L'attesa dichiarazione di Giorgio Napolitano sulla condanna
definitiva di Berlusconi è arrivata. Ne analizzeremo il contenuto punto
per punto, inframezzando – come spesso facciamo – il nostro
commento-interpretazione in carattere corsivo. Prima di iniziare, però,
non possiamo tacere sul carattere eccezionale, extra istituzionale forse
anche anticostituzionale di questo intervento.
Mai infatti si era visto un presidente della Repubblica intervenire
su un processo che è chiuso dal lato della “condanna dell'imputato”, ma
ancora aperto quanto a pubblicazione delle motivazioni della Cassazione e
determinazione del numero di anni di interdizione dai pubblici uffici
(la Corte di Appello di Milano ne aveva inflitti cinque, mentre secondo
il Procuratore generale potevano essere al massimo tre).
Già questo fatto rappresenta un'invasione di campo motivata
unicamente non da articoli sui media (Napolitano a questi,
ipocritamente, si riferisce) ma dalle pressioni partitiche congiunte:
del Pdl che non vuole né può restare senza padre-padrone e del Pd
terrorizzato dal doversi intestare in solitaria l'azione del governo
Letta (dopo quella di Monti-Fornero), che nei prossimi mesi si annuncia
particolarmente pesante sul piano sociale.
Andiamo ora all'analisi del testo.
*****
Dichiarazione del Presidente Napolitano
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
"La
preoccupazione fondamentale, comune alla stragrande maggioranza degli
italiani, è lo sviluppo di un'azione di governo che, con l'attivo e
qualificato sostegno del Parlamento, guidi il paese sulla via di un
deciso rilancio dell'economia e dell'occupazione. In questo senso hanno
operato le Camere fino ai giorni scorsi, definendo importanti
provvedimenti; ed essenziale è procedere con decisione lungo la strada
intrapresa, anche sul terreno delle riforme istituzionali e della rapida
( nei suoi aspetti più urgenti ) revisione della legge elettorale. Solo
così si può accrescere la fiducia nell'Italia e nella sua capacità di
progresso.
Fatale sarebbe
invece una crisi del governo faticosamente formatosi da poco più di 100
giorni; il ricadere del paese nell'instabilità e nell'incertezza ci
impedirebbe di cogliere e consolidare le possibilità di ripresa
economica finalmente delineatesi, peraltro in un contesto nazionale ed
europeo tuttora critico e complesso.
Redazione. Il
baricentro è la “stabilità di governo”, imposta dall'Unione europea,
che si attende la pedissequa applicazione delle proprie direttive,
congiuntamente alla pressione esercitata da Bce e Fondo monetario
internazionale. Se questo è l'alfa e l'omega del disegno politico
incarnato da Napolitano, ben più che da Letta il Giovane e la sua corte
dei miracoli tenuta insieme con lo scotch, l'attività dell'esecutivo –
le “riforme strutturali e la distruzione del welfare – non deve essere
“turbata” da problemi inesistenti e incomprensibili in altri paesi. Come
quello di un imprenditore piduista diventato quattro volte premier che,
una volta condannato in via definitiva e in attesa di altre condanne
ancora più pesanti, pretende di essere liberato dal peso di questa – per
lui – “intollerabile
restrizione” all'”agibilità politica”. Napolitano non promette di fare
nulla, ma indica con chiarezza la strada che lo porterà a dare al
Cavaliere Detenuto ciò che chiede, rispettando – ovvero forzando oltre i
limiti già forzati oltre ogni limite – i confini costituzionali e
giuridici.
Ho perciò
apprezzato vivamente la riaffermazione - da parte di tutte le forze di
maggioranza - del sostegno al governo Letta e al suo programma, al di là
di polemiche politiche a volte sterili e dannose, e di divergenze
specifiche peraltro superabili.
Non mi nascondo,
naturalmente, i rischi che possono nascere dalle tensioni politiche
insorte a seguito della sentenza definitiva di condanna pronunciata
dalla Corte di Cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi. Mi
riferisco, in particolare, alla tendenza ad agitare, in contrapposizione
a quella sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento
delle Camere.
Di qualsiasi
sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla, non può
che prendersi atto. Ciò vale dunque nel caso oggi al centro
dell'attenzione pubblica come in ogni altro.
Red.
Incassato il sostegno al governo, Napolitano inizia a tracciare il
percorso che Berlusconi dovrebbe seguire per ottenere l'agognato
“salvacondotto”. Il primo passo è necessariamente la “presa d'atto” – da
parte del Condannato – della sentenza. È il riconoscimento minimo,
puramente formale, del principio di diritto per cui la Giustizia è
"terza" e la legge è uguale per tutti. Non fare nemmeno questo
significherebbe certificare il carattere eversivo – la rottura del patto
costituzionale dall'interno stesso del Potere – di qualiasi possibile
futuro intervento presidenziale. Più o meno come dare la grazia – o
altra commutazione della pena – a un “combattente contro lo Stato” che continui i giurare guerra eterna se rimesso in libertà.
In questo momento
è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle
conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nella scia delle
valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di giudizio; ed è
comprensibile che emergano - soprattutto nell'area del PdL - turbamento e
preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che
ha guidato il governo ( fatto peraltro già accaduto in un non lontano
passato ) e che è per di più rimasto leader incontrastato di una
formazione politica di innegabile importanza.
Ma nell'esercizio
della libertà di opinione e del diritto di critica, non deve mai
violarsi il limite del riconoscimento del principio della divisione dei
poteri e della funzione essenziale di controllo della legalità che
spetta alla magistratura nella sua indipendenza.
Né è accettabile che vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche.
Red.
Contrariamente a quanto ripetuto fino alla noia dai bigotti
dell'antipolitica (“le sentenze non si commentano”), Napolitano
riconosce al Cavaliere Detenuto e ai suoi pitoncini il diritto di dire
peste e corna sia delle sentenze che dei giudici, che le hanno prodotte
nei vari gradi di giudizio. L'unico limite che pone è la salvaguardia
del “principio della divisione dei poteri”, ovvero quello continuamente
bypassato da quanti – non solo a destra – sostengono esplicitamente che
l'investitura elettorale dovrebbe porre “gli eletti” al di sopra della
legge ordinaria, visto che loro, le leggi, sono chiamati a farle. È una
vecchia tentazione oligarchica, quella per cui “le leggi si applicano ai
nemici, e si interpretano per gli amici” (citiamo il Giolitti di inizio
Novecento per indicarne il “grado di modernità”). Rammentare questo
limite è davvero il “minimo sindacale” per un presidente della
Repubblica che dovrebbe essere – ma non è mai stato – il”custode della
Costituzione”. L'unica vera preoccupazione di Napolitano, l'unica cosa
per lui inaccettabile, è infatti che “vengano ventilate forme di
ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche”;
ridotte a governo e, per necessità “oggettiva”, e Parlamento. Insomma:
niente crisi di governo e niente scioglimento immediato delle Camere.
Stabilito questo, potete dire e fare quel che volete... Nemmeno
Hindemburg avrebbe saputo far meglio.
Intervengo
oggi - benché ancora manchino alcuni adempimenti conseguenti alla
decisione della Cassazione - in quanto sono stato, da parecchi giorni,
chiamato in causa, come Presidente della Repubblica, e in modo spesso
pressante e animoso, per risposte o "soluzioni" che dovrei e potrei dare
a garanzia di un normale svolgimento, nel prossimo futuro, della
dialettica democratica e della competizione politica.
Red. Il tasso
di ipocrisia di questo passaggio è davvero inarrivabile. In pratica
Napolitano dice di sapere benissimo che il suo intervento in questo
momento è altamente irrituale o peggio, ma dichiara di esservi stato
“costretto” da quanti lo hanno “chiamato in causa”. Un presidente vero
avrebbe mosso tutte le pedine a sua disposizione, con discrezione e
determinazione assoluta, per stoppare sul nascere queste “chiamate”; non
vi si sarebbe subordinato. Punto.
A
proposito della sentenza passata in giudicato, va innanzi tutto
ribadito che la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba
espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise
alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze
del caso concreto.
In
quanto ad attese alimentate nei miei confronti, va chiarito che nessuna
domanda mi è stata indirizzata cui dovessi dare risposta.
Red. Ovvietà
sul carcere (il Detenuto ha più di 70 anni, quindi non ci andrebbe
nemmeno se fosse un ladro di polli qualsiasi), e un'indicazione precisa
sulle “alternative che possono essere modulate” sulla situazione
individuale del condannato. In pratica: il Cavaliere potrà chiedere di
muoversi con tutto agio sul territorio nazionale; se il Tribunale di
sorveglianza di Milano gli riconoscerà la possibilità di viaggiare o
andare in tv per impegni legati alla sua “professione” (imprenditore,
politico, comunicatore, ecc) tutto andrà a posto immediatamente dopo
l'inizio del periodo di "detenzione domiciliare". Quanto alla “grazia”,
che diamine!, il Detenuto ancora non l'ha chiesta (né può ancora farlo,
visto che non ha neppure iniziato a scontare la pena).
L'articolo
681 del Codice di Procedura Penale, volto a regolare i provvedimenti di
clemenza che ai sensi della Costituzione il Presidente della Repubblica
può concedere, indica le modalità di presentazione della relativa
domanda. La grazia o la commutazione della pena può essere concessa dal
Presidente della Repubblica anche in assenza di domanda. Ma
nell'esercizio di quel potere, di cui la Corte costituzionale con
sentenza del 2006 gli ha confermato l'esclusiva titolarità, il Capo
dello Stato non può prescindere da specifiche norme di legge, né dalla
giurisprudenza e dalle consuetudini costituzionali nonché dalla prassi
seguita in precedenza. E negli ultimi anni, nel considerare, accogliere o
lasciar cadere sollecitazioni per provvedimenti di grazia, si è sempre
ritenuta essenziale la presentazione di una domanda quale prevista dal
già citato articolo del C.p.p.. Ad ogni domanda in tal senso, tocca al
Presidente della Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e
rigoroso - sulla base dell'istruttoria condotta dal Ministro della
Giustizia - per verificare se emergano valutazioni e sussistano
condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza
passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza
individuale che incida sull'esecuzione della pena principale.
Red. Per la
precisione: "guarda, Silvio, che io la grazia posso dartela comunque, o
trasformarti la condanna in una multa; ma ci sono passaggi
tecnico-giuridici che sono appena agli inizi. In ogni caso,
l'intervento presidenziale agisce - per legge - solo sulla pena
principale (la detenzione), non su quelle accessorie (l'interdizione dai
pubblici uffici; un problema grave, in effetti, per chi pretenda di
continuare a condizionare la politica di un paese). Comunque, calma e
gesso, stiamo lavorando per te...."
Essenziale
è che si possa procedere in un clima di comune consapevolezza degli
imperativi della giustizia e delle esigenze complessive del Paese.
Red.
Traduzione rapida: naturalmente deve essere d'accordo anche il Pd (i
montiani sono già d'accordo prima ancora che venga loro fatta la
domanda). E magari anche i giornali d'area (a cominciare da Repubblica).
Altrimenti nel fare quello che voglio fare (restituire l'”agibilità
politica” al Cavaliere) faccio la figura che non voglio fare...
E
mentre toccherà a Silvio Berlusconi e al suo partito decidere circa
l'ulteriore svolgimento - nei modi che risulteranno legittimamente
possibili - della funzione di guida finora a lui attribuita, preminente
per tutti dovrà essere la considerazione della prospettiva di cui
l'Italia ha bisogno. Una prospettiva di serenità e di coesione, per
poter affrontare problemi di fondo dello Stato e della società, compresi
quelli di riforma della giustizia da tempo all'ordine del giorno. Tutte
le forze politiche dovrebbero concorrere allo sviluppo di una
competizione per l'alternanza nella guida del paese che superi le
distorsioni da tempo riconosciute di uno scontro distruttivo, e faciliti
quell'ascolto reciproco e quelle possibilità di convergenza che
l'interesse generale del paese richiede.
Red.
Repetita juvant: se il Pdl si trovasse un altro capo, sarebbe tutto più
semplice. Anche fare la “riforma della giustizia”. Tanto quello che
conta è fare quel che ci ordina la Troika sul piano economico e sociale,
a chi volete che importi dell'equilibrio dei poteri?
Ogni
gesto di rispetto dei doveri da osservare in uno Stato di diritto, ogni
realistica presa d'atto di esigenze più che mature di distensione e di
rinnovamento nei rapporti politici, sarà importante per superare
l'attuale difficile momento".
Red.
Insomma: fate stare in piedi il governo, sappiate pazientare qualche
mese (pochi) e vi risolverò il problema. Altrimenti non si può fare
niente (senza governo e senza Parlamento). Se questo è un difensore della
Costituzione nata dalla Resistenza...
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