Nel dicembre 2008, quattro mesi dopo l’inizio della crisi determinata dal fallimento di Lehman Brothers, la Federal Reserve americana (FED) diede il via al ben noto programma di espansione monetaria denominato quantitative easing (QE),
realizzato tramite l’acquisto sul mercato di titoli a medio/lungo
termine, per un importo di 600 miliardi di dollari, successivamente
aumentato ad oltre 1.000 miliardi.
Da allora, il programma è stato rinnovato per ben tre volte e la versione attualmente in essere prevede il riacquisto di 85 miliardi al mese di titoli.
Obbiettivi della FED: immettere liquidità
in un mercato interbancario paralizzato dai timori di altri fallimenti
bancari e, nel contempo, favorire la ripresa economica e la riduzione
della disoccupazione facendo pervenire denaro a basso costo al sistema
delle imprese.
In realtà solo il primo obbiettivo è stato
realizzato in quanto la liquidità a basso costo è rimasta in buona parte
presso il sistema bancario ed i grandi investitori che l’hanno
utilizzata per acquistare attività finanziarie lucrando il differenziale
tra il costo (prossimo allo zero) dei finanziamenti in dollari e l’alto
rendimento dei titoli, perlopiù emessi in divise dei paesi emergenti :
una pratica universalmente nota come carry trade.
Si è quindi creata una bolla finanziaria
con una crescita abnorme dei prezzi delle attività e dei principali
indici di borsa (dall’inizio del programma di QE l’indice SP500 è salito
del 150%) e la creazione di una ricchezza altrettanto smisurata in capo
ai principali operatori del mercato, ricchezza che si è però trasferita
solo in parte in capo agli altri soggetti economici.
Tre mesi fa la FED, ritenendo di avere raggiunto i propri obbiettivi, ha comunicato che entro giugno 2014 il programma di QE verrà terminato e che successivamente potrebbe iniziare ad aumentare i tassi di interesse.
Tanto è bastato però per scatenare una violenta reazione dei mercati
che hanno, per la prima volta dopo 5 anni, capito che è finita l’era
della liquidità in dollari a costo zero e, nella prospettiva di un
rialzo dei tassi, si sono affrettati a smontare le operazioni di carry trade citate vendendo i titoli denominati nelle divise dei paesi emergenti rimborsando nel contempo i prestiti in dollari
Il risultato ? Un crollo verticale sia delle principali divise dei paesi emergenti
che dei prezzi dei loro titoli di stato con una crescita esponenziale
dei tassi di interesse. Un esempio per tutti, il Real brasiliano che in
meno di 3 mesi si è svalutato del 20% ed il cui tasso di interesse sui
titoli a lungo termine è salito dal 6,5% ad oltre il 10%.. Una
situazione analoga si è verificata in India, Sudafrica e Turchia.
Le
economie dei paesi emergenti stanno quindi fronteggiando una crisi
determinata dall’improvvisa fuga dei capitali che negli scorsi anni
avevano contribuito a sostenere la loro crescita. Oggi lo scenario è
invece quello di economie in forte rallentamento e le cui banche
centrali sono costrette ad alzare ripetutamente i tassi di interesse per frenare il crollo delle proprie divise.
Tassi sempre più elevati sul proprio debito che assorbiranno risorse
crescenti, sottratte allo sviluppo, rimandando nel tempo la possibilità
di riequilibrare la crescita di questi paesi.
Una volta di più le
conseguenze dello sfrenato liberismo economico anglosassone saranno
pagate da milioni di persone incolpevoli, come già successo con la
maggior parte dei paesi europei, a dimostrazione che il mercato è sempre
più un gioco a somma zero dove però a vincere è sempre la stessa parte.
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