Le notizie che
ogni giorno ci pervengono dall’Egitto sono drammatiche e,
drammaticamente, riguardano una popolazione che si avvicina ai cento
milioni di abitanti. L’informazione di regime, la nostra, dopo aver
fatto finta di niente sull’avvenuto (non) colpo di Stato oggi si indigna
contro i massacri fatti dai militari che nel frattempo hanno liberato
Mubarak, a sua volta vecchio amico degli occidentali. Questa
schizofrenia riguarda anche gli schieramenti pro e contro: il governo
Iracheno, Israele, l’Arabia Saudita e la Siria sono con i militari,
mentre il Qatar, la Turchia, i Talebani stanno con gli islamisti. Grande
è la confusione sotto il cielo! Comunque la verità non viene mai detta,
infatti si parla dell’Egitto come se fosse un caso a se stante, a
parte, e ci si dimentica che oggi esiste un’area del mondo devastata
dalla guerra e tribalizzata dal moderno imperialismo. Quest’area parte
dall’Afghanistan passa per l’Iraq, la Siria, il Libano e arriva fino al
Mali, passando per la Libia, dove le democratiche armate dell’occidente,
rappresentate dai militari francesi, sono intervenute riportando
l’Africa Occidentale sotto ricatto e controllo degli “ex” colonialisti.
Il progetto della guerra e tribalizzazione dei paesi arabi (con l’Iran
però non ci sono riusciti) è un progetto strategico ma si trascina
dentro contraddizioni inaspettate o meglio inaspettate per
l’imperialismo reazionario che caratterizza l’occidente di questi ultimi
venti anni.
Diceva qualcuno che i
reazionari alzano il masso e se lo fanno ricadere sui piedi, ebbene
questa è la descrizione più esatta che si possa fare della situazione in
Egitto e in tutta l’area sconvolta dai venti di guerra. Le
contraddizioni che esplodono, infatti, non sono esclusivamente il frutto
di errori, di piani sbagliati o di calcoli approssimativi. La realtà è
sì razionale ma questo vuol dire solo che è comprensibile mediante la
ragione e non è quasi mai, invece, linearità semplice. Le vicende
egiziane di questi ultimi giorni sono proprio la cartina di tornasole di
questo elementare e consolidato principio. Un caso particolare che
riveste una valenza paradigmatica, generale.
Il capitalismo aderendo
alla realtà genera – ovviamente – le proprie contraddizioni che a
livello internazionale si manifestano con l’imperialismo, la sua forza
e, per l’appunto, le sue contraddizioni. E non vogliamo riferirci alle
consuete dinamiche di conflitto che intervengono tra Stati o Poli nella
competizione internazionale, quanto piuttosto alla capacità stessa di
gestione di processi profondi che, oltre che brutali, sono anche capaci
di acquisire una relativa autonomia ed incontrollabilità.
Due ingenuità bisogna
dunque evitare nel giudicare ciò che sta avvenendo in Egitto: la
tentazione di ridurre le ragioni del conflitto allo scontro tra laici e
musulmani e quello di circoscriverlo entro confini nazionali,
dimenticando l’intera area dove da parecchio tempo insistono le spinte
più aggressive dell’imperialismo nord americano ed europeo. Cadendo nel
primo errore ci troveremmo paralizzati davanti a un aut aut
fittizio tra la modernità laica che come marxisti vogliamo interpretare
nel modo più avanzato e – dall’altra parte – una resistenza alla
modernizzazione capitalistica che per i paesi che hanno subito il
colonialismo rappresenta, invece, l’eterno ritorno di un arcaismo:
quello dell’origine dell’espropriazione a danno di alcuni e a vantaggio
di altri. Nel secondo caso, invece, perdendo di vista il complessivo
piano geopolitico dell’intera aerea, rimarremmo chiusi in un’ottica
priva di prospettive politiche.
Se un altro insegnamento
si può trarre, infatti, dalla tragedia egiziana esso è quello dello
spazio vitale e propositivo della politica, a livello nazionale e
internazionale. La crisi economica strutturale e sistemica del Modo di
Produzione Capitalista determina le condizioni, lo scenario entro il
quale le diverse forze, le diverse soggettività si giocano una partita
politica oltre che economica.
Se una responsabilità del
massacro in atto va cercata, la si può trovare nella perenne negazione
imperialista dell’autodeterminazione e non, invece, in una delle due
fazioni in lotta.
Non esiste una via
d’uscita dalla crisi che non sia politica, lo sanno bene i nostri
avversari di classe. Sarebbe bene che le forze della sinistra
(soprattutto in Europa) smettessero d’inseguire il pensiero dominante
delle soluzioni ‘tecniche’ e ne denunciassero la falsità ideologica.
La deposizione del
Presidente Morsi e il tentativo di marginalizzazione dei Fratelli
Musulmani non è questione recentissima; già il dopo Mubarak fu tentato
dagli USA con un proprio uomo come oggi con i militari, ma gli
apprendisti stregoni sono appunto solo apprendisti e imbrigliare le
forze della natura non è in loro pieno potere.
Un nuovo
internazionalismo s’impone; partendo da una mappatura delle forze in
campo e dall’acquisizione di consapevolezza del fallimento conclamato
delle politiche subordinate a questo modello di sviluppo.
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