La
Banca d’Italia ha presentato un’analisi sulla situazione delle
«Famiglie italiane nella crisi», firmato da Anna Maria Tarantola, vice
direttore generale della Banca d’Italia. «Durante la fase acuta della
recessione, nel 2008-09 – ha spiegato Tarantola parlando a Genova – la
caduta dei redditi familiari ha raggiunto in Italia il 4 per cento, a
fronte di una riduzione del Pil del 6 per cento». Andando a fondo
dell’analisi, la principale considerazione è la seguente: la
vulnerabilità finanziaria si riduce solo rafforzando il ritmo di
crescita della nostra economia, riavviando lo sviluppo con misure
strutturali. Un discorso che vale più che mai anche oggi.
Dunque, i problemi del paese sono imputabili alla minore crescita. Un effetto della crisi è la riduzione del risparmio, legato all’aumento delle tasse e della disoccupazione, in particolare giovanile. In pratica, le famiglie sono state costrette ad attingere alle «ricchezze» per far fronte ai consumi. Diversamente non si spiegherebbe l’aumento al 22 per cento della quota di famiglie che hanno un reddito insufficiente a coprire i consumi, mentre per i redditi più bassi la media sale a più del doppio. Inoltre, la crisi ha ampliato il divario tra la condizione economica e finanziaria dei giovani e quella del resto della popolazione: tra il 2008 e il 2010 la quota di famiglie povere in base al reddito e alla ricchezza è cresciuta di circa 1 punto percentuale, ma di 5 punti percentuali le famiglie dei giovani (under 35).
Ma la crisi e le politiche fiscali del governo hanno favorito anche una forte polarizzazione del reddito e della ricchezza, in misura superiore a quella dei principali paesi europei e di area Ocse. Nel 2010, sempre secondo lo studio, la metà della ricchezza netta era detenuta dalle famiglie del decimo più ricco, contro la metà più povera delle famiglie che possedeva poco più di un decimo della ricchezza totale. Anche il reddito disponibile ha seguito lo stesso trend: se nel terzo trimestre del 2011 il reddito disponibile reale era di quasi il 6 per cento inferiore al massimo raggiunto prima della crisi (2008), il calo del reddito disponibile diventa insostenibile se analizziamo il reddito pro capite, con un calo del 7,5 per cento.
Ma è nella comparazione con i principali competitors europei che si «registra» l’inadeguatezza delle politiche fiscali fino ad oggi adottate.
Infatti, se tra il 2008-09 la caduta dei redditi familiari ha raggiunto in Italia il 4 per cento, con una riduzione del Pil del 6 per cento, negli altri paesi avanzati il reddito disponibile lordo reale delle famiglie è cresciuto, nonostante la contrazione del prodotto: in Francia le entrate familiari sono cresciute del 2 per cento a fronte di un calo del Pil del 3 per cento; in Germania e negli Stati Uniti c’è stata una crescita del reddito disponibile dello 0,5 per cento a fronte di una contrazione del Pil del 4 per cento.
Quindi le politiche fiscali adottate sono distanti da quelle realizzate da altri paesi. Sostanzialmente le politiche fiscali italiane si sono preoccupate di raggiungere il pareggio di bilancio, trascurando l’equità, mentre in altri paesi hanno manifestato una maggiore sensibilità.
Gli effetti delle politiche di austerità sono drammatiche, e come già ricordato difficili per i giovani. Nel 2009 il tasso di occupazione è diminuito di 1,2 punti percentuali rispetto al 2008, continuando nel 2010. I più colpiti sono i lavoratori autonomi (meglio dire falsamente autonomi) e i lavoratori precari, che sono sostanzialmente svolti dai lavoratori giovani.
Non è quindi sorprendente leggere che i giovani tra i 15 e i 30 anni individuano nella mancanza di risorse economiche sufficienti il principale ostacolo all’uscita di casa. D’altra parte, se la quota di giovani tra i 15 e i 34 anni con un impiego a tempo indeterminato è scesa nel 2011 sotto il 30 per cento, circa 5 punti in meno rispetto al 2008, oltre 10 punti rispetto al 1995, è difficile costruire un orizzonte sufficientemente appetibile.
La crisi economica è difficile per tutti, ma se è vero che spremere i poveri è difficile, è altrettanto vero che sono tanti, molto di più dei ricchi.
Dunque, i problemi del paese sono imputabili alla minore crescita. Un effetto della crisi è la riduzione del risparmio, legato all’aumento delle tasse e della disoccupazione, in particolare giovanile. In pratica, le famiglie sono state costrette ad attingere alle «ricchezze» per far fronte ai consumi. Diversamente non si spiegherebbe l’aumento al 22 per cento della quota di famiglie che hanno un reddito insufficiente a coprire i consumi, mentre per i redditi più bassi la media sale a più del doppio. Inoltre, la crisi ha ampliato il divario tra la condizione economica e finanziaria dei giovani e quella del resto della popolazione: tra il 2008 e il 2010 la quota di famiglie povere in base al reddito e alla ricchezza è cresciuta di circa 1 punto percentuale, ma di 5 punti percentuali le famiglie dei giovani (under 35).
Ma la crisi e le politiche fiscali del governo hanno favorito anche una forte polarizzazione del reddito e della ricchezza, in misura superiore a quella dei principali paesi europei e di area Ocse. Nel 2010, sempre secondo lo studio, la metà della ricchezza netta era detenuta dalle famiglie del decimo più ricco, contro la metà più povera delle famiglie che possedeva poco più di un decimo della ricchezza totale. Anche il reddito disponibile ha seguito lo stesso trend: se nel terzo trimestre del 2011 il reddito disponibile reale era di quasi il 6 per cento inferiore al massimo raggiunto prima della crisi (2008), il calo del reddito disponibile diventa insostenibile se analizziamo il reddito pro capite, con un calo del 7,5 per cento.
Ma è nella comparazione con i principali competitors europei che si «registra» l’inadeguatezza delle politiche fiscali fino ad oggi adottate.
Infatti, se tra il 2008-09 la caduta dei redditi familiari ha raggiunto in Italia il 4 per cento, con una riduzione del Pil del 6 per cento, negli altri paesi avanzati il reddito disponibile lordo reale delle famiglie è cresciuto, nonostante la contrazione del prodotto: in Francia le entrate familiari sono cresciute del 2 per cento a fronte di un calo del Pil del 3 per cento; in Germania e negli Stati Uniti c’è stata una crescita del reddito disponibile dello 0,5 per cento a fronte di una contrazione del Pil del 4 per cento.
Quindi le politiche fiscali adottate sono distanti da quelle realizzate da altri paesi. Sostanzialmente le politiche fiscali italiane si sono preoccupate di raggiungere il pareggio di bilancio, trascurando l’equità, mentre in altri paesi hanno manifestato una maggiore sensibilità.
Gli effetti delle politiche di austerità sono drammatiche, e come già ricordato difficili per i giovani. Nel 2009 il tasso di occupazione è diminuito di 1,2 punti percentuali rispetto al 2008, continuando nel 2010. I più colpiti sono i lavoratori autonomi (meglio dire falsamente autonomi) e i lavoratori precari, che sono sostanzialmente svolti dai lavoratori giovani.
Non è quindi sorprendente leggere che i giovani tra i 15 e i 30 anni individuano nella mancanza di risorse economiche sufficienti il principale ostacolo all’uscita di casa. D’altra parte, se la quota di giovani tra i 15 e i 34 anni con un impiego a tempo indeterminato è scesa nel 2011 sotto il 30 per cento, circa 5 punti in meno rispetto al 2008, oltre 10 punti rispetto al 1995, è difficile costruire un orizzonte sufficientemente appetibile.
La crisi economica è difficile per tutti, ma se è vero che spremere i poveri è difficile, è altrettanto vero che sono tanti, molto di più dei ricchi.
Nessun commento:
Posta un commento