazione e in "fuga dal rischio". Ma il 2012 è l'anno in cui ci sarà necessità di rifinanziare obbligazioni per decine di migliaia di miliardi.
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2012, l'«anno Maya» della finanza globale
Claudio Mezzanzanica, Il Manifesto
L'anno prossimo in tutto il mondo scadono 11.550 miliardi di bond statali e non. Italia in prima fila: Btp 350 miliardi, Unicredit 30, Intesa 24, Telecom 8
L'allarme di Vegas sulla crisi di liquidità del sistema bancario italiano non va assolutamente sottovalutato. Siamo, infatti, alla vigilia dell'anno horribilis per la finanza mondiale. 
Nel 2012 dovranno essere rifinanziati titoli di stato per 11.550 miliardi di euro, pari ad un sesto del Pil mondiale. Le banche europee, secondo le dichiarazioni di Draghi hanno in scadenza titoli propri per 800 miliardi. A tutto ciò dobbiamo aggiungere le scadenze dei titoli delle aziende - quasi ottocento miliardi solo in Europa - delle banche americane ed asiatiche. Occorre quasi un quarto del Pil mondiale per fare fronte a questa necessità finanziaria. Questo se il debito - privato o pubblico che sia - non aumenta. Secondo il Fmi, senza adeguati interventi, il debito dei primi 24 stati dell'occidente salirà di 364 miliardi. Cioè è destinato ad aumentare.
Nel corso del 2011 il fabbisogno finanziario è stato pari al 60% circa di quello previsto per il prossimo anno. Eppure tensioni non sono mancate. Cosa succederà il prosssimo anno? 
Il 70% del debito pubblico è composto da emissioni di Giappone e Usa. Tokyo ha bisogno di rinnovare 3.500 miliardi, Washington 4.500. Per l'Italia si tratterà di un anno record: sono oltre 350 miliardi i titoli del debito pubblico in scadenza. Sul fronte dei privati, Unicredit ha in scadenza 30 miliardi, IntesaSanPaolo 24 miliardi. Tra le aziende la piu esposta è Telecom, con quasi 8 miliardi di dollari e Fiat: 1,25 miliardi (al tasso esorbitante del 9,25%) emessi tre anni fa.
Anche altrove non stanno meglio. La francese Bnp Paribas da sola dovrà rinnovare propri titoli per 270 miliardi di dollari e, in generale, la Francia ha il 50% della esposizione a breve di tutta la Comunità Europea. Fino ad oggi potremmo definire il rinnovo con una espressione ragioneristica: «partita di giro». Si estinguevano cioè i bond in scadenza emettendone altri. Mai di pari importo, sempre di importo superiore. Quest'anno Fiat - per pagare il decennale di 1,3 miliardi - ne ha emesso uno di 2,2 con un rendimento attorno al 6%. In pratica la nuova emissione serviva a coprire anche gli interessi maturati dal bond precedente. E il ricorso al mercato finanziario è inevitabile, data la caduta dei profitti.
Per parafrasare il linguaggio della pubblica amministrazione, le imprese private da tempo ricorrono al finanziamento anche per le spese correnti. La loro forza conttrattuale? La minaccia di insolvenza. Basta guardare la piramide delle sofferenze nel sito di Bankitalia. Oltre il 50% sono al di sotto dei 30.000 euro, un altro terzo tra trenta e novantamila. Sopra - sia in numero che in importi - sono insignificanti. Ai fini dei bilanci delle banche è meglio mettere a sofferenza i crediti minuscoli, che si possono magari recuperare, piuttosto che che portare in tribunale il S. Raffaele. Caduta dei profitti, mancata crescita, revisione dei parametri del patrimonio bancario stanno producendo una mancanza di capitali che mettono in discussione questo rinnovo di massa dei titoli.
Da qui le pressioni perché gli stati non aumentino debito, ma questo non basta, Il debito puo avere altra provenienza. Questo significa la richiesta che la fiscalità generale garantisca il pagamento almeno dei titoli di stato senza entrare in concorrenza con le esigenze delle aziende . Ma la conflittualita' in questo campo sarà inevitabile nonostante le pressioni sulla spesa pubblica.
Negli Stai Uniti, quello che rimane il principale mercato finanziario, gli asset a copertura dell'attività finanziaria in tre anni sono passati da 12 a nove triliardi di dollari con una riduzione del 25%. Da qui il ritiro della esposizione delle banche americane sul mercato europeo. C'e' un problema di liquidità destinato a pesare sempre più di fronte al fatto che un quarto dei titoli delle banche sono sempre stati rinnovati da prestiti interbancari che si faranno sempre piu difficili. La raccolta e' ormai inesistente mentre la liquidazione degli asset inesigibili si è fatta sempre piu' stringente. Negli Usa dall'inizio della crisi sono state chiuse più di 400 banche con il conseguente impoverimento del mercato dei capitali. Resta da vedere se questa politica non sia stata piu realista e forse piu efficace nel lungo periodo rispetto alla difesa dello status quo bancario in Europa.
In questo contesto di tanta gravità, i numeri che si fanno circolare dal governo non sembrano adeguati. Una manovra finanziaria a breve di 20 miliardi a fronte di titoli in scadenza per oltre trecento nel prossimo anno, senza una crescita di almeno due punti, significa dover tornare ripetutamente a manovrine tampone. Ripetute e sfiancanti. Per frenare i mercati e non ritrovarci interessi da debito stellari , ai tassi attuali più 28 miliardi, occorrerebbe gettare sul tavolo numeri consistenti che solo una pesante patrimoniale puo garantire. Poi può venire tutto il resto: i tagli alla politica, la ristrutturazione dell'assetto dello stato, il recupero dell'evasione fiscale, le misure per il rilancio dello sviluppo. Ma il mercato finanziario va preso per le «corna» anzitutto tacitandolo e poi avviando anche un grande processo di riforma del medesimo. Perche' per uscire davvero dalla crisi questo mercato finanziario va superato.

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Francesco Piccioni, Il Manifesto
I vertici politici - composti un po' da «tecnici» (come Monti e il greco Papademos), un po' da eletti in cerca di rielezione - fanno fatica a trovare una risposta comune e (soprattutto) rapida alle preoccupazioni degli speculatori sui mercati. E quindi ecco che le principali banche centrali del pianeta (Federal Reserve Usa, Bce, Banca d'Inghilterra, e poi Giappone, Svizzera e Canada) hanno deciso di mettere in atto una «strategia coordinata» per «allentare le tensioni sui mercati globali fornendo una maggiore liquidità al sistema finanziario globale».
La misura concreta riguarda un taglio di 50 punti base (lo 0,5%) agli «interessi praticati sulle operazioni di swap (commutazione, ndr) in dollari». Ma le stesse banche centrali hanno «convenuto» di stabilire accordi bilaterali temporanei per effettuare le stesse operazioni su tutte le monete da loro controllate, su qualsiasi mercato sia necessario.
La decisione risponde a un'esigenza concreta già evidenziata negli ultimi giorni: si stava andando verso una durissima contrazione del credito, e non solo nell'area europea. Con una recessione già iniziata, un'eventualità del genere avrebbe comportato un'ulteriore drastica riduzione dei presti forniti dalle banche a imprese e famiglie. Aggravando così la crisi.
Ma l'estensione della copertura degli swap a tutte le monete battute da queste banche consente anche di evitare, in qualche misura, che ci possa essere una moneta privilegiata dagli attacchi speculativi (e quindi anche i debiti sovrani denominati in quelle monete).
Di fatto, le banche centrali in questione si presentano al mercato come «prestatori di ultima istanza«, ovvero fornitori di liquidità «al bisogno» senza limiti predeterminati di quantità. Compresa la Bce, che va così a ricoprire un ruolo che non è previsto dal suo statuto, ma era esattamente il cuore dello scontro - nei giorni scorsi - tra Francia (e tutti i Piigs) e Germania. Già la Banca centrale cinese, nella mattinata, aveva dato un segnale simile: diminuendo dello 0,5% la quota di capitale proprio che le banche sono obbligate a tenere come riserva. In pratica, un invito a concedere più prestiti, con garanzia statale alle spalle.
Un gestore di fondi rimasto anonimo l'ha definita «una mossa della disperazione», aggiungendo però che «per ora sembra funzionare». Tutte le borse hanno infatti cominciato a correre a velocità supersonica (tipica di un mercato schizofrenico sia in positivo che negativo), dopo una mattinata a dir poco preoccupante, con Milano e Francoforte oltre il 4% di guadagno. Così come Wall Street, che beneficiava di inattesi dati Usa positivi su occupazione, produttività e indice manifatturieri.
Del resto era molto pericoloso attendere ancora (i risultati dell'Ecofin di ieri non sarebbero stati comunque risolutivi, in attesa del vertice europeo della prossima settimana). Un evento, soprattutto, aveva provocato sconcerto: il rendimento dei titoli di stato tedeschi a un anno è sceso in mattinata al di sotto dello zero. Significa che alcuni investitori, pur di avere «titoli sicuri» in mano, erano disposti a rimetterci qualcosa (lo 0,04% più l'inflazione) pur di non rischiare con altri titoli. a partire da quelli italiani, nonostante un rendimento «insostenibile sul lungo termine», ormai stabilmente oltre la «soglia di non ritorno» del 7%. Solo l'ennesimo massiccio intervento della Bce, con acquisto dei Btp italiani e dei Bonos spagnoli, manteneva lo spread vicino, ma al di sotto, dei 500 punti.
L'allarme veniva aggravato dalla quotidiana raffica di declassamenti del rating. Stavolta è stata la volta di Standard&Poor's, che ha sforbiciato 37 grandi banche di tutto il mondo. A partire dai colossi Usa (Citigroup, Bank of America, Goldman Sachs e Morgan Stanley), per planare poi sull'Europa (Barclays, Hsbc, Lloyds, Rbs) e infine atterrare - in Italia - senza far danni agli istituti maggiori (IntesaSanPaolo e Unicredit, «salvate» insieme ai francesi di Bnp e Agricole, oltre a Credit Suisse, Ing e Deutsche Bank).
Alle 14 ora italiana l'annuncio liberatorio: arriva una nuova ondata di denaro liquido, garantiscono le banche centrali. Festa per tutti, dunque. Con una domanda che però resta: ok, un'altro cerotto è stato messo, ma che economia globale è quella che ne chiede uno sempre più grande ogni due mesi?

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