L’economia mondiale pende dalle labbra di due individui: il presidente della Federal Reserve americana, Ben Bernanke, ed il governatore della banca centrale europea, Mario Draghi. Le loro parole si sono sostituite ai principi d’economia,
e cioè all’andamento dei cosiddetti fondamentali. Sono bastate alcune
frasi chiave come l’affermazione di Draghi, fatta all’apice della crisi
italiana, nell’agosto del 2011: “farò di tutto per salvare l’euro”, per
far rientrare una crisi strutturale e rilanciare la corsa speculativa,
senza però curare i problemi dell’economia. Si tratta di rassicurazioni,
infatti, alle quali ha fatto seguito un aumento eccezionale di
liquidità, che è stata tutta fagocitata dal settore finanziario
lasciando a bocca asciutta l’economia reale.
Prima
di trascorrere anni ed anni a studiare una materia, ahimè, che sembra
ormai in via d’estinzione, è bene che gli aspiranti studenti d’economia
siano consapevoli di questi cambiamenti. E veniamo alle prove della potenziale morte annunciata dei principi d’economia.
Da
almeno due anni la riposta dei mercati alle crisi politiche è positiva.
L’ultimo esempio ce lo offre il nord d’Africa. Mentre l’Egitto
precipitava nella guerra civile ed il mondo guardava attonito le
immagini dei cadaveri disseminati in strada, le borse europee non
scendevano. Ma non basta, il fatto che a scivolare nel caos politico
fosse la nazione che controlla il canale di Suez – da dove passa gran
parte dell’approvvigionamento energetico per l’Europea del sud – non ha
fatto schizzare i prezzi del petrolio e del gas naturale. Poco meno di
dieci anni fa, un attacco mal riuscito di al Qaeda ai terminali sauditi
era in grado di far salire il costo del barile di 40 dollari in appena
un paio di giorni.
Paradossalmente oggi alcune cattive notizie
sono recepite positivamente perché i mercati sanno che per evitare il
crollo della borsa e l’aumento dei costi energetici Bernanke e Draghi
‘faranno di tutto’, e cioè continueranno a stampare moneta. Queste crisi
sono una sorta di manna dal cielo per un sistema ormai tossico
– che dipende per la sopravvivenza dal denaro-steroide che gli viene
iniettato nelle vene. Ed ancora paradossalmente molte buone notizie
producono una sorta di fuggi fuggi degli investitori dal mercato
azionario, è questo il caso della dichiarazione di poche settimane fa’
di Bernanke sull’ottima ripresa dell’economia americana e sulla
riduzione della disoccupazione, fattori sulla base dei quali costui ha
formulato l’intenzione di ridurre progressivamente l’ammontare di moneta
prodotta per acquistare i titoli del debito pubblico americano.
Altra anomalia l’interdipendenza che esiste tra il volume di moneta stampata negli Stati Uniti e l’andamento dell’economia globale,
in altre parole il grado di tossicità dell’economia mondiale a seguito
della contaminazione da parte di quella statunitense ed europea. Le
dichiarazioni di Bernanke riguardo alla riduzione di liquidità hanno
fatto crollare gli indici d’investimento in alcuni mercati emergenti,
con conseguente deprezzamento delle monete locali: India, Indonesia, Brasile, Turchia,
la lista delle vittime è lunga (va ricordato che forti svalutazioni
incentivano l’inflazione già alta in alcuni di questi paesi). Attraverso
i complicatissimi meandri elettronici della compravendita permanente, i
soldi-steroidi che Bernanke incanala a Wall Street finiscono nella
borsa di Mumbai o in quella di Sao Paulo.
Discorso analogo si può fare per gli stimoli della banca centrale europea,
anche questi soldi trovano la strada verso l’estero ed appena Draghi
accennerà ad una riduzione – ed è probabile che lo faccia o che sia
costretto a farlo dopo le elezioni in Germania – la crisi d’astinenza si
sentirà in tutto il vecchio continente e nelle nazioni con le quali ha
rapporti commerciali e finanziari più stretti.
Ma anche se tossica e moribonda l’economia mondiale è ancora in vita e la riprova è la corsa all’oro quale bene rifugio,
una maratona che sta assumendo ormai dimensioni eccezionali.
Storicamente ogni volta che ciò accade dietro l’angolo c’è una crisi
epocale, è quello che pensano in molti, ma naturalmente solo se i
fondamentali d’economia ancora funzionano. Di questo parleremo nella
rubrica della prossima settimana.
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