I costi della crisi pagati dai più deboli
Se nel 2010 l’economia italiana ha dato un leggero segnale di
ripresa, non altrettanto si può dire dei redditi delle famiglie, che
hanno accumulato una pesante perdita del potere d’acquisto. Come era già
accaduto nel biennio precedente, è soprattutto il reddito delle
famiglie più povere a cadere. I dati mostrano che sono in larga parte
nuclei familiari il cui il capofamiglia è donna, ha una scarsa
istruzione, non ha lavoro, è single, monoreddito e risiede nel
Meridione. Alla riforma del mercato lavoro va dunque chiesto di tutelare
anche le fasce più deboli della società.
di Monica Montella , Franco Mostacci e Paolo Roberti 03.04.2012, lavoce.info
Dopo la grande recessione del 2008-2009, l’economia italiana ha dato un
leggero segno di ripresa nel 2010. Non altrettanto può dirsi dei redditi delle famiglie,
che hanno accumulato una pesante perdita del potere
d’acquisto. L’analisi dei tassi aggregati, però, non offre la
possibilità di comprendere cosa stia accadendo alle diverse fasce della
popolazione.
Come si evince osservando il profilo della curva della crescita
(figura 2), il “dividendo” non è stato uguale per tutte le famiglie.
Analogamente a quanto era già accaduto nel biennio precedente, il
reddito delle famiglie più povere, ovvero di quelle che si collocano nel primo decile della distribuzione, è crollato di più: -4,5 per cento.
L’identikit delle famiglie meno fortunate e povere, che i dati
consentono di tracciare, mostra una presenza predominante di nuclei
familiari il cui il capofamiglia è: donna; ha una scarsa istruzione; si
trova in condizione non lavorativa; è single; monoreddito e risiede nel
Meridione. La riforma del mercato del lavoro presto in discussione in
Parlamento non può non tutelare le parti più deboli della società.
La perdita di reddito
La grande recessione ha avuto inizio nel 2008 (-1,2 per cento) e ha raggiunto il suo apice nel 2009
(-5,5 per cento), come risulta dai dati di contabilità nazionale
diffusi recentemente (figura 1). A partire dal 2010, il Pil ha avuto una
leggera ripresa con +1,8 per cento, ma lo stesso non si è verificato
per il reddito.
*Il reddito lordo disponibile del 2011 è stato stimato con l’andamento dei dati destagionalizzati dei primi tre trimestri.
Fonte: elaborazioni su dati Contabilità nazionale, Istat
Il reddito lordo disponibile nel periodo 2007-2011 ha perso il 4,7 per
cento del suo potere d’acquisto, mettendo in grave difficoltà le
famiglie italiane.
Il reddito disponibile delle famiglie italiane nel
2010, secondo quanto stimato dall’indagine campionaria della Banca
d’Italia, è aumentato dello 0,3 per cento in termini reali rispetto al
2008. (1) Praticamente invariate sono rimaste anche le disuguaglianze
distributive dei redditi familiari, come si evince dai valori
dell’indice di concentrazione di Gini, che migliora leggermente,
passando da 35,3per cento nel 2008 a 35,1 per cento nel 2010.(2)
Poiché sia i tassi aggregati di crescita del reddito che gli indici di
disuguaglianza o concentrazione nascondono informazioni importanti per
la valutazione dell’andamento e della “qualità” della crescita, è
evidente che entrambe debbano essere congiuntamente prese in
considerazione. La lacuna può essere colmata con le curve della crescita
del reddito disponibile reale, che permettono di osservare e valutare
non solo l’intensità, ma anche i diversi profili distributivi. (3) In pratica, occorre “guardare dentro” ovvero “dietro” i tassi di crescita aggregati e osservare le curve cumulate del reddito familiare. (4)
Nella figura 2, l’andamento delle curve dei tassi di crescita del
reddito per decili cumulati nel biennio 2008-2010 mostra chiaramente una
performance distributiva “against the poor” che penalizza
le famiglie più povere e, in particolare, quelle che si collocano nel
primo decile. Infatti, a fronte di una crescita complessiva praticamente
nulla, per loro si evidenzia un tasso di decrescita elevato, pari al
4,5 per cento.
Un analogo risultato penalizzante per le famiglie del primo decile si
era osservato anche nel biennio precedente, quando il loro reddito reale
aveva avuto una flessione ancora più marcata, 7,5 per cento, contro una
diminuzione media del 4,1 per cento (figura 3).
Così, mentre tra il 2000 e il 2004 la crescita può qualificarsi pro poor
(variazioni superiori alla media per i decili inferiori) e nel 2006
sostanzialmente neutra, nel 2008 e 2010 l’andamento è risultato
decisamente svantaggioso per le famiglie a più basso reddito.
Tra il 2006 e il 2010 le famiglie povere hanno complessivamente perduto l’11,7 per cento del loro reddito reale, una vera e propria catastrofe per chi ha un reddito medio annuo inferiore agli 8mila euro. (5)
Evidentemente, gli ammortizzatori sociali non sembrano
più capaci di garantire le protezioni attese e l’attuale proposta di
riforma del mercato del lavoro deve tutelare le parti più deboli della
società.
Fonte: elaborazione su dati Banca d’Italia
Profilo del capofamiglia
L’analisi delle caratteristiche del capofamiglia mostra che nel
2010 il 57,5 per cento delle famiglie più povere (tavola 1) ha un
capofamiglia
donna (contro il 31,3 per cento del totale
della popolazione); circa la metà ha un titolo di studio non superiore
alla licenza elementare (contro poco più del 20 per cento del totale
della popolazione); il 70 per cento non è in condizione lavorativa
(pensionato o non occupato), oltre la metà è formata da un componente e
il 90 per cento è monoreddito. Circa il 60 per cento vive al Sud o nelle
Isole.
Tavola 1 – Composizione percentuale per alcune caratteristiche del capofamiglia – Anno 2010
Caratteristiche del capofamiglia | I decile | Totale |
Sesso: femminile | 57,5 | 31,7 |
Titolo di studio: nessuno o licenza elementare | 47,6 | 23,7 |
Condizione professionale: pensionato | 48,0 | 37,5 |
Condizione professionale: non occupato | 22,0 | 3,4 |
Numero componenti: 1 | 55,8 | 24,9 |
Numero percettori: 1 | 90,1 | 47,8 |
Area geografica: sud e isole | 59,4 | 31,6 |
La composizione del reddito disponibile netto degli appartenenti al
primo decile (tavola 2) mostra notevoli differenze con quella delle
famiglie più ricche e con la totalità delle famiglie.
Tavola 2 – Composizione percentuale del reddito disponibile netto per tipologia – Anno 2010
Tavola 2 – Composizione percentuale del reddito disponibile netto per tipologia – Anno 2010
Tipologia di reddito | I decile | X decile | Totale |
Lavoro dipendente | 24.3 | 33.3 | 39.5 |
Lavoro autonomo | 3.2 | 23.6 | 12.8 |
Pensioni e trasferimenti netti | 52.2 | 16.4 | 25.4 |
Fabbricati | 20.9 | 26.1 | 22.7 |
Capitale finanziario | -0.5 | 0.5 | -0.4 |
Totale reddito | 100 | 100 | 100 |
Il 39,5% del reddito medio netto delle famiglie italiane deriva dal
lavoro dipendente, il 12,8% dal lavoro autonomo, il 25,4% da pensioni e
trasferimenti e il 22,7% dai fabbricati, mentre è risultato negativo per
lo 0,4% il reddito da capitale finanziario [7].
Nel primo decile, invece, oltre il 50% del reddito è dovuto a pensioni e trasferimenti, mentre i redditi da lavoro dipendente ed autonomo hanno quote nettamente più basse.
Nelle famiglie a maggior reddito le pensioni coprono solo il 16,4% e la quota dei redditi da lavoro autonomo è circa 8 volte superiore a quella delle famiglie più povere.
In conclusione, le curve della crescita confermano significativi “spostamenti” nella distribuzione del reddito disponibile delle famiglie italiane. In particolare, negli anni 2008 e 2010 i “dividendi della crescita” non sembrano essere stati equamente distribuiti. Al contrario, i gruppi a più basso reddito appaiono aver sofferto di più. In attesa di capire cosa sta avvenendo oggi, possiamo affermare che il recente periodo di recessione, in assenza di politiche redistributive efficaci ed adeguate, ha indiscutibilmente gravato sulle fasce più deboli della popolazione, come dimostra l’identikit delle famiglie più esposte alla recessione, tracciato a partire dai recenti dati della Banca d’Italia [8].
Nel primo decile, invece, oltre il 50% del reddito è dovuto a pensioni e trasferimenti, mentre i redditi da lavoro dipendente ed autonomo hanno quote nettamente più basse.
Nelle famiglie a maggior reddito le pensioni coprono solo il 16,4% e la quota dei redditi da lavoro autonomo è circa 8 volte superiore a quella delle famiglie più povere.
In conclusione, le curve della crescita confermano significativi “spostamenti” nella distribuzione del reddito disponibile delle famiglie italiane. In particolare, negli anni 2008 e 2010 i “dividendi della crescita” non sembrano essere stati equamente distribuiti. Al contrario, i gruppi a più basso reddito appaiono aver sofferto di più. In attesa di capire cosa sta avvenendo oggi, possiamo affermare che il recente periodo di recessione, in assenza di politiche redistributive efficaci ed adeguate, ha indiscutibilmente gravato sulle fasce più deboli della popolazione, come dimostra l’identikit delle famiglie più esposte alla recessione, tracciato a partire dai recenti dati della Banca d’Italia [8].
Note
[1] I bilanci delle famiglie italiane nel 2010 – Banca d’Italia
– Supplemento al Bollettino Statistico – Anno XXII – Numero 6 – 25
gennaio 2012. L’indagine è condotta ogni due anni su un campione di
circa 8.000 famiglie in oltre 300 comuni.
[2] Il deflatore dei consumi delle famiglie nel periodo 2008-2010 si è attestato all’1,4% (Istat, Conti Nazionali).
[3] Le variazioni del reddito familiare disponibile reale del 2010 rispetto al 2008 per decile mostrano una variazione negativa per il primo decile (-4,5%) e positiva per i decili centrali con un massimo al VI decile (+2,5%). Il IX decile è rimasto praticamente invariato e il X ha avuto una diminuzione dello 0,7%. Per tale motivo l’indice di concentrazione di Gini è leggermente diminuito.
[4] Il reddito familiare descrive la realtà così come osservata, senza apportare correzioni per la diversa numerosità dei nuclei. Nell’analisi dei redditi l’oggetto dell’osservazione è la famiglia, perché è difficile attribuire la titolarità di alcuni tipi di reddito ai singoli componenti (ad esempio i redditi da fabbricato, reali o figurativi). Concentrare l’attenzione sulla famiglia piuttosto che sull’individuo è legato al ruolo che la famiglia ha all’interno della società e cioè alla sua funzione redistributrice. Inoltre la scelta di un’analisi dei redditi familiari è da preferire a quella dei redditi individuali in quanto consente di approfondire le caratteristiche strutturali con riferimento al capofamiglia (inteso come maggior percettore di reddito), cosa che non può essere sempre possibile con un’analisi di tipo individuale, quale quella condotta sul reddito equivalente. Sull’argomento si veda “Growth Rates vs Income Growth Curves: A Step towards the Measurement of Societal Progress”, P. Roberti e altri, Rivista di Politica Economica, anno XCVIII, terza serie, settembre-ottobre 2008, pp. 233-262
[5] Le curve della crescita elaborate sui microdati dell’indagine campionaria della Banca d’Italia rappresentano un approccio alternativo rispetto ad analisi basate sui modelli di microsimulazione che utilizzano dati di fonte amministrativa, presentati nella Conferenza “Incomes Across the Great Recession”, Fondazione Rodolfo De Benedetti, Palermo 10 settembre 2011 http://www.frdb.org/language/eng/topic/conferences/scheda/conference-incomes-across-great-recession
[6] Il reddito netto medio annuo è stato di 32.714 euro, e quello del decile più ricco di 85.378 euro, oltre 10 volte superiore a quello del decile più povero.
[7] Rispetto ai Conti Nazionali dell’Istat l’indagine della Banca d’Italia tende a sovrastimare gli affitti imputati mentre tende a sottostimare i redditi derivanti da partecipazioni in società e da capitale finanziario (v. nota 11 a pag. 14 della pubblicazione Banca d’Italia citata).
[8] Se si utilizzassero deflatori dei consumi delle famiglie differenziati rispetto al livello di reddito/consumo, le valutazioni potrebbero essere diverse.
[2] Il deflatore dei consumi delle famiglie nel periodo 2008-2010 si è attestato all’1,4% (Istat, Conti Nazionali).
[3] Le variazioni del reddito familiare disponibile reale del 2010 rispetto al 2008 per decile mostrano una variazione negativa per il primo decile (-4,5%) e positiva per i decili centrali con un massimo al VI decile (+2,5%). Il IX decile è rimasto praticamente invariato e il X ha avuto una diminuzione dello 0,7%. Per tale motivo l’indice di concentrazione di Gini è leggermente diminuito.
[4] Il reddito familiare descrive la realtà così come osservata, senza apportare correzioni per la diversa numerosità dei nuclei. Nell’analisi dei redditi l’oggetto dell’osservazione è la famiglia, perché è difficile attribuire la titolarità di alcuni tipi di reddito ai singoli componenti (ad esempio i redditi da fabbricato, reali o figurativi). Concentrare l’attenzione sulla famiglia piuttosto che sull’individuo è legato al ruolo che la famiglia ha all’interno della società e cioè alla sua funzione redistributrice. Inoltre la scelta di un’analisi dei redditi familiari è da preferire a quella dei redditi individuali in quanto consente di approfondire le caratteristiche strutturali con riferimento al capofamiglia (inteso come maggior percettore di reddito), cosa che non può essere sempre possibile con un’analisi di tipo individuale, quale quella condotta sul reddito equivalente. Sull’argomento si veda “Growth Rates vs Income Growth Curves: A Step towards the Measurement of Societal Progress”, P. Roberti e altri, Rivista di Politica Economica, anno XCVIII, terza serie, settembre-ottobre 2008, pp. 233-262
[5] Le curve della crescita elaborate sui microdati dell’indagine campionaria della Banca d’Italia rappresentano un approccio alternativo rispetto ad analisi basate sui modelli di microsimulazione che utilizzano dati di fonte amministrativa, presentati nella Conferenza “Incomes Across the Great Recession”, Fondazione Rodolfo De Benedetti, Palermo 10 settembre 2011 http://www.frdb.org/language/eng/topic/conferences/scheda/conference-incomes-across-great-recession
[6] Il reddito netto medio annuo è stato di 32.714 euro, e quello del decile più ricco di 85.378 euro, oltre 10 volte superiore a quello del decile più povero.
[7] Rispetto ai Conti Nazionali dell’Istat l’indagine della Banca d’Italia tende a sovrastimare gli affitti imputati mentre tende a sottostimare i redditi derivanti da partecipazioni in società e da capitale finanziario (v. nota 11 a pag. 14 della pubblicazione Banca d’Italia citata).
[8] Se si utilizzassero deflatori dei consumi delle famiglie differenziati rispetto al livello di reddito/consumo, le valutazioni potrebbero essere diverse.
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