sabato 31 dicembre 2011

Finanziamento pubblico ai giornali: un giornalista precario risponde a Beppe Grillo

Dopo l'azzeramento dei contributi pubblici, Liberazione chiuderà il 1° gennaio, e altre 30 testate potrebbero fare prestissimo la stessa fine. Beppe Grillo gioisce: 'così imparano a parlar male di noi'. La risposta di un bravo giornalista, precario

La fine del finanziamento pubblico ai giornali
"Il 2012 non sarà del tutto negativo. Porterà in dono anche la chiusura di molti giornali finanziati con soldi pubblici, veri cani da guardia dei partiti. Giornali che hanno attaccato il MoVimento 5 Stelle prima ancora che esistesse o che, nel migliore dei casi, ne hanno taciuto le iniziative. Il V2day del 2008 fu un atto di accusa contro la disinformazione dei giornali assistiti e legati a filo doppio ai partiti e venne chiesta l'abolizione dei finanziamenti pubblici. Tra le testate che attaccò l'iniziativa, prima, dopo e durante, spiccò l'Unità. Ora è in crisi, si metta sul mercato, si faccia pagare dai lettori come il Fatto Quotidiano e, se non vende, chiuda i battenti. Se qualche esponente del MoVimento 5 Stelle la pensa diversamente non è un problema. Il Pdmenoelle lo accoglierà subito tra le sue braccia." Beppe Grillo


La risposta di Daniele Nalbone, giornalista di Liberazione:
Caro (nel senso di quanto costa seguire un suo spettacolo-comizio) sig. Beppe Grillo.
Sono un giornalista della casta: lavoro per Liberazione, sono precario da sempre, ho 30 anni e presto la mia professione, quella di giornalista pubblicista, sarà cancellata dalla faccia della terra. Il mio reddito annuo è pari a (circa) 8mila euro. Credo nel giornalismo libero e indipendente, sono stato tra i primi a scoperchiare le nefandezze dei mondiali di nuoto del 2009, per primo ho raccontato su un quotidiano italiano la vicenda di Niki Aprile Gatti e del maestro di Vallo della Lucania Franco Mastrogiovanni, il primo “morto” di carcere, il secondo “morto” di Trattamento Sanitario Obbligatorio. Potrei continuare, ma questo è per farle capire che il merito di aver trattato tra i primi questi temi non è mio, o soltanto mio, ma del quotidiano per il quale collaborerò ancora per due giorni: Liberazione.
Un quotidiano che esiste da venti anni, per il quale hanno lavorato e lavorano decine di professionisti, che non è tra i preferiti del mercato della pubblicità e per questo ha bisogno, come ogni quotidiano indipendente d'Europa, del finanziamento pubblico non per sopravvivere e basta, ma per continuare a fare informazione.
Leggendo quanto da lei scritto mente nella redazione di Liberazione lavoratori dell'informazione sono costretti ad occupare il proprio posto di lavoro per non finire letteralmente per strada (fortuna che io abito ancora a casa di mamma...) non vedo nulla di politico né di comico. Leggo solo il 'rosicamento' di un personaggio pieno di sé incazzato per il fatto che i giornali in generale avrebbero attaccato il MoVimento 5 Stelle ancor prima che venisse fondato o che i giornali in generale ne avrebbero taciuto le iniziative.
Mi dispiace constatare che lei – di riflesso o direttamente poco importa – con questa parole attacca un giornale come Liberazione che ha sempre dato spazio a questa iniziative. Le ha criticate, certo, ma le ha prima raccontate.
Dopo le amministrativa di un anno fa io stesso feci un pezzo di resoconto sui risultati del MoVimento 5 Stelle chiudendo con questa frase il mio pezzo: “Altro che antipolitica. La sensazione, tanto sotto le due Torri che sotto la Mole, è quella di una vittoria molto politica che viene da lontano: dalle regionali dello scorso anno, non certo da facebook”.
Dall'alto del suo conto in banca, le chiedo: chi le dà il permesso di attaccare il lavoro – non le idee – con il quale vivono migliaia di famiglie italiane e sopravvivono ancor più migliaia di precari italiani?
Lei parla di “libero mercato”, pontifica sul fatto che un giornale dovrebbe vivere di copie vendute. Benissimo. Repubblica, Corriere, Sole, etc. vivono di copie vendute oppure di pubblicità e di contributi? La scuola pubblica italiana dovrebbe vivere di rette pagate o di contributi pubblici?
Il sistema di trasporto pubblico italiano dovrebbe vivere di biglietti venduti o di contributi pubblici?
La sanità italiana dovrebbe vivere di ticket pagati o di contributi pubblici?
Lei crede nel diritto all'informazione o nel pluralismo dell'informazione come crede nel diritto alla mobilità, alla salute, etc. o no?

E allora le parlo come lei parla ai suoi devoti: se la risposta è sì – credo nel diritto all'informazione o nel pluralismo dell'informazione - nessun problema: qualunque idiota continuerà a votarla.
Se la risposta è no – credo che l'informazione non sia un bene comune e quindi debba essere il libero mercato a decidere della vita o della morte di centinaia di testate - nessun problema: qualunque forza neofascista è pronta ad accoglierla tra le sue braccia.
E ora, dagli alla casta, signor Grillo. Io, dal basso dei miei 8mila euro all'anno, sono qui che la guardo, dall'alto dei suoi X milioni di euro l'anno.
Alla prossima pontificata.
Ps. non ho volutamente riletto quanto scritto: troppa rabbia. Correggendo, sarei molto meno democratico, quindi mi scuso per gli errori che sicuramente ci saranno. Ma, si sa, noi pennivendoli manco scrivere sappiamo.

L'editoriale di Gian Filippo Della Croce - Mago Monti da www.umbrialeft.it

Con la sua scarna e scadente dialettica (veramente da un professore ci si aspettava di più) infarcita di simboli e immagini banali come “..eravamo su un burrone senza parapetto e qualcuno ci spingeva alle spalle, ma abbiamo piantato i piedi, non siamo caduti…e c’erano degli avvoltoi…Ma di che e di chi parla Mago Monti? Se vuole la comprensione degli italiani dia loro almeno la soddisfazione di saperlo: chi ci spingeva? Chi erano gli avvoltoi?
Mago Monti non svela i suoi enigmi, come ogni buon mago, ammicca, sorride gelidamente, ma non tradisce nessuna emozione. Agita vorticosamente la sua bacchetta magica facendo apparire tasse dappertutto ma poi ti spiega che sono per la crescita! E a proposito di crescita ti dice una sfilza di ovvietà che tutti conosciamo ormai a memoria aggiungendo però che poi deve essere la politica a farle quelle riforme di cui il paese ha bisogno! Dire questo per il furbo Mago Monti vuol dire “tanto so che non sarà possibile adesso…” per cui può continuare con la sua prestidigitazione che in molti ormai mormorano, e non tanto sommessamente, gli servirà per ascendere al Quirinale. Che Mago! Non sono nemmeno tre mesi che è insediato e già diventa un candidato per il Quirinale! Non si era mai visto prima….
Fra le virtù dei grandi maghi c’è anche quella dell’ipnosi che Mago Monti sa usare con grande capacità, soprattutto nei confronti della politica e dei politici, basta guardarne gli effetti su Bersani ormai ridotto a una continua ipnotica condivisione di qualsiasi cosa faccia o dica il Mago. Refrattari all’ipnosi montiana per il momento sembrano esserlo Camusso, Bonanni e Angeletti, ovvero i segretari di CGIl, CISL, UIL, ma è evidente che costituiscono soltanto un caso eccezionale che Mago Monti attorniato dai suoi aiutanti sta già pensando come risolvere, magari facendo sparire con la sua bacchetta magica la stessa ragione della loro esistenza, ovvero la contrattazione. Un colpo di bacchetta qua e uno là, ed ecco che tutto non sarà più come prima (come si affannano a dire i media embedded), ma come sarà? Mago Monti non lo dice, come tutti i grandi maghi lo fa soltanto intuire dietro al suo sorriso gelido, ma se cerchiamo di indovinare, forse possiamo intuire che l’Italia non sarà più un “paese per tutti”, ma solo per alcune categorie sociali beneficiarie della sua magia, per altre sarà assicurato un futuro di marginalità totale.
E’ il “nuovo mondo” che viene avanti, quello sognato dai liberisti più estremi, che adesso sorprendentemente vedono i loro sogni trasformati in realtà, è il mondo dei banchieri e dell’alta burocrazia che intende intestarsi il nuovo millennio. Ma questo non si potrà mai chiamare un “mondo nuovo”, è soltanto un nuovo aspetto di una vecchia concezione secondo la quale “chi più ha più deve avere”, per altri, ovvero la maggioranza, che hanno da mettere in campo solo il loro lavoro e il loro talento ci saranno sempre meno spazi e sempre meno garanzie, basta pensare a quello che ha detto tra le altre cose, il ministro Fornero a proposito del sistema pensionistico “….i giovani che devono mantenere i vecchi…è uno scandalo che deve finire….” ! Intanto Mago Monti con le sue magie ha fatto scomparire il centrosinistra.

Achtung banditen! Chi si oppone alla Tav finisce in galera di Marco Santopadre, www.contropiano.org

Da domani a mezzanotte il terreno sequestrato a Chiomonte per costruire il fortino-cantiere per la Tav sarà zona militare. Chi la violerà finirà in carcere. Intanto Esposito (PD) se la prende con un preside che ha mandato due classi a visitare il luogo del delitto

Tra poche ore, subito dopo la mezzanotte di domani, sarà previsto l'arresto per chi tenterà di entrare nel cantiere della Torino-Lione alla Maddalena di Chiomonte che dal primo gennaio diventa area di interesse strategico nazionale. Di ricordarlo si è incaricato il Questore di Torino, Aldo Faraoni, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno evidenziando l'impegno bellico profuso a difesa dell'inutile, costosa e dannosa grande opera, tra l'altro ben lungi dall'essere iniziata veramente, grazie alla pluridecennale mobilitazione di massa della gente della Val di Susa e dei movimenti contro la devastazione ambientale di tutta la penisola. Il divieto di accesso, ha precisato il questore, varrà anche per i proprietari dei terreni: la scusa è che tra questi ci sarebbero decine di simpatizzanti No Tav che hanno acquistato un piccolissimo appezzamento nell'area della Valle Clarea per ostacolare l'iter burocratico degli espropri. 
«Gli scontri non sono mai stati colpa nostra, non siamo mai stati provocatori e l'obiettivo è sempre stato perseguire la sicurezza dei cittadini» ha sottolineato il Questore di Torino Aldo Faraoni ricordando che anche la notte del primo dell'anno le Forze dell'ordine - Polizia, Carabinieri ma anche militari - continueranno a presidiare l'area del cosiddetto 'cantiere' della Torino-Lione. 
Senza grandi sussulti e polemiche politiche - chi tace, del resto, acconsente - un pezzo del territorio nazionale viene dichiarato zona militare e le garanzie costituzionali sulla libertà di movimento, espressione, manifestazione vengono spazzate via, cancellate. Una misura senza precedenti che la dice lunga su quanto i poteri forti impegnati nel salasso dell'economia nazionale in tempi di crisi siano nervosi e impazienti. Un nervosismo rivelato ancora una volta non da un esponente della destra, ma di quel PD che sulla questione dell'alta velocità si sta rivelando assai più oltranzista di Lega e Pdl. 

«La Valle di Susa non è Marzabotto e i poliziotti non sono i nazifascisti» ha scritto il deputato del Pd Stefano Esposito in una lettera - (minatoria?) - inviata l'altro ieri al preside del liceo 'Lorenzo Federici' di Trescore Balneario, in provincia di Bergamo, e per conoscenza al ministro dell'istruzione Francesco Profumo. Sotto accusa la 'gita scolastica' di due classi dell'istituto che alcuni insegnanti hanno portato a visitare l'area dove dovrebbe sorgere il cantiere della Torino-Lione. I ragazzi e la ragazze hanno potuto così avvicinarsi alle contestatissime reti del fortino, accompagnati da alcuni attivisti no Tav e da due insegnanti - di religione - che sono stati addirittura identificati dai difensori dell'ordine pubblico.
Alle prime polemiche il preside della scuola, Elio Manzoni, aveva risposto equiparando - anche se molto indirettamente - la resistenza contro l'alta velocità della popolazione della Val Susa alla resistenza antifascista e antinazista durante la Seconda Guerra Mondiale. «A indignarmi - ha tuonato  il parlamentare del Pd - è l'accostamento vergognoso e inaccettabile che Lei ha voluto fare tra la scampagnata in Valle di Susa con i No Tav e le visite a Marzabotto e a Bologna fatta nel recente passato dagli studenti del liceo». «Si vuol forse lasciar intendere che i poliziotti, che a Chiomonte difendono non un cantiere ma lo Stato, sono come i nazifascisti e che, quindi, chi si oppone con violenza alla Tav ha una qualche comunanza ideologica e morale con gli eroi della lotta partigiana?».

Al premier Mario Monti, che sul tema dell'alta velocità - come su molte alte - sta dimostrando di voler andare avanti 'come un treno', si sono rivolti con una lettera aperta Sandro Plano, presidente della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, e Girolamo Dell'Olio, presidente dell'associazione di volontariato Idra. «Le rinnoviamo l'appello a considerare con ogni possibile attenzione le circostanze in relazione al progetto Torino-Lione e del nodo ferroviario Tav di Firenze - hanno scritto. - Leggiamo che ancora oggi le forze politiche che sostengono il Suo governo ribadiscono la volontà di imporre al Paese investimenti in grandi infrastrutture segnati da pesanti criticità come fossero fattori di crescità. Perseverare nell'adozione di quel modello nefasto di investimenti capital intensive e a sviluppo fuori controllo non gioverebbe alla creazione di occupazione quantitativamente significativa, qualitativamente sana e duratura, ma produrrebbe al contrario un'ulteriore crescita del già gigantesco debito pubblico, senza peraltro giovare . concludono Plano e Dell'Olio - alla soddisfazione di alcune delle vere esigenze nazionali: il trasporto pubblico di massa su ferro, la manutenzione delle infrastrutture, la difesa idrogeologica del territorio, la miriade di piccole opere ad alta intensit… di lavoro più che necessarie». 
Monti non ha, al momento, risposto. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire...

PASSERA CORRADO E LE LIBERALIZZAZIONI

Il ministro Passera
Un gioco (politico) a somma positiva

di Alberto Bagnai

Il ministro Passera ha lamentato le incredibili resistenze incontrate dalle liberalizzazioni.

"Liberalizzazioni" è da qualche tempo il mantra di una certa sinistra (quella di destra). Ho cercato un giorno di farmi spiegare da un giovane brillante piddino cosa fossero esattamente. Mi ha spiegato che tagliare il deficit era necessario, ma che con le liberalizzazioni l'economia sarebbe ripartita, perché, ad esempio, abolendo l'ordine dei notai, le parcelle si abbasserebbero per effetto della concorrenza, e questo sarebbe un grande guadagno per i consumatori.

Il povero e tristo Gaddus ha una sola risposta per queste e altre discorse: "Già."
(dal solito Giornale di guerra, 31 luglio 1916)

Perché ci sono cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate. E se "la linea del partito" è che le liberalizzazioni ci salveranno, inutile provare a far capire al piddino di turno che dal notaio non si va tutti i mesi, mentre la pensione arriva (se arriva) ogni mese. Limitarsi ad annuire con aria compunta può salvare una serata, se non un'amicizia (caso mai qualcuno di voi abbia amici di questo tipo).

Ora, il fatto è che le liberalizzazioni finora sono andate male, molto male, come ammette candidamente Repubblica (che in teoria è l'organo di quelli che sarebbero favorevoli ad esse). Già, perché pare (dico pare) esse si siano tradotte in aumenti (anziché diminuzioni) di prezzi. Misteri della concorrenza! Chi se lo aspettava! Io sì, perché per lavoro insegno i fallimenti del mercato. Ma la linea del partito è che il mercato funziona, quindi...

Sta di fatto che un aumento dei prezzi è una diminuzione del salario reale e quindi ha un impatto recessivo.

E allora vorrei rassicurare Passera: se le tenga care queste resistenze alle liberalizzazioni, che gli fanno un gran comodo: lui comunque cadrà in piedi.

Infatti se liberalizzerà probabilmente farà contenti tanti amici (andate a leggere su Repubblica come è andata con le assicurazioni Rca: +184%!). Se invece non riuscirà a liberalizzare otterrà due benefici certi: ex ante, quello di non rendere ancora più recessiva una manovra che già lo è, per ammissione della stessa Confindustria; ex post, quando la manovra avrà comunque avuto gli effetti da manuale che ovviamente avrà, e chel'ottimissimo Piga documenta così bene per il caso della Grecia, Passera avrà il vantaggio di poter dire, se qualcuno lo starà ancora a sentire, che le cose sono andate male perché, poverino, non gli hanno fatto fare le liberalizzazioni!

E i piddini (almeno, quelli che vanno tutti i giorni dal notaio) diranno: "già"...

venerdì 30 dicembre 2011

Poche, vaghe e misere parole - di Loris Campetti, Il Manifesto


Chissà quanti italiani poveri avranno ascoltato la conferenza stampa del presidente Monti. Il 25% della nostra popolazione che vive una condizione di esclusione sociale o di povertà, ha un sacco di tempo libero da passare davanti alla tv. Disoccupati, precari, cassintegrati, in mobilità, lavoratori sommersi e al nero, costretti a vivere dentro una porta girevole, oggi lavoro e mangio, domani è un altro giorno. La fase due non esiste, ha detto Monti, era già dentro la fase uno. Diciamo che è sinergica alla fase uno. Diciamo che la crescita era nella stangata votata da una maggioranza «bulgara», ma noi non ce n’eravamo accorti.  
Cos’altro ha detto il presidente alla conferenza stampa di fine anno? A chiunque gli chiedesse del mercato del lavoro o della Libia, dell’accordo con la Svizzera o dell’evasione fiscale, la risposta era sempre la stessa: «Sto studiando il dossier», dunque «ci stiamo lavorando».
Mentre Monti ci stava lavorando, 239 operaie nuove povere, alla Omsa non ci lavorano più. Il padre-padrone Nerino Grassi ha inviato un fax ai sindacati per dire che alla fine della cassa integrazione licenzierà tutte le «maestranze». Ha fretta di trasferire la produzione da Faenza in Serbia, e visto che c’è, chiuderà anche uno stabilimento nel teramano e manderà altre 360 operaie a irrobustire le fila della nuova povertà. Viva la Serbia che offre spazi, incentivi, capannoni, detassazioni e un accordo di libero mercato, cioè senza dazi, con la Russia. Una volta i giovani italiani andavano all’est con i bagagliai imbottiti di calze di seta – valore di scambio – mentre oggi i vecchi padroni ci vanno per produrle, le calze di seta. Chissà se all’est il Nerino Grassi recupererà il vecchio Carosello: «Omsa, che gambe!». Certo non proietterà le performances artistiche e rabbiose delle operaie di Faenza che hanno fatto di tutto per difendere il lavoro. Come i loro compagni autoreclusi all’Asinara, o i ferrovieri arrampicati sui grattacieli.
Per un liberista, guai a mettere limiti alla libertà di movimento del capitale. La libertà – non pretendiamo dal bisogno ma almeno dalla povertà – di chi lavora è meno interessante. Il lavoro dev’essere flessibile, mica libero. Sarà per questo che il governo italiano non dice una parola sulla chiusura dei cantieri navali di cui è proprietario, così come il governo precedente non aveva nulla da contestare alla Fiat che chiudeva la fabbrica italiana di autobus per rafforzare quelle ceche e francesi. Per non parlare della chiusura di fabbriche di automobili. La libertà di spostamento, è il caso di ripeterlo, non vale per i lavoratori e per i cittadini ma solo per i capitali che si muovono on-line. Nessuno ha chiesto a Monti cosa pensi di tutti questi capitali coraggiosi, e se non creda che tra i compiti di un governo ci sia anche la difesa – lasciamo stare la crescita – del proprio patrimonio professionale, industriale, economico. E culturale. Se glielo chiedessimo, probabilmente, ci risponderebbe: «Ci stiamo lavorando». Ma forse, quello che abbiamo visto ieri in tv non era Monti ma Crozza.


Il governo della rendita immobiliare. Chi l'avrebbe detto? - di Paolo Berdini, Il Manifesto

La revisione del catasto e degli estimi viene presentata - dal governo e i numerosi poteri forti che lo sostengono - come una "quasi patrimoniale". Ai profani potrebbe anche sembrare così. Vi proponiamo perciò il primo commento "tecnico", avanzato dall'urbanista Paolo Berdini. C'è da imparare.
 
Il governo è «vano» e la rendita ringrazia
 
Un normale vano di una casa popolare ha meno superficie di un vano di un alloggio di lusso. L'annunciata riforma del catasto basata sulla superficie reale e non sul numero dei vani è dunque un passo in avanti sulla strada dell'efficacia e dell'oggettività dell'azione del controllo pubblico. Tutto bene, dunque? Non è così. È infatti da dimostrare che l'aumento della base imponibile che la riforma provocherà non si rifletta in un aumento del prelievo sui piccoli proprietari lasciando prosperare le grandi rendite. I presupposti che questo rischio divenga realtà ci sono purtroppo tutti, perché il governo Monti poteva anche annunciare due altri semplici provvedimenti.
Il primo riguarda la necessità morale di cancellare una micidiale deroga che permette alla proprietà edilizia di non registrare i contratti per affitti «temporanei». In tutte le città in cui esistono università sono decine di migliaia gli alloggi locati a studenti al prezzo di 350 euro per posto letto ogni mese. In una casa ne infilano anche dieci. Fanno circa 40 mila euro anno che sfuggono al fisco per ogni alloggio. Basta pretendere una dichiarazione di «temporaneità» della permanenza che invece si prolunga per dodici mesi. Analogo ragionamento vale per l'immenso patrimonio affittato per vacanza sia nei centri urbani che nei luoghi di villeggiatura. Monti non ha neppure accennato alla questione che poteva invece essere risolta in pochi minuti.
La seconda questione è ancora più grave. Il catasto possiede infatti i mezzi tecnici e strumentali per compilare il registro delle proprietà che ciascuno di noi possiede, compresi quelli infilati all'interno delle scatole cinesi delle società di supporto, il cui ruolo è di abbattere il pagamento delle imposte. Sarebbe un concreto passo per attuare il dettato Costituzionale che afferma la progressività della contribuzione. Ma anche in questo caso Monti non ha dato segnali.
Del resto, non potevamo aspettarci nulla di differente. Egli afferma spesso che la questione dei poteri forti è una favola. Non conosce per sua fortuna Confedilizia o l'Acer che - di regola - conoscono invece molto bene ministri e primi ministri. E sono così bravi da suggerire leggi o scriverle direttamente, come avviene in molti altri campi della vita pubblica.
Con la nuova riforma potrebbe dunque venire un ulteriore colpo alle condizioni di vita delle famiglie più deboli. Sembra confermarsi il percorso ormai aperto con la reintroduzioni dell'Ici-Imu e con la parallela rivalutazione del 60% dei valori catastali. Si colpisce la grande massa dei proprietari di un unico alloggio e si lasciano in pace i grandi percettori di rendita.
Resta un'unica grande possibilità. Che la nuova classificazione catastale avvenga con la piena partecipazione dei comuni che potranno - attraverso adeguate forme di partecipazione - operare per tutelare le piccole proprietà e aumentare il prelievo sull'ormai intollerabile rendita parassitaria. La città è un bene comune. È ora di dargli concreta declinazione, togliendola dal dominio della cultura liberista ed operare per una vera equità sociale.
(Ps. Monti forse con conosce i poteri forti, ma abbiamo scoperto ieri che almeno Pasquale De Lise - discusso ex presidente del Consiglio di stato - lo conosce bene. Il nostro è stato nominato presidente dell'Agenzia per le infrastrutture statali. Ne saranno sicuramente felici Balducci e gli altri dell'indimenticata cricca).

In Italia cresce solo la povertà - di Galapagos, Il Manifesto

L'Istat saluta il 2011 con l'ultimo, illuminante rapporto sullo stato della società nel nostro paese. Una famiglia su quattro è povera, anche usando criteri molto restrittivi.
 
 
Una famiglia su quattro è povera e disagiata
 
Foto drammatica sul Belpaese «reale» nell'ultima indagine dell'Istat.
Il 25 %,tanti secondo l'Istat gli italiani a rischio disperazione ed esclusione. E il dato aumenta per i giovani tra i 18 e i 24 anni. Sono percentuali nettamente superiori a quelle dei maggiori paesi europei
L'Istat ha scattato una nuova foto dell'Italia e, purtroppo, non è una bella foto, ma un immagine con poche luci e tante ombra: nel 2010 un italiano su quattro era a rischio di povertà o di esclusione sociale, e il pericolo aumenta soprattutto per i giovani tra i 18 e i 24 anni. Si tratta di percentuali nettamente superiori a quelle dei maggiori paesi europei. In Francia, ad esempio, a rischio di povertà o di esclusione sociale è «solo» il 19,3% della popolazione, mentre in Germania la percentuale è del 19,7%. Per quanto riguarda il solo rischio di povertà, per l'intera popolazione italiana è al 18,2%, mentre in Francia è al 13,5% e in Germania al 15,6%. Per la popolazione con meno di 18 anni, il rischio sale al 24,7% in Italia, al 18,4% in Francia e al 17,5% per i giovani tedeschi.
L'indagine Istat su «Reddito e condizioni di vita» è stata condotta nella seconda metà dello scorso anno rilevando i redditi netti familiari e numerosi indicatori delle condizioni economiche delle famiglie. Oltre alla percentuale di persone a «rischio povertà» - il 18,2% della popolazione, come già detto - l'Istat rileva anche un 6,9% di persone che si trova in condizioni di «grave deprivazione materiale», mentre il 10,2% vive in famiglie caratterizzate da una bassa intensità di lavoro. Cioè - come spiega l'Istat - in famiglie i cui componenti tra i 18 e i 59 anni lavorano meno di un quinto del loro tempo.
La deprivazione materiale, secondo la convenzioni internazionale, è definita come «una situazione di involontaria incapacità sostenere spese per determinati beni o servizi» e vengono considerati nove fattori di deprivazione tra i quali gli arretrati nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito; o anche il non potersi permettere l'automobile o il telefono o non riuscire ad andare in vacanza per almeno una settimana l'anno. Per «grave deprivazione materiale» si intende una situazione nella quale in una famiglia sono presenti almeno quattro deprivazioni sull'elenco di nove.
Alcune percentuali indicano chiaramente in cosa le famiglie italiane sono più deprivate; il 16% delle famiglie residenti in Italia ha dichiarato di arrivare con molta difficoltà alla fine del mese; l'8,9% si è trovato in arretrato con il pagamento delle bollette; l'11,2% con l'affitto o la rata del mutuo; l'11,5% lamenta di non potere riscaldare adeguatamente l'abitazione. Sempre, ovviamente, per la mancanza di un reddito adeguato. Come al solito, è il Mezzogiorno a stare peggio: il 12,9% delle famiglie residenti al Sud è gravemente deprivato. Si tratta di una percentuale più che doppia rispetto a quella delle famiglie del Centri (5,6%) e più che tripla rispetto al Nord (3,7%). Le tipologie familiari più esposte al rischio di deprivazione materiale sono quelle con «un alto numero di componenti e/o con baso numero di percettori di reddito». E a trovarsi più frequentemente in condizioni di disagio sono le famiglie monoreddito, come gli anziani soli e i monogenitori, e quelle con «tre o più figli minori».
Le famiglie che hanno come entrata principale un reddito da lavoro autonomo registrano minori difficoltà rispetto a quelle che vivono sopratutto di redditi da lavoro dipendente. Quelle che vivono prevalentemente di pensioni sono, a loro volta, più vulnerabili di chi percepisce redditi da lavoro.
La presenza di familiari a carico, in particolare di minori, è generalmente associata a una maggiore frequenza di problemi economici. La tipologia familiare meno esposta a disagi è quella delle coppie senza figli: tra queste soltanto l'11,7% ha dichiarato di arrivare con molta difficoltà alla fine del mese, contro il 15,9% di quelle con figli. La situazione di maggiore vulnerabilità, come già accennato, riguarda le coppie con almeno tre figli: il 19,5% è stata in arretrato con le bollette, il 22,3% con l'affitto o il mutuo e il 18,6% con le rate per altri prestiti.
A proposito di reddito, dall'indagine Istat emerge che il 50% delle famiglie ha percepito un reddito netto non superiore a 24.544 euro l'anno. Ovvero circa 2.050 ero al mese. Però nel Mezzogiorno il reddito diminuisce a meno di 20.600 euro l'anno, cioè circa 1.700 euro al mese. In Italia - come hanno mostrato altre indagini, prima fra tutte quella di Bankitalia sulla distribuzione della ricchezza - c'è una fortissima sperequazione nella distribuzione. Per quanto riguarda la ricchezza - vale la pena ricordarlo - il 10% delle famiglie detiene circa il 47% dei patrimoni totali, mentre per quanto riguarda il reddito il 20% dei più ricchi si spartisce il 37,2% dei redditi netti, mentre - sul versante opposto - al 20% più povero spetta solo l'8,2% del reddito.

giovedì 29 dicembre 2011

Il saper fare italiano non serve, se non si investe in ricerca e sviluppo

Ristrutturare il sistema produttivo e dei servizi per superare la crisi. E sconfiggere i vizi dell’economia nazionale
La crisi economica internazionale non si ferma. Tutte le previsioni di crescita dell’area euro per il 2012 hanno il segno meno, mentre per l’Italia, tecnicamente già in recessione, le proiezioni di crescita del pil per il 2012 variano tra un meno 1,5% e un meno 2,5%. Lo spettro di un’ulteriore caduta del pil (double dip) non è più un caso di scuola. Sembra di rivivere il dibattito degli anni ’30. Riprendendo Minsky: «Nel tormentato periodo che va dal 1929 al 1936 gli economisti accademici (…) non avevano saputo offrire pressoché nessun suggerimento politicamente accettabile circa un piano d’azione governativo, in quanto essi erano fermamente convinti della capacità d’autoregolamentazione del meccanismo di mercato (…) l’economia prima o poi si sarebbe ripresa da sola, a patto che la situazione non venisse aggravata ulteriormente dall’adozione di un’errata politica economica, inclusa la manovra fiscale».
Inoltre, la politica economica europea finalizzata alla stabilizzazione dei conti pubblici non aiuta a sostenere la domanda. Per molti versi aggrava la malattia, come se l’esperienza degli anni trenta sia ormai un lontano ricordo di cui è meglio cancellare ogni traccia. Ma l’aspetto più grave è l’assenza di un dibattito pubblico e politico europeo adeguato alla più grave crisi economica del sistema capitalistico in tempo di pace.
Se il quadro internazionale ed europeo condiziona le politiche pubbliche italiane, occorre puntualizzare la peculiarità del sistema economico italiano e, per questa via, individuare le misure più efficaci per la cosiddetta fase 2 del governo Monti. Infatti, le misure d’adottare dovrebbero ri-strutturare (Riccardo Lombardi) il sistema produttivo e dei servizi, almeno per agganciare il target medio europeo.
L’Italia, più di altri paesi europei, ha un problema di crescita. Tra il 1996 e il 2010 ha maturato un gap di minore crescita di quasi 11 punti di pil rispetto la media europea, mettendo in crisi la sostenibilità del debito pubblico. Infatti, se diminuisce il denominatore è difficile contenere il rapporto debito-pil, ormai prossimo al 120%. Ma pochi si sono occupati delle ragioni tecniche che hanno impedito la crescita economica. Indiscutibilmente la distribuzione del reddito italiana, ormai pari a quella dei paesi anglosassoni, condiziona i consumi delle famiglie, ma sono gli investimenti e la spesa in ricerca e sviluppo a determinare la minore crescita del paese.
Rispetto alla spesa in ricerca e sviluppo è nota la minore spesa complessiva dell’Italia rispetto alla media europea. Da troppi anni è ferma all’1,3% del pil, contro una media europea vicina al 2%. Ma è la sua composizione che dovrebbe interrogarci. Perché a livello europeo la spesa in ricerca e sviluppo è per lo più privata (60% del totale), mentre in Italia è pari al 40%? Forse uno dei nodi di struttura da affrontare nella fase 2 del governo Monti è proprio la necessità di far crescere la spesa privata in ricerca e sviluppo almeno a livello europeo. Ma gli stimoli fiscali servono a poco. Infatti, la spesa in ricerca e sviluppo è direttamente proporzionale alla specializzazione produttiva, e ben poco possono fare gli incentivi fiscali. Si pensi agli incentivi fiscali per l’installazione dei pannelli solari: su cento pannelli installati, 98 sono importati, 1 è prodotto da una impresa estera sul territorio nazionale, 1 è fatto da una impresa italiana.
Sostanzialmente gli incentivi per la green economy nazionali stimolano il lavoro di altri paesi europei, persino cinesi.
L’altro nodo-vincolo del paese è legato agli investimenti. Non perché sono pochi, ma perché hanno un moltiplicatore pari alla metà di quello medio europeo. Infatti, gli investimenti delle imprese private nazionali non sono inferiori a quelli delle imprese tedesche, francesi o danesi, ma la produttività degli stessi investimenti è pari alla metà di questi paesi. L’esito non è strano, piuttosto il frutto della specializzazione produttiva, che poco attiene alle liberalizzazioni. Infatti, mentre in tutti paesi europei di riferimento la produzione industriale e dei servizi si è rafforzata nei beni strumentali ad alto valore di conoscenza, l’Italia ha consolidato la produzione dei beni di consumo, che necessitano di un “sapere” più contenuto. Non a caso il valore aggiunto di questi beni è significativamente più basso dei beni strumentali, con il difetto che incorporano la tecnologia prodotta in altri paesi. Indiscutibilmente il made in Italy è conosciuto in tutto il mondo, ma il valore aggiunto del made in Italy non è paragonabile a quello dei beni ad alto valore di conoscenza.
A questo vincolo di struttura, si affianca un altro vincolo tutto italiano. Indiscutibilmente i distretti industriali italiani sono stati un modello di organizzazione del lavoro. Questo modello ha retto la competizione internazionale fin tanto che il contenuto di alta tecnologia del commercio internazionale era non superiore al 15% dell’insieme dello stesso. Il saper fare italiano era ineguagliabile, ma oggi è del tutto inadeguato per affrontare la sfida della conoscenza e delle economie di scala adeguate per misurarsi a livello internazionale.
La fase due del governo Monti dovrebbe almeno delineare i percorsi di ri-specializzazione del tessuto produttivo nazionale. Diversamente, le politiche di liberalizzazione o farmacie, persino delle public utility, serviranno a ben poco perché consolideranno gli stessi vizi della produzione italiana.
Si potrebbe fare come in Germania che utilizza la propria Cassa Depositi e Prestiti per rafforzare il proprio sistema produttivo. In questo caso si potrebbe immaginare l’industrializzazione della ricerca pubblica italiana, che al momento rimane l’unica ricerca di peso e di livello europeo.
La fase 2 non è una occasione da perdere. Facciamo in modo tale che non si ripetano gli errori del passato.
Nerio Nesi e Roberto Romano - il manifesto

Viva la coerenza, di Massimo Gramellini, La Stampa

PRIMA:
La crisi non esiste. 
La crisi esiste però non riguarda l’Italia, quindi nessuna manovra. 
Faremo la manovra, ce la chiede l’Europa, ma non metteremo le mani nelle tasche degli italiani. 
Le metteremo solo a chi guadagna oltre 75 mila euro. Cioè, oltre 150 mila. 
Gli anni della laurea non valgono più per il computo della pensione. Chi ha detto che non valgono più? 
Ma forse toglieremo la tredicesima agli statali. Calma, ho detto forse. 
I ticket del ristorante restano garantiti solo a chi lavora più di 8 ore. Non abbiamo intenzione di limitare i ticket. 
Piuttosto alzeremo la pensione a 65 anni dal 2027. Era già stata alzata? Ok, allora aboliremo i piccoli comuni, ma non le province. 

Aboliremo le province e ridurremo gli stipendi dei parlamentari immediatamente. Entro marzo una commissione proporrà di ridurre lo stipendio dei parlamentari.
DOPO:
Salve, siamo il nuovo governo. La crisi esiste, è sempre esistita, possibile che non ve ne siate accorti? Dovremo aumentare l’Irpef di 3 punti sopra i 75 mila euro. Ho detto 75 mila? Volevo dire 100 mila. 
Non toccheremo l’Irpef. 
Va riaperto il tema dell’energia nucleare, ma sia chiaro: non si riapre il tema dell’energia nucleare. Ridurremo i compensi dei politici. Non tocca al governo ridurre i compensi dei politici. N
oi faremo subito le liberalizzazioni. Contiamo di fare presto le liberalizzazioni. Speriamo di fare un giorno le liberalizzazioni. 
Le frequenze tv all’asta? Non se n’è discusso. Metteremo all’asta le frequenze tv. 
L’articolo 18 non è intoccabile. Chi ha parlato di toccare l’articolo 18? 
Ah, bloccheremo le pensioni del ceto medio-basso. E quelle le blocchiamo davvero. E’ una questione di coerenza.

martedì 27 dicembre 2011

Lettera a un giovane sedotto dall'ichinismo, di Leonardo, www.unita.it

p. ichino
Caro giovane disoccupato, oppure lavoratore, e quindi sicuramente precario. Caro giovane di sinistra, o di destra, o di nessuno, o del migliore offerente.

Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario: volevo dirti che in linea di massima hai ragione.

Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente.

Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.

Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio.

Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani.

Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. 
Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto.

E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.

Capodanno senza botto, di Moreno Pasquinelli, http://sollevazione.blogspot.com

U L T I M ' O R A

Due fatti accaduti questa mattina, 27 dicembre, a conferma della correttezza dell'analisi dell'articolo, ovvero che il prestito della Bce al sistema bancario europeo non sortisce gli effetti sperati. Primo fatto: lo spread Btp-Bund ha toccato il massimo di 520 punti, portando gli interessi al record del 7% (la famigerata soglia pre-default). Secondo fatto: record storico anche per i depositi overnight delle banche presso lo sportello Bce.
Le banche, lungi dal far circolare i soldi prestati dalla Bce, "... hanno infatti parcheggiato complessivamente 411,8 miliardi, contro i 347 miliardi di giovedi' scorso, a riprova del persistere delle tensioni sul mercato interbancario. Gli istituti preferiscono infatti ricorrere allo sportello Bce, pur remunerato soltanto allo 0,25%, piuttosto che prestarsi fondi tra loro a tassi piu' elevati. Il precedente top storico risaliva al giugno 2010 e si attestava a 384,3 miliardi". (Il Sole 24 Radiocor). Quindi: le banche, italiane comprese, continuano a sbarazzarsi dei titoli italiani, aggravando il rischio di default sul debito sovrano; d'altra parte, non prestano soldi fra loro, ci dicono che ritengono alta la probabilitá di una serie di bancarotte banacarie.
 
Chi ci segue ricorderà che davamo come altamente probabile nei prossimi mesi un fallimento  a grappolo di alcune grandi banche europee. Aggiungevamo che questi fallimenti avrebbero a loro volta potuto causare un default combinato dei debiti sovrani, tra cui quello italiano. Col che addio all'euro e all'Unione europea. Alcuni ci hanno rimproverato per questo, "siete i soliti catastrofisti!". 
Il recente prestito di ben 489 miliardi di euro fatto dalla Bce di Draghi alle banche europee è la prova, invece, che avevamo ragione. La Bce non avrebbe elargito questo ingente prestito (operazione denominata Ltro, acronimo che sta per Long Term Refinancing Operation) se questo crollo non fosse imminente.
Con la liquidità ottenuta il sistema bancario non collasserà. Almeno per ora. Capodanno senza botto, collasso rimandato. Rimandato, non sventato. A due giorni dall'operazione  lo affermano non solo gli analisti, ma molti traders nonché, a garanzia dell'anonimato, diversi banchieri.
La conferma che il sistema bancario europeo, non solo quindi dei Piigs, è sull'orlo del precipizio, è venuta nelle ore immediatamente successive al prestito della Bce.
Gli ottimisti affermavano che questi quattrini le banche li avrebbero finalmente immessi nel circuito economico, a finanziare "la crescita. Aspetta e spera! Altri, più realisti, si aspettavano che con questi soldi freschi le banche sarebbero giunte in soccorso degli Stati, acquistando o preparandosi ad acquistare fette grosse di titoli di stato, anzitutto dei paesi a rischio. «La Bce puntella i governi per interposta persona», scriveva Fabrizio Galimberti il 23 dicembre su Il Sole 24 Ore. In effetti un buon affare: le banche prendono dalla Bce all'1% per finanziarsi comprando Btp al 6-7%. Guadagni facili.
Nulla di tutto questo! 
Ma cosa ci hanno fatto e ci stanno facendo le banche, anzitutto quelle italiane, con la montagna di soldi presi in prestito dalla Bce? Ci stanno ripianando, a conferma che lo spettro del fallimento aleggia, i loro bilanci scarcassati. Si tenga conto che le banche non sono meno indebitate degli stati. Ecco allora che esse con la liquidità appena ottenuta  rimborsano questi debiti, le obbligazioni in scadenza nel 2012. Solo le prime cinque banche italiane nell'anno entrante dovranno rifinanziare 88 miliardi di euro di obbligazioni. Non finisce qui «Alcune banche, confessa un direttore generale di un medio istituto, useranno la liquidità anche per un altro motivo: ricomprare sul mercato le loro stesse obbligazioni a prezzi di saldo». [ Morya Longo, Il Sole 24 Ore, 23 dicembre 2011]
Basteranno i 116 miliardi di euro prelevati dalla Bce ad evitare un collasso nel 2012? Certo che no, dicono gli analisti. Questa cifra rappresenta solo il 5% della raccolta totale delle banche italiane. Così già sappiamo che "la Bce a fine febbraio organizzerà una nuova immissione di liquidità a tre anni". [Ibidem] 
Le banche italiane hanno un problema serissimo coi cosiddetti "crediti deteriorati". Nel 2008 i primi dieci istituti italiani avevano crediti dubbi per 48,8 miliardi, il 3% del totale degli impieghi. Adesso la situazione è ben peggiore. Al 30 settmbre 2011 i crediti deteriorati ammontavano a circa 103,4 miliardi, pari al 12% degli impieghi.
Insomma ripatrimonializzarsi e ricapitalizzarsi è la prima priorità delle banche. Gli stati se la cavino da loro. Ricapitalizzare implica non comperare ma, al contrario, sbarazzarsi di tanti titoli di stato considerati "titoli spazzatura" o addirittura tossici.
La coperta è corta. Per una falla tappata, quella bancaria, nell'anno entrante rischia di ri-aprirsi la voragine dei debiti sovrani. Se le banche non compreranno i titoli che gli Stati metteranno all'asta chi li acquisterà? Solo l'Italia dovrà riuscire a vendere, nell'anno entrante, circa 400 miliardi di euro. [Finanza utile]. Una montagna! Il problema è che anche gli altri stati dovranno finanziarsi. Si parla che gli Stati uniti hanno bisogno di vendere nel 2012 titoli per 1200 miliardi di euro, e gli altri Stati dell'Unione per una cifra pari a 900 miliardi. Troveranno gli Stati i compratori? Qualcuno di essi, molto probabilmente, ci lascerà le penne.
Depositi delle banche europea presso la Bce

C'è un altro dato che indica fino a che punto le banche europee non si fidino della capacità degli Stati di rimborsare i titoli messi in vendita.  Ce lo spiega Zero Hedge:
«Il giorno dell'operazione LTRO a 3 anni (finanziamento a lungo termine della BCE alle banche), in un capriccio di fantasia ci siamo chiesti se, contrariamente a tutte le aspettative, le banche Europee invece di utilizzare il denaro per qualsiasi tipo di investimento reale (carry trade con i titoli di stato) o per una riduzione della leva finanziaria (passaggio da debiti costosi a debiti meno costosi), non l'avessero semplicemente parcheggiato nei depositi presso la BCE, un risultato che sarebbe il peggiore possibile, in quanto si ricicla il denaro della BCE semplicemente facendolo passare da una tasca all'altra senza alcun incremento di velocità di circolazione.
Come si può vedere, era uno scherzo solo a metà: da ieri, il giorno dopo la LTRO, le banche Europee hanno parcheggiato quasi la metà dei 210 miliardi di € disponibili (ricordo che mentre l'ammontare lordo del LTRO è stato di 489 miliardi €, il netto era di solo € 210, perché il resto è stato utilizzato per rifinanziare debiti in scadenza), e cioè € 82 miliardi, in depositi presso la BCE, che per inciso ha portato il totale al nuovo record del 2011 di € 347 miliardi, dai € 265 del giorno prima». [Zero Hedge]
La metà dei soldi che le banche hanno preso dalla Bce, sono stati dunque ridepositati nei forzieri della Bce stessa. Quindi non solo la mossa della Bce non fa uscire l'economia dalla stretta creditizia. Tutti danno per scontato che il 2012 sarà un anno di dura recessione la quale accresce la probabilità di un crollo finanziario peggiore di quello del settembre 2008.
Arriva la recessione? "Ognuno per se', Dio per tutti". Questa sembra essere la massima a cui si attengono i diversi comparti e le diverse frazioni del capitale. Ogni comparto cerca scampo a spese dell'altro, e cos¡ facendo e' impossibile al sistema trovare un suo equilibrio. Anzi, gli squilibri diventano antagonismi e questi aggravano i fattori di crisi sistemica.
Il potere politico avrebbe in teoria la funzione di appianare i contrasti, invece rivela tutta la sua impotenza. E cos¡ e' destinato ad essere travolto dalle contraddizioni che e' incapace di governare.

venerdì 23 dicembre 2011

AUGURI !


I derivati Otc hanno rotto gli argini. Rischi di nuova crisi finanziaria


I derivati Otc hanno rotto gli argini. Rischi di nuova crisi finanziaria


di Mario Lettieri e Paolo Raimondi, www.aprileonline.info

La Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea nel suo ultimo rapporto trimestrale conferma l'impazzimento della finanza globale. I derivati finanziari Over the counter (Otc), cioè quelli negoziati fuori dai mercati regolamentati e tenuti fuori bilancio, nel primo semestre del 2011 sono aumentati in modo stratosferico

Alla fine di giugno il valore nozionale totale degli Otc ha raggiunto 708 trilioni di dollari con un aumento del 18% rispetto ai livelli calcolati a fine dicembre 2010!
In sei mesi, quindi, le operazioni in derivati sono aumentate di 107 trilioni, cioè di 107.000 miliardi di dollari! Sono stati superati tutti i record.
Si ricordi che alla vigilia della grande crisi, a giugno 2008, il totale Otc aveva raggiunto la vetta di 673 trilioni di dollari.
La straordinaria crescita di tali titoli è avvenuta nonostante i tanti ottimistici impegni a riformare il sistema finanziario globale assunti dal mondo politico nei vari meeting internazionali dopo il crollo della Lehman Brothers.
Ora, mentre il Fmi paventa una recessione nel mondo cosiddetto avanzato, la Bce la dà per certa in Europa e l'Ocse parla di gravi rischi di una "crescita negativa", le grandi banche internazionali, in primis quelle americane ed inglesi, ed il sistema bancario ombra da loro controllato, hanno dato una accelerata senza precedenti ai prodotti derivati.
La finanza speculativa si allarga a dismisura e l'economia reale e produttiva si contrae! C'è il rischio di un'altra crisi molto più devastante di quella che stiamo ancora vivendo
La Bri rivela che l'esplosione dei contratti Otc è determinata quasi totalmente dalla crescita dei derivati accesi sul rischio dei tassi di interesse. Da soli essi coprono 554 trilioni. In questo campo le operazioni sono aumentate del 19% in 6 mesi. Sono contratti fatti un po' in tutte le principali monete.
Un altro aspetto preoccupante è che la maggior parte dei contratti suddetti ha una scadenza sempre più breve. Quelli con scadenza oltre i 5 anni si sono ridotti del 6%, assestandosi intorno a 130 trilioni di dollari, mentre quelli con scadenza a meno di un anno sono aumentati del 30% raggiungendo i 247 trilioni di dollari.
Ciò è sintomo di alta instabilità e di grande volatilità che, nel momento in cui gli Otc entrassero in fibrillazione, potrebbero provocare un devastante "effetto valanga" soprattutto sulle economie più deboli. Potrebbero esserci effetti negativi anche sulle monete in cui i contratti sono stati sottoscritti.
Certamente questa nuova ondata speculativa soddisfa gli operatori e gli speculatori della City e di Wall Street. Secondo l'Office of the Comptroller of the Currency (Occ), l'agenzia che regola e controlla il sistema bancario americano, nel terzo trimestre del 2011 le banche Usa hanno infatti registrato dei profitti enormi: 13, 1 miliardi di dollari con un aumento del 78% rispetto al trimestre precedente.
L'Occ tra l'altro dimostra che i derivati creati dalle banche americane sono poco meno di 250 trilioni di dollari, di cui l'87% in prodotti strutturati sui tassi di interesse.
Si ripropone la grande questione delle banche "too big to fail", quelle troppo grandi per lasciarle fallire, che di fatto hanno determinato il sistema economico e finanziario e hanno ricattato il mondo politico. Nel frattempo esse hanno accelerato il loro processo di concentrazione e di controllo del potere finanziario.
Infatti, se nel 2009 le cinque maggiori banche americane detenevano l'80% di tutti i derivati emessi negli Usa, oggi 4 banche soltanto, la JP Morgan Chase, la City Group, la Bank of America e la Goldman Sachs, ne detengono il 94% del totale.
Dai preoccupanti dati esposti emerge con forza la necessità per l'Italia e per l'Europa non solo di adottare con celerità le decisioni di propria competenza, ma anche soprattutto di giocare un ruolo più attivo in sede di G20 dove, purtroppo, finora non si è mai deciso nulla di realmente efficace contro lo strapotere del sistema bancario finanziario speculativo

2012. Lo scopriremo solo vivendo

Cosa succederà nel 2012? "Chissà che sarà di noi?/ Lo scopriremo solo vivendo". Qualche indizio però c'è già. Sarà un anno di sopravvivenza al quale seguirà il 2013, un anno ancora più duro. Ci aspetta un biennio di ferro. La disoccupazione esploderà. Le famiglie spenderanno meno e attingeranno ai risparmi (chi li ha) per cercare di mantenere il loro tenore di vita. La liquidità diventerà un bene sempre più raro. Le banche non presteranno soldi alle imprese, molte falliranno, strette tra la diminuzione della produzione e l'impossibilità di accedere al credito. Si completerà l'effetto domino iniziato nel 2008. Dopo le banche e gli Stati il contagio toccherà le imprese. Il problema è che dopo le imprese non c'è più nulla. I magazzini si riempiranno di beni invenduti. Le strade di persone senza un lavoro. A cosa servono le merci se nessuno può comprarle? La grande macchina del commercio mondiale rallenterà fino quasi a fermarsi. Molti Paesi entreranno in recessione, l'Italia avrà una diminuzione superiore all'uno per cento e sono ottimista.Senza soldi, senza lavoro e con il Paese in recessione aumenterà l'emigrazione verso l'estero, già in atto, soprattutto dei giovani, non solo in Europa, ma anche verso la Cina e il Sud America. Per chi rimarrà in Italia la vita sarà grama. I prezzi aumenteranno insieme all'inflazione, come è avvenuto in Grecia. Il Governo dovrà far fronte agli interessi sui titoli che si avvicineranno con i nuovi tassi ai 100 miliardi di euro, per farlo aumenterà le tasse sui beni primari e pagherà parte delle pensioni, degli stipendi pubblici e dei debiti con i privati in Btp. Mentre scrivo mi viene voglia di scappare all'estero. Non preoccupatevi, rimarrò qui con voi. Non vi libererete di me così facilmente.Nel 2012 il prezzo degli immobili diminuirà tra il 10 e il 20 per cento, ci sarà una corsa alla vendita, ma pochi compratori. Bisogna prepararsi a un'economia di guerra. Non fare debiti ed estinguere quelli che si hanno se è possibile. Non comprare azioni, non comprare titoli di Stato, non accendere mutui e tagliare le spese superflue. Chi ha dei risparmi apra dei conti deposito in più banche o, meglio ancora, un conto postale. Investite in orti, in terreni da coltivare. La terra è la migliore assicurazione per il futuro. Aggregatevi in gruppi di acquisto solidale, ve ne sono sempre più in ogni città. Quando la crisi passerà vi sentirete più forti, vi sarete abituati a dare un valore alle cose importanti e al vostro tempo. Chissà, forse il periodo che ci aspetta è una benedizione.

fonte:www.beppegrillo.it

Il pieno di benzina e la guerra di Abissinia

Quando fai il pieno finanzi ancora la guerra di Abissinia del 1935, belin che culo!"La benzina senza piombo è venduta a 1,700 euro/litro. Di tale somma ben 0,898 euro sono imposte dello Stato. Significa che 0,802 euro è il prezzo effettivo del carburante al litro. Le imposte: 1,90 lire per la guerra di Abissinia del 1935 (0,001 euro); 14 lire per la crisi di Suez del 1956 (0,007 euro); 10 lire per il disastro del Vajont del 1963 (0,005 euro); 10 lire per l’alluvione di Firenze del 1966 (0,005 euro); 10 lire per il terremoto del Belice del 1968 (0,005 euro); 99 lire per il terremoto del Friuli del 1976 (0,051 euro); 75 lire per il terremoto dell’Irpinia del 1980 (0,039 euro); 205 lire per la missione in Libano del 1983 (0,106 euro); 22 lire per la missione in Bosnia del 1996 (0,011 euro); 0,020 euro (39 lire) per rinnovo contratto autoferrotranvieri 2004; 0,005 euro per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005; 0,0071 a 0,0055 euro per il finanziamento alla cultura nel 2011; 0,040 euro per l’emergenza immigrati dovuta alla crisi libica 2011; 0,0089 euro per l'alluvione che ha colpito la Liguria e la Toscana nel 2011. Sommando al totale l’imposta fabbricazione carburanti, e applicando in seguito l’IVA, si giunge alla cifra di cui sopra."

fonte:www.beppegrillo.it

mercoledì 21 dicembre 2011

Il Pd e l’asino di Buridano di Paolo Flores d'Arcais, Il Fatto Quotidiano


Riuscirà Corrado Passera a sedurre la nomenklatura del Partito democratico, o dovrà accontentarsi di fare il leader della destra presentabile?

Mentre la Cgil dichiarava la sua opposizione frontale al governo Monti (indigente di equità al punto che si sono alleati con la Camusso perfino sindacati per anni corrivi col berlusconismo), l’uomo forte del governo tecnico utilizzava le domande di Fabio Fazio, questa volta incalzante (ma neppure una sull’indegna operazione Alitalia!), per intonare un canto delle sirene che sui dirigenti Pd vorrebbe fare l’effetto del flauto magico o di una irresistibile danza del ventre: lotta “senza pace” all’evasione, revoca del regalo delle frequenze televisive al putiniano di Arcore, nessuna rinuncia al programma delle liberalizzazioni. Queste ultime, come si sa, sono la stella cometa di Bersani, benché accanto a lodabili misure anticorporative (taxi, farmacie) l’etichetta preveda alle volte scempio di realtà produttive da difendere (librerie, negozi tradizionali, ecc).

Quanto al resto, era stato il segretario della Uil Angeletti, se non sbaglio, non un “eversivo” dirigente Fiom, a ricordare a Ballarò che le misure contro l’evasione questo governo le doveva inserire nel pacchetto: i benefici materiali si sarebbero visti tra due o tre anni, ma tutti e subito quelli morali, la famosa “credibilità”, cioè la certezza di non essere di fronte all’ennesima grida manzoniana. E quanto alle frequenze, non uno tra i dirigenti del Pd che abbia evidenziato come le parole di Passera sull’argomento siano state, tra dire e non dire, uno slalom che neppure il Tomba dei tempi d’oro.

Il fatto è che nel Pd le divisioni sono ormai prossime al punto di rottura, e se il governo Monti conclude la legislatura l’implosione sarà inevitabile. I Fioroni e i Veltroni vogliono l’accordo con Casini, e vagheggiano smaccatamente Passera come leader di questo grande centro (che battezzeranno centrosinistra). Ma gli elettori, una parte cospicua dei militanti (per quel che ne resta), e la forza organizzata della Cgil, non li seguiranno mai.

In Italia c’è bisogno di una destra pulita, ma anche – più che mai – di una sinistra, di un partito dell’eguaglianza “giustizia e libertà”. In realtà Bersani e Camusso sono paralizzati, come l’asino di Buridano: l’alternativa al neocentrismo, per essere credibile, dovrebbe aprirsi alla società civile, assumere la lucidità delle posizioni Fiom, rinnovare radicalmente i dirigenti. Un blocco sociale anti-privilegi nel paese già c’è, manca ancora un leader.

MATTEO PUCCIARELLI – Caro figlio, ti diranno che è colpa mia

Caro figlio,                                   da quanto tempo non litigavamo con la veemenza di ieri… forse quindici anni fa, tu eri adolescente, studiavi al liceo, quel giorno scioperasti per motivi che credevo futili (non funzionavano i riscaldamenti, mi pare di ricordare) e io ti dissi che ai miei tempi certe proteste si facevano per il Cile, non per le comodità. Devo ammettere che forse esagerai.
Ma tornando a ieri, forse mi sono spiegato male, forse ti sono sembrato ancora una volta un vetusto ideologizzato del secolo scorso, fatto sta che ci tengo a scriverti questa lettera quasi che fosse il mio testamento di vita.
Ti diranno che è colpa mia. Di quelli della mia età. Ti diranno che siamo noi a rubare il futuro a te e a quelli della tua generazione. Ti diranno che sono un privilegiato, un garantito, e che se lo sono il prezzo da pagare oggi è la tua flessibilità perenne (precarietà è la parola giusta).
Te lo diranno ancora, e te lo stanno raccontando da almeno venti anni. Per questo tu oggi ce l’hai con me e mi guardi con lo sguardo severo.
Vedi, ci hanno fatto il lavaggio del cervello, usando parole appiccicate sui significati sbagliati. Io e l’articolo 18 che mi porto appresso non sono un “garantito”. Sono una persona che lavora, e che nel lavoro viene trattato con la giusta dignità: poter progettare la mia vita è un diritto, non un privilegio; stare a casa se sono malato è un diritto, non un privilegio. E se sul lavoro non mi comporto seriamente, se vengo scoperto a rubare ad esempio, posso essere licenziato. Non verrò mai licenziato “senza giusta causa o giustificato motivo”, dice la legge, e non mi pare un privilegio ma un diritto. Quanto ai licenziamenti per motivi economici  -cioè perché l’azienda è in difficoltà  -  si possono fare eccome, come tutti purtroppo hanno potuto constatare specialmente da quando è scoppiata questa ultima crisi.
Ti raccontano che io, il garantito, sono spesso fannullone e assenteista. Sì, ci sono stati di esempi simili, di gente che conosco. Ma sono una minima parte rispetto a quelli che – come ti ho sempre insegnato – credono nel lavoro, lo svolgono con serietà e impegno, con passione, facendo anche più di quel che gli è richiesto. Per colpa di qualche mela marcia non possono e non devono pagare tutti. E’ come se, siccome alcuni di voi quando vanno in discoteca si impasticcano, decidessimo di chiudere tutte le discoteche del mondo.
Parliamo di te, piuttosto. Della tua condizione che al solo pensiero non riesco a dormirci la notte, molto spesso. A me fa male sapere che non godiamo degli stessi diritti (non privilegi, ricordalo sempre). Ma tu sbagli tiro se fai la guerra alla mia generazione. Vogliono farti credere che il problema siamo noi col nostro vituperato articolo 18, e invece i cattivi sono sempre loro. Quelli che una volta mettevano contro gli operai e gli impiegati, ora fanno lo stesso tra giovani e vecchi. Adesso li chiamano “datori di lavoro”, “imprenditori”, quasi fossero benefattori dell’umanità, per me restano quel che sono davvero: padroni.
Sono stati bravi perché hanno trasformato il lavoro, da diritto e fondamento della nostra Costituzione, in gentile concessione. Hanno lavorato su di noi, sul nostro modello di pensiero. E allora loro decidono se e come farci lavorare, pongono delle condizioni da ricatto a noi e a questa politica, giocano sui nostri bisogni e si dimenticano che l’Italia e la sua libera impresa non è (ancora) fondata solo sul profitto, ma anche sulla responsabilità sociale.
Hanno sbeffeggiato per anni tutto ciò che era pubblico, come aziende e come servizio. Ci hanno raccontano che la gestione privata era il bengodi. Eccolo il paradiso che ci hanno regalato: zero investimenti e licenziamenti a tutto spiano, da Telecom fino a Trenitalia. Privatizzazione dei profitti, collettivizzazione delle perdite. Ci hanno preso in giro.
Ti hanno detto che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” per troppi anni. Sai bene che non è mai stato così per noi, che tutto quello che abbiamo è costato sacrifici, risparmi, vacanze brevi e mai all’estero, pizzerie invece di ristoranti, sabati miei al lavoro piuttosto che in famiglia, due etti di mortadella ma non di prosciutto. Nessuno ci ha regalato nulla. Nessuno. Tutto ci è costato qualcosa.
Non sei precario a caso, figlio mio. Lo sei perché prima il centrosinistra e poi il centrodestra hanno “riformato” il mercato del lavoro dando la possibilità alle aziende di fare di voi giovani ciò che vogliono. E ora ti raccontano che il problema sarei io, tuo padre. Che si risolve tutto precarizzando il lavoro per decreto, che se per te oggi l’articolo 18 è un obiettivo faticoso da raggiungere domani non potrai neanche più sognarlo. E’ assurdo, sai? Siccome il virus della precarietà ha contagiato buona parte di voi giovani, iniettiamolo a tutti, anche a quelli che si potrebbe salvare! Il “riformismo” si traduce in “mal comune mezzo gaudio”: se la modernità è questa, preferisco restare vecchio.
Insomma, ti diranno che è colpa mia. E allora lasciati dire che io una colpa me la sono data davvero. Ed è un’altra. A noi, giovani 30-40 anni fa, l’articolo 18 non ci è stato regalato perché eravamo belli e simpatici. Ce lo siamo guadagnato. Abbiamo lottato. Abbiamo invaso le fabbriche, le piazze, le città. La polizia a volte ha sparato, e alcuni di noi ci sono rimasti secchi. Ma noi abbiamo lo stesso continuato a lottare, a credere nel cambiamento, a impegnarci quotidianamento per conquistare consapevolezze e quindi diritti. Ecco, figlio mio, non ti ho insegnato a fare la stessa cosa. Ti ho fatto crescere dandoti tutto ciò che desideravi, privandoti di niente. Sei venuto su senza il giusto mordente. Non avevi il tempo di sentire lo stimolo della fame che ti avevo già nutrito. Per questo oggi è più facile rivoltarsi contro i padri piuttosto che contro un sistema ingiusto.
Chiamala rivolta, chiamala rivoluzione, chiamala come vuoi: trova, insieme ai tuoi amici, la forza per ribellarti e riconquistarti ciò che vi è stato tolto. Un futuro dignitoso. E se cambi idea e domani vorrai festeggiare con me la mia pensione dopo 37 anni di lavoro da insegnante, ne sarò molto felice.
Tuo,
Babbo

Matteo Pucciarelli,  
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