Il presidente della Repubblica nel suo recente intervento alle Camere
riunite ha deplorato la rissosità, la tendenza al conflitto che
caratterizza la vita politica nazionale, tacciando, in sostanza, di
infantilismo e di irresponsabilità chi invece che mirare alla concordia,
all’armonia sociale, si prodiga nella nefasta opera in senso opposto:
produrre contrasti, generare conflitti, essere forieri di disarmonie. Era
un evidente messaggio agli avversari delle “larghe intese”, di cui ogni
giorno ci viene confermata la drammatica indispensabilità, da tanta
parte dello schieramento mediatico, oltre che dai diretti interessati
alla prosecuzione della vita dell’esecutivo (e di questa Legislatura:
che paura di perdere il seggio, eh!?).
Del resto, da tempo, sul piano politico come su quello storiografico e
in generale del discorso pubblico, si sta portando avanti una
narrazione aconflittuale d’Italia, della sua memoria, della sua
struttura economico-sociale, e conseguentemente si sostiene la
prospettiva di una “crescita” politica, economica, civile nel segno
dell’armonia. Ma, contemporaneamente, in questo sviluppo della nostra
società al riparo dai marosi dello scontro, si alza la voce di un Alfano
– vicepremier e ministro di Polizia – che ripete che lo Stato non si
lascia intimidire, che le decisioni prese dai governi sono bronzee come
le Tavole della Legge, e che non si possono rimettere in discussione.
Ma che accade quando una di tali decisioni viene posta in forse dagli
stessi esponenti del ceto politico? È accaduto con Matteo Renzi, che,
sia pure in modo ellittico, ha detto che il Tav in Val di Susa non è
certo una priorità in questa fase storica. È accaduto, sia pure in senso
opposto, con Crocetta, presidente della Regione Sicilia, che dopo aver
opposto un secco no, al Muos, ci ha ripensato (dunque i ripensamenti
sono ammessi solo in una certa direzione?). È accaduto pochi giorni fa
con la seconda carica dello Stato, il senatore Pietro Grasso, che ha
allusivamente parlato di decisioni che hanno prodotto conflitti
generando problemi di ordine pubblico, alludendo al Tav, al Muos e al
Tap (Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che dovrebbe collegare i
giacimenti del Caucaso con l’Italia per “fare dell’Italia un hub sud
europeo del comparto energetico”) e alle battaglie via via più aspre che
queste decisioni che non hanno coinvolto per nulla le popolazioni,
stanno suscitando.
Come mai in queste situazioni il conflitto è accettabile? E come mai
al rifiuto di dialogo con le popolazioni e i famosi “territori”, si
risponde trasformando addirittura lo scontro civile in guerra militare?
Come mai si militarizzano le zone coinvolte, arrivando a impedire la
“libera circolazione di persone e merci”, che Schengen garantisce a
livello di Unione europea? Dobbiamo, dunque, essere così malpensanti da
ipotizzare che quando si tratti di imporre gli interessi dei gruppi
dominanti (non importa se italiani o internazionali), che si manifestano
in modo palese e addirittura clamoroso (Muos, Tav, Tap), si può fare
ricorso anche alle forme estreme di conflitto, trasformando, alla Carl
Schmitt, l’avversario in nemico; mentre quando si è davanti a situazioni
nelle quali quegli interessi possono essere più facilmente camuffati da
interesse nazionale allora si chiede collaborazione? Una
collaborazione, del resto, si chiede anche da parte del boia a chi porge
la testa alla sua mannaia.
E, allora, smettiamola, per favore – l’appello vale per Napolitano ma
anche e soprattutto per i Galli della Loggia, i Pigi Battista e
compagnia cantante – di invocare la pace e la concordia: tutti questi
vecchi e nuovi liberali dovrebbero sapere che nella teoria stessa del
liberalismo è iscritta la logica del conflitto. Che Luigi Einaudi, primo
presidente della Repubblica, galantuomo conservatore, esaltava “la
bellezza della lotta”, proprio come il suo allievo infedele Piero
Gobetti. In fondo, quindi, non v’è neppure bisogno di scomodare Marx,
che, comunque, opportunamente, ci ricorda che la storia di ogni società è
storia di lotte di classi. E che ciò che chiamiamo progresso nasce
proprio dal conflitto. Dunque, ciascuno faccia la sua parte. Lor Signori
vogliono andare avanti con queste scellerate “grandi opere”? Si
accomodino. Ma non si stupiscano se qualcuno, fino all’ultimo respiro,
si opporrà. E alla logica militare ci si può attendere che si risponda
sempre piegando la testa?
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