Le cronache riferiscono di un totale fallimento dell'incontro Alfano-Letta di ieri.
L'ultimo tentativo di risolvere la questione della permanenza in Senato
di Berlusconi per via politica non avrebbe avuto successo. Via dunque
alla linea dura da entrambi i lati. Ma è proprio così?
Ascoltando meglio i mormorii di fondo che accompagnano questa
incredibile vicenda, sembrano prendere corpo anche altre ipotesi tali da
fare impallidire argomenti causidici di democristiana memoria. Mi pare
che gli irriducibili stiano lavorando sui cosiddetti spiragli che il
colloquio tra Alfano e Letta avrebbero lasciato aperti.
Da un lato, quelli della destra hanno deciso che se il Pd vota contro
Berlusconi in Commissione si ritirano dal governo. Tale decisione
sembrerebbe nella forma difficilmente modificabile, una volta annunciata
con tale enfasi. Ma questo non significa necessariamente fare cadere il
governo Letta, provocare una crisi al buio o reclamare immediate
elezioni anticipate con un Porcellum che il prossimo 3 dicembre subirà
il vaglio della Consulta e che quindi potrebbe essere probabilmente
bocciato, rendendo la permanenza in carica di un nuovissimo Parlamento
insostenibile. Un governo potrebbe anche essere appoggiato dall'esterno,
in attesa che maturino tempi migliori. Anzi, così il potere di
conzionamento della destra potrebbe persino essere maggiore.
Infatti gli strateghi - si fa per dire - raccolti attorno al Berlusconi condannato
sanno che Napolitano è contrario a elezioni anticipate con l'attuale
sistema. Quest'ultimo, di fronte a una caduta di Letta, potrebbe tentare
di cercare una nuova maggioranza nell'attuale Parlamento - anzi sarebbe
un suo preciso dovere farlo - , rilanciando la palla ai grillini.
Questi però sono tornati opachi e sordi a sollecitazioni politiche che
essi non valutino direttamente fruttifere per propri vantaggi. Lo
dimostra anche, dopo un buon filibustering sul decreto del fare, la
pantomima parlamentare di metà agosto, con annesse dichiarazioni di "mai
con il Pd". Oppure il Capo dello Stato potrebbe dimettersi,
considerando fallita la missione per cui era stato inusitatamente
chiamato a un secondo mandato presidenziale, rimettendo al suo
successore la patata bollente.
Entrambe le decisioni sono indigeribili per questa destra, poiché
sarebbero di fatto la sconfessione delle sue ultime scelte politiche,
senza farla avanzare di un passo sul fronte divenuto principale della
salvezza del condannato dalla sua giusta pena.
Sull'altro versante il Pd non può recedere, almeno ufficialmente,
dalla decisione di dare corso alla sentenza, pena la deflagrazione
interna e la perdita di un rapporto con il sentire popolare che su
questa questione è molto vigile. Ma nello stesso tempo non vede
convenienza e non trova il coraggio necessario per cercare un cambio di
maggioranza che si preannuncia arduo.
L'ipotesi che circola in queste ore - e che parrebbe gradita anche a
Sel - di un governo di scopo per fare la legge elettorale e per
rispondere alle esigenze di esodati e cassaintegrati, guidato da Renzi,
appare poco credibile non tanto perché in ogni caso la legge elettorale
la fa il Parlamento e non il governo, neppure perché è dubitabile che la
sorte di chi ha perso il lavoro sia veramente in cima ai pensieri del
sindaco di Firenze, ma soprattutto perché quest'ultimo ha ambizioni ben
più grandi che non fare il traghettatore.
Per tutte queste ragioni sembra stia conquistando posizioni nel Pd
l'idea di dilatare i tempi della decisione della Commissione, magari con
invocando - ma la cosa mi sembra insostenibile sotto ogni profilo -
l'intervento della Consulta, o più semplicemente "approfondendo" la
discussione sulle implicazioni o le eventuali scappatoie della legge
Severino (votata dallo stesso Pdl), sperando che questo plachi gli animi
più vendicativi, consenta a Letta di governare e a Berlusconi di
salvare in qualche modo la ghirba.
Spettacolo, in ogni caso, umiliante. La "cosa" non può essere quindi
lasciata nelle mani degli attuali ceti politici, compresi i malpancisti
del Pd, i quali, se lo volessero, avrebbero una strada maestra per
dimostrare il loro diverso sentire: votare contro il governo delle
larghe intese alla prima occasione. Così si fa in una democrazia
parlamentare, se realmente la si vuole difendere, anche se questo può
costare qualcosa sul piano personale.
Bisogna che i cittadini e i movimenti scendano direttamente in campo.
L'idea di dare corpo a un nuovo spazio politico costruito a partire
dalla difesa della Costituzione e attento alle grandi questioni sociali -
lanciato da Stefano Rodotà in un editoriale dell'altro giorno su
Repubblica - può essere un ottimo punto di partenza.
L'assemblea dell'8 settembre e la manifestazione del 5 ottobre sono
appuntamenti da non mancare. Il conflitto sociale che tutti si attendono
per l'Autunno, ma che andrebbe organizzato e non lasciato alla pura
spontaneità (lo sciopero del 18 ottobre dei sindacati di base è buona
cosa, ma non basta), può aggiungere il tassello decisivo.
Non possono vincere - avrebbe detto Jannacci - quelli che...
Berlusconi non si batte con la giustizia ma con la politica e poi fanno
il governo insieme con lui e sono alla ricerca di una "soluzione
politica" contro una sacrosanta sentenza.
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