Grandi democrazie occidentali? Macchè, imperi feudali.
Nel suo messaggio domenicale alle nazione Barack Obama ha
perorato la causa della Buffett Tax, la tassa sui milionari, «perché
anche loro paghino il dovuto». Ma in settimana il suo consulente Jim
Messina aveva fatto il giro delle banche di Wall Street per chiedere
finanziamenti alla campagna elettorale democratica.
"It' s a Rich Man' s
World", annuncia la copertina di Harper' s Magazine: il mondo
appartiene ai ricchi. Se questo titolo si riferisse solo alla crescente
diseguaglianza di risorse e di opportunità, non sarebbe nuovo: questo fu
già nel 2011 il tema di battaglia di Occupy Wall Street. La novità sta
nel modo in cui la ricchezza si trasferisce direttamente in influenza di
governo, potere decisionale. I super-ricchi non esitano più a
intervenire direttamente come "azionisti" delle scelte di governo.
Il pensatore più emblematico di quest' epoca
forse un giorno sarà considerato Ajay Kapur. Non è un politologo né un
economista o un sociologo, è un' analista di origine indiana che decide
le strategie della Deutsche Bank in Asia. Nel suo mestiere precedente,
come stratega del colosso bancario Citigroup a Wall Street, Kapur
pubblicò uno studio interno in cui teorizzava l' avvento di una
"plutonomia": un sistema in cui i ricchi definiscono le leggi, scrivono
le regole, dettano l' agenda ai leader del mondo. Stati Uniti,
Inghilterra e Canada per Kapur sono i "modelli" originari di plutonomie
nel XXI secolo, come in passato lo furono la Spagna del XVI secolo, l'
Olanda del XVII, la stessa America nei ruggenti anni Venti alla vigilia
della Grande Depressione. Per Thomas Frank, autore del saggio su Harper'
s Magazine, «i veri partiti politici di riferimento per i candidati
americani, sono i super-ricchi, che investono nelle loro candidature e
hanno obiettivi di ritorno precisi».
La dilatazione delle diseguaglianze
è solo un aspetto: un sintomo e una conseguenza, non la malattia. I
dati sono impressionanti. Dal 1978 a oggi l' 1% degli americani più
ricchi hanno visto i loro redditi aumentare del 256% mentre il potere
d'acquisto della famiglia americana media è rimasto stagnante. Nell'
ultimo biennio, cioè dopo la fine ufficiale della recessione americana,
il 93% degli aumenti di reddito nazionale è stato "sequestrato" dall' 1%
dei privilegiati. I livelli di concentrazione delle risorse sono
paragonabili a situazioni storiche pre-capitalistiche, regimi imperiali o
feudali: la famiglia Walton, proprietaria della catena di ipermercati
Wal-Mart, possiede un patrimonio superiore a quelli di 150 milioni di
americani messi assieme. Il "governo dei ricchi" converge, almeno in
parte, con il potere delle loro aziende. Una ragione è ovvia: i Padroni
dell' Universo in genere sono capitalisti, azionisti di controllo e di
riferimento, oppure top manager al comando di imperi economici che
superano di gran lunga la dimensione degli Stati nazione. Lo stesso
gruppo Wal-Mart ha un fatturato annuo superiore al Pil di 25 nazioni
sommate fra loro. Il fondo d' investimento Blackrock di Wall Street
amministra un patrimonio (3.500 miliardi di dollari) superiore alle
riserve di qualsiasi banca centrale al mondo, inclusa quella cinese. La
Goldman Sachs da parte sua ha attivi superiori alla Banca centrale
europea che gestisce la moneta di 17 paesi. La sproporzione non cambia,
se si guarda ai ricchi più "progressisti", o i cui patrimoni vengono
usati a fini nobili e altruisti: per quanto sia benefica, resta il fatto
che la fondazione di Bill Gates (con 33,5 miliardi di dollari in cassa)
eroga più fondi ai paesi poveri dell' Organizzazione mondiale della
sanità,e quindi "governa" le scelte relative alla salute per intere
nazioni.
I pericoli di una plutonomia o governo dei ricchi, sono stati
avvertiti fin dalle origini del capitalismo. Adam Smith, il padre
teorico dell' economia di mercato, mise in guardia contro le gravi
ingiustizie generate «quando il governo civile è organizzato per la
difesa dei ricchi». Da Alexis de Tocqueville a Theodore Roosevelt, la
storia americana è segnata da allarmi e denunce sull' incompatibilità
tra buongoverno e concentrazione del potere economico. Oggi il pericolo
assume una dimensione nuova. I trecentomila americani più ricchi - che
non sono il famoso un per cento, bensì una élite ancora più ristretta:
lo 0,1% - non soltanto si prendono una quota del reddito nazionale
superiore del 50% rispetto a 180 milioni di loro concittadini; ma sono
attivamente coinvolti nel governo della nazione per far sì che questi
rapporti di forze non cambino mai. È una delle conclusioni raggiunte
dagli studi di Jacob Hacker e Paul Pierson sulle cause del crescente
divario: le diseguaglianze non sono una conseguenza naturale della
globalizzazione e del progresso tecnologico che impoveriscono i meno
istruiti; per la maggior parte il divario tra ricchi e poveri è
"fabbricato" da politiche fiscali e di spesa pubblica. È qui che
interviene il "governo dei ricchi". La coincidenza tra il loro potere e
l' ipertrofìa delle grandi imprese, soprattutto nella finanza, è
cruciale: quello 0,1% che sta sulla punta estrema della piramide, è
composto per il 60% di top manager, in larga parte banchieri. I ricchi
hanno imparato a organizzarsi politicamente, negli Stati Uniti alla luce
del sole con organizzazioni come la Chamber of Commerce, think tank
come il Club for Growth e Americans for Tax Reform. Sono motivati,
organizzati come non mai. Una spinta decisiva al "governo dei ricchi" è
venuta da una sentenza della Corte suprema, intitolata "Citizens
United". È la decisione approvata dalla maggioranza di destra che
controlla l' alta corte, che ha esteso alle grandi aziende americane la
stessa "libertà di espressione" che la Costituzione riconosce ai
cittadini. Senza limiti né restrizioni; con le stesse tutele. Questo ha
consentito ai super-ricchi di attingere alle casse delle proprie imprese
per costruire la nuova macchina da guerra che sta stravolgendo il ciclo
elettorale americano: i Super-Pac (Political Action Committee),
alimentati da risorse illimitate, e liberi di acquistare pubblicità
televisiva per sostenere le tesi e i programmi di questo o quel
candidato. Dieci mesi dopo la sentenza Citizens United, già nelle
elezioni parlamentari del mid-term (novembre 2010) la spese per questo
tipo di pubblicità erano quintuplicate. Oggi, nella campagna per la
nomination repubblicana non conta tanto sapere chi siano Mitt Romney,
Rick Santorum e Newt Gingrich, quanto chi siano i loro "azionisti", i
super-ricchi che si candidano al ruolo di governo effettivo della
nazione. Metà dei fondi di Restore Our Future, il Pac che sostiene
Romney, vengono dal costruttore edile texano Bob Perry; lo seguono il
magnate televisivo Jerrold Perrenc h i o , l ' i n d u s t r i a l e D a
v i d Humphreys, i finanzieri Ken Griffin dello hedge fund Citadel e
Henry Kravis. I "padroni" di Santorum sono il petroliere William Doré e
il finanziere Foster Firess. Gingrich ha resistito in gara finora solo
per volere di Sheldon Adelson, il boss dei casinò di Las Vegas. I
fratelli Koch, principali finanziatori del Tea Party, hanno promesso 100
milioni di dollari «a chiunque sia in grado di sconfiggere Obama». In
difficoltà di fronte alla marea di denaro che finanzia i repubblicani,
il presidente dopo mesi di critiche contro i Pac ha deciso di usarli
anche lui. Quando il suo consulente Jim Messina è andato in cerca di
fondi, secondo la Bloomberg News in una riunione con i banchieri ha
«assicurato che il presidente se verrà rieletto non avrà un
atteggiamento punitivo verso Wall Street».
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