Il colle partorisce il topolino della
resa all’intimidazione del condannato con la più antica e ipocrita
ragione di Stato, quando lo Stato è stato espropriato di sovranità,
legalità, giustizia.
“Di qualsiasi sentenza definitiva e del
conseguente obbligo di applicarla, non può che prendersi atto”. Però,
però bisogna “escludere la possibilità di una crisi, contestare la
tendenza ad agitare, in contrapposizione a quella sentenza, ipotesi
arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere evitare di far
ricadere il Paese nell’instabilità e nell’incertezza, impedendo di
cogliere e consolidare le possibilità di ripresa economica”. Chiamato in
causa per offrire “risposte o soluzioni a garanzia di un normale
svolgimento, nel prossimo futuro, della dialettica democratica e della
competizione politica” il Presidente ricorda che Berlusconi non ha
rivolto nessuna richiesta ufficiale di grazia, ma qualora ci fosse, il
Colle valuterebbe “con rigore” la possibilità di un provvedimento di
clemenza secondo le prerogative di legge”.
L’avevamo forse sottovalutato:
l’improvvido stravolgimento istituzionale più che al presidenzialismo
aspira alla monarchia assoluta con tanto di pennacchi, armigeri fermati
dalla concessione della grazia, reclusi magnanimamente e vibrantemente
restituiti a amorevoli famiglie, ma, soprattutto, e meno pittoresca, la
vigenza di un regime, ispirato, voluto, stabilito dal re e offerto a un
delfino prescelto e incoronato, ubbidiente e assoggettato, secondo un
diritto “ereditario” in sostituzione della Carta, delle regole e dei
diritti.
Così il sommerso deve essere salvato:
seppure condannato per frode fiscale, deve essergli assicurata
l’“agibilità”, non le condizioni per una cristiana redenzione, non un
responsabile pentimento, no, bensì l’impunità. Di modo che in cambio si
garantisce la sopravvivenza del governo Letta, del quale ci sarebbe da
dubitare dell’esistenza in vita e del suo manifestarsi con decisioni,
azioni e scelte.
C’è chi in questi giorni, e la nota burbanzosa del Quirinale
confermerebbe l’ardita tesi che, in fondo, la clemenza altro non è che
la conferma del valore della condanna. Buone notizie dunque per le
migliaia di condannati che giacciono nelle patrie galere. Se si dà forza
a questo principio, altro che indulto, altro che amnistia e altro che
svuota carceri: tutti a casa a godere della generosità del sovrano,
marioli o assassini, spacciatori o ladri incalliti, con uan preferenza
per questi ultimi.
Ma non sarà così: viviamo in tempi di
disuguaglianze economiche e sociali sempre più profonde e le moderne
nuove frontiere della legittimità e della realpolitik prevedono una
loro applicazione rigorosa anche nell’amministrazione della giustizia a
sancire definitivamente che mica è uguale per tutti, che se un criminale
recidivo e poliedrico è per caso un capopartito, un capopopolo, un
magnate e un padrone ha diritto a uno speciale trattamento..magari anche
in attesa che questo status eccezionale possa un giorno portarlo a
calcarsi in testa, invece del parrucchino e al posto della bandana, una
corona.
Nei paesi dei campanelli, nei reami delle
operette i colpi di stato si facevano così, con procedure un po’
ridicole, con modi incruenti, ma non certo per le leggi e il diritti,
senza veleni, salvo quelli che intossicano le regole della democrazia e
della giustizia. Un partito- azienda che vuole delegittimare il
sistema giudiziario, mettersi sopra la Cassazione,
negare i fondamenti della democrazia costituzionale, insieme a un
alleato tanto sottomesso da essere complice, stanno dando luogo a un
processo eversivo, avvalorato dalla proterva ostinazione di un uomo
anziano implacabilmente convinto della irreversibilità e ragionevolezza
delle sue scelte, intento non si sa quanto consapevolmente a
perseguire un impeachment: quello del Parlamento, già svuotato di forza
da un sistema elettorale osceno e reso ancora più impotente dai ricorsi
alla fiducia e dalla decretazione d’urgenza, per dare forma a un
sistema nel quale gli organi di rappresentanza siano esautorati
pressoché completamente e il capo del governo diventi “una specie di
Secondo console, accanto al Primo, il Capo dello Stato, che sembra
essere incline aa nominare senatori asini oltre che cavalli, e nemmeno
di razza.
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