SINISTRA UNITA ? FACCIAMO PRESTO !
l' Appello di Bandiera Rossa
Si raspa tra le macerie,fin troppo meccanicamente a
volte – quasi non ci importasse più della cosa che andiamo cercando,
quasi fossimo mossi soltanto dall’abitudine, dall’istinto.
Dalla paura di non saper fare altro.
Andando avanti così, però, non otterremo nulla, se non le parole di incoraggiamento dei pochi compagni a noi vicini, assieme ai rimproveri e le invettive di altri gruppetti identitari.
Eppure basta guardarsi attorno, leggere i titoli dei giornali per comprendere che attraversiamo un’epoca di cambiamenti spaventosi, in cui agiscono forze determinate a creare un nuovo modello di società a loro uso e consumo. Che si tratti di un mutamento in peggio è evidente; ma è l’enormità di questo mutamento, la sua tendenziale irrimediabilità che, malgrado l’abbondanza di indizi a disposizione, non riusciamo a cogliere, né pienamente a concepire. E allora capita di illudersi – capita anche a noi che, come attivisti, avremmo il dovere del realismo – che la marcia verso il nuovo modello sociale e produttivo possa naturalmente arrestarsi, che le contraddizioni interne al Capitalismo esploderanno al momento opportuno, che ci sia ancora tempo.
Può darsi che sia già troppo tardi, ma abbiamo l’obbligo – morale e sociale – di tentare.
Chi accetta la sfida?
Compagna, Compagno FIRMA ANCHE TU !
BANDIERA ROSSA IN MOVIMENTO
link per l'Unità della Sinistra
Unita’ Della SINISTRA?
facciamo presto!
l' APPello di Bandiera Rossa
Si raspa tra le macerie, fin troppo
meccanicamente a volte – quasi non ci importasse più della cosa che andiamo
cercando, quasi fossimo mossi soltanto dall’abitudine, dall’istinto. Dalla
paura di non saper fare altro.
Andando avanti così, però, non otterremo nulla, se
non le parole di incoraggiamento dei pochi compagni a noi vicini, assieme ai
rimproveri e le invettive di altri gruppetti identitari.
Eppure basta guardarsi attorno, leggere i titoli dei
giornali per comprendere che attraversiamo un’epoca di cambiamenti spaventosi,
in cui agiscono forze determinate a creare un nuovo modello di società a loro
uso e consumo. Che si tratti di un mutamento in peggio è evidente; ma è l’enormità di questo mutamento, la sua
tendenziale irrimediabilità che, malgrado l’abbondanza di indizi a
disposizione, non riusciamo a cogliere, né pienamente a concepire. E allora
capita di illudersi – capita anche a noi che, come attivisti, avremmo il dovere
del realismo – che la marcia verso il nuovo modello sociale e produttivo possa
naturalmente arrestarsi, che le contraddizioni interne al Capitalismo
esploderanno al momento opportuno, che ci
sia ancora tempo. E’ quest’ultima l’illusione più perniciosa, perché induce
validi compagni a progettare strategie di medio-lungo termine, mentre bisogna
trovare delle risposte qui e ora.
La colpa è nostra, in effetti: siamo in ritardo.
Perché non abbiamo analizzato correttamente i fenomeni verificatisi a partire
dagli anni ’80 del secolo scorso; o perché, pur avendone intese le dinamiche,
non siamo stati capaci di comunicare efficacemente le nostre conclusioni. Certamente
non era un compito facile: l’ambiente (dai progetti politici ai media) ci era
ostile, l’opinione pubblica prevenuta nei nostri confronti. Però ci sono stati
troppi ondeggiamenti, troppi errori. Troppi settarismi,
compagni: la Storia va fatta, non continuamente rimuginata. Con il purismo
ideologico – che conduce ad identificare in compagni dalle idee simili ma
dall’etichetta diversa altrettanti deviazionisti e/o traditori – è convissuta,
in questi anni, una tendenza opposta: quella al compromesso con partiti e
schieramenti che perseguono, e non da ieri, obiettivi contrari ai nostri. La
crisi non è la causa del collaborazionismo e della doppiezza che
contraddistinguono le forze della c.d. “sinistra moderata” europea: li ha
solamente sottolineati, messi in evidenza. L’idea di barattare l’appoggio a
governi liberisti (ufficialmente di “centrosinistra”, ma sempre e comunque
liberisti) con una rappresentanza parlamentare “di controllo” è ingenua e
rovinosa: ingenua, perché nell’Occidente post ‘89 lo spazio per le minoranze si
è drasticamente ridotto; rovinosa, perché vincola i partiti della c.d. sinistra
estrema a linee politiche inaccettabili per il loro elettorato, snaturandoli e
indebolendoli. Ormai, qualche mandato parlamentare serve soltanto a rimpinguare
le casse di un’organizzazione; la Politica, quella vera, si fa fuori dalle
aule, o non si fa affatto.
Ribadiamolo: la
crisi, accortamente pilotata dai padroni di Wall Street e dei mercati
globali, non ha fatto altro che mettere sotto una lente d’ingrandimento
trasformazioni già in atto da decenni; ha
velocizzato il processo, tutto qui. Negli ultimi trent’anni, infatti, chi
non si è lasciato imbonire dalla propaganda mediatica ha assistito, con
sgomento, ad un’inversione di rotta, che ha inesorabilmente travolto le
conquiste del dopoguerra europeo: quote sempre più massicce di reddito sono
state trasferite dal lavoro dipendente e dai ceti subalterni al profitto e alla
rendita; lo sviluppo senza precedenti di una finanza “creativa” e mortifera ha
drenato capitali dai settori produttivi, generando una ricchezza virtuale
(concentrata nelle mani di pochissimi) e favorendo deindustrializzazione e
recessione economica; i diritti arduamente conquistati dalle classi lavoratrici
sono stati pian piano azzerati in nome della compatibilità
economico-finanziaria; attraverso la precarizzazione strisciante, il
proletario-consumatore è stato ricacciato in una condizione di assoluta sottomissione
ai voleri padronali. In questa ridefinizione dei rapporti di classe il ruolo
della televisione e dei media in generale è stato decisivo: come i Borg di Star
Trek, hanno ripetuto quotidianamente a masse istupidite che resistere è inutile, perché “non c’è
alternativa”.
A questa malattia infettiva di tutto l’Occidente si
aggiungono, per quanto riguarda l’Italia, patologie peculiari: l’ascesa
dell’outsider Berlusconi, portato ad anteporre, in qualunque circostanza,
l’interesse personale a quello collettivo; un ceto politico screditato e
incapace di affrancarsi dal dominio dei centri di potere non democraticamente
eletti; il servilismo nei confronti di potenze straniere, con la sistematica e
ricorrente violazione del principio costituzionale di ripudio della guerra;
illegalità, corruzione, criminalità arrembanti ed arrivate ad inquinare i
gangli vitali dello Stato; un sistema dell'informazione ostaggio di ben
determinati poteri oligarchici; la distruzione deliberata della scuola
pubblica; l'aggressione all'ambiente, alla salute dei cittadini, al bene comune
e ai beni comuni, al paesaggio e al patrimonio artistico e archeologico
italiano. L’ultimissimo periodo, poi, è stato caratterizzato da forzature
istituzionali senza precedenti: prima la rielezione di Giorgio Napolitano,
garante delle politiche di austerità imposte all’Italia; quindi, sotto l’alto
patrocinio della Presidenza della Repubblica, il varo dell’inciucio PD-PdL,
puntuale realizzazione di quel bipolarismo apparente, di marca statunitense,
che equivale in realtà a un monopartitismo liberista. Meglio Renzi, Fassina o
Epifani? Domanda sciocca: quel che conta è il copione, non le comparse sulla
scena. Certamente meno peggio il M5S, che - nonostante qualche ambiguità di
impostazione e l’opaca personalità del leader – prova ad opporsi, dentro e
fuori il Parlamento, ai maneggi dei valvassori della finanza globale, e viene
per questo bersagliato dalla stampa di regime.
Ritorniamo al punto di partenza: e la Sinistra?
Definiamola, anzitutto, perché le etichettature sono spesso fuorvianti. Essere
di Sinistra, oggidì, significa aver ben chiaro:
1) che il regresso sociale in corso non è un rimediabile effetto collaterale dell’evoluzione capitalista, ma risponde ad esigenze basilari del Capitale – e perciò non si arresterà;
2) che l’efficacia delle politiche di austerità non
si misura col metro della crescita/diminuzione del PIL, bensì alla luce delle
priorità del Capitale suddetto, che consistono nella privatizzazione integrale
della società europea e nel completo asservimento della forza lavoro;
3) che, nel quadro geopolitico attuale, i poteri economici transnazionali non sono
disposti a fare ai popoli alcuna concessione, né addivenire ad un
compromesso paragonabile a quello della c.d. “età dell’oro”;
4) che, di conseguenza, il sistema non è riformabile con strumenti ordinari, così come non
sono riformabili le istituzioni dell’Unione Europea, costruzione artificiosa
voluta dalla lobby;
5) che i
grandi partiti “socialisti” e “democratici” del continente sono partecipi
dell’ideologia dominante, e dunque vanno
considerati ostacoli da superare, non possibili alleati.
Tutto il resto – dalla diatriba sull’euro a quella
sulla sovranità – è questione marginale, così come pateticamente prive di
importanza appaiono, in questa temperie, le differenziazioni e gli “ismi”
all’interno della grande famiglia socialcomunista.
Che fare, dunque? Anzitutto riunirsi, e riflettere insieme: non siamo noi, ma i
tempi a richiederlo. L’invito-appello ad un incontro “ecumenico” – da tenersi
nella capitale, in ottobre - che rivolgiamo a tutti i partiti e i movimenti
anticapitalisti del Paese è finalizzato ad obiettivi concreti:
1) un confronto franco, anche a muso duro, tra forze
che – al di là delle diverse impostazioni adottate – condividono la lettura
della crisi trentennale;
2) la nascita
di un coordinamento nazionale (e,
in seguito, sovranazionale) che si occupi della situazione presente, non di
vertenze risalenti a ottanta o cento anni orsono;
3) l’organizzazione unitaria di un’efficace
opposizione al sistema nei luoghi di lavoro e nelle città, che si traduca non
in festose scampagnate ma in permanenti
mobilitazioni di massa in difesa dei diritti e per la loro estensione.
Intanto, però, facciamo il primo passo:
organizziamola quest’assemblea. Non confiniamola in un pomeriggio, prendiamoci
tutto il tempo necessario - anche tre giorni, se servono. Che sia un evento storico, non l’ennesimo convegno.
A ciascuno dei partecipanti sarà chiesto di esplicitare la propria visione
sull'Euro e sull'Europa, sulle possibili alleanze, sulla forma partito da
adottare o meno, su come riconquistare la rappresentanza dei ceti popolari ed una
presenza centrale nella società, su come infrangere il monopolio
dell'informazione del pensiero unico liberista, sull'eventuale - non scontata -
opportunità di dar vita da subito ad un soggetto anche elettorale (con un nome, un simbolo, un programma di massima
condiviso, regole per le candidature, strategie di comunicazione) che aiuti a
non ripetere le ultime fallimentari esperienze delle liste di sinistra “last
minute”.
La Politica e la Sinistra devono tornare
protagoniste – non negli asettici palazzi di un potere complice, ma nelle
fabbriche, nei call center e nelle
piazze, per riunire milioni di persone disperse ed impaurite in un Popolo
consapevole, determinato a lottare per un minimo di giustizia, per quello che a
noi piace chiamare Socialismo, o Comunismo. Perché è vero, verissimo che in
quest’epoca iniqua, ostaggio di un’ideologia rapace, l’unica idea nuova è il
Comunismo (o Socialismo che dir si voglia).
Può darsi che sia già troppo tardi, ma abbiamo
l’obbligo – morale e sociale – di tentare.
Chi accetta la sfida?
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