Abbiamo scelto di pubblicare questo articolo, tratto dalla rivista di intelligence dell'ex Sisde, Gnosis,
per dare una scossa a una certa mentalità “di sinistra” che ha rimosso
completamente la percezione del conflitto reale e delle sue forme
concrete; e che riconosce l'agire repressivo solo quando si manifesta platealmente con arresti, perquisizioni, ecc. Solo dopo che il danno è stato subìto, insomma.
In questo testo si riassume sinteticamente una figura non nuovissima di “infiltrato politico” che finora non aveva però avuto
né menzione ufficiale (tantomeno sulla stampa quotidiana), né
riconoscimento o ammissione d'esistenza da parte delle strutture
ufficiali di spionaggio. L'”agente di influenza” è del resto figura sfuggente già nella definizione (“attività
condotta da soggetti, statuali o non, al fine di orientare a proprio
vantaggio le opinioni di un individuo o di un gruppo”), ma concretissima
nella sua azione.
Il ventaglio di applicazione di
questa figura è immenso, praticamente senza limiti. Può andare
dall'”agente” (un singolo o un gruppo) che cerca di condizionare la
politica di uno Stato fino al più “normale” sbirro che si infila in un
gruppo, un collettivo, un centro sociale, per orientarne alcune scelte,
assumere informazioni che non viaggiano per telefono o Internet,
favorirne la disgregazione, ecc.
Una figura che si complica
ulteriormente quando le si affianca l'”agente di influenza
inconsapevole”, ovvero il cretino (singolo, gruppo, movimento, partito)
che fa spontaneamente ciò che interessa a un'entità statuale, senza
averne ricevuto alcun input. Qui il terreno diventa immediatamente più
politico che “spionistico”, con qualche aspetto comico ben espresso
dalla battuta “vorrei sapere chi è il mandante delle cazzate che
faccio”. Tanto più se
“il mandante” viene trovato magari strada facendo. Un esempio? Beh,
nella “sinistra italiana” - anche in quella “estremissima” - non ne mancano
davvero. Si può andare dalla Rifondazione bertinottiana a certi ambiti
“centrosociali” che hanno offerto un facile fianco per “operazioni
antiterrorismo” in cui era quasi trasparente l'azione “organizzativa” di alcuni infiltrati dei servizi (non a caso usciti indenni dalla retata finale).
In gergo, questo tipo di attività complessa, dai contorni adattabili a ogni contesto, viene chiamata “soft power” (o “smart power”),
perché non mette al primo posto – ma nemmeno l'esclude – l'uso della
violenza statuale. Naturalmente un'opera di infiltrazione in movimenti o
gruppi di opposizione può implicare arresti, torture, omicidi mirati;
così come l'opera di digregazione e isolamento di uno stato nemico può
comportare sabotaggi o attacchi militari. Ma l'enfasi principale è posta sull'informazione.
Del nemico si vuol sapere tutto, si vogliono mantenere sotto controllo
tutti gli aspetti vitali che lo rendono un soggetto autonomo,
indipendente, progettuale, attivo: un “nemico”, appunto, non un
occasionale “problema” strategicamente irrilevante.
Da questo articolo, insomma, è
possibile vedere emergere – in controluce – una macchina potente che
accumula e centralizza informazione, sapere, conoscenza; e lo fa per
usarla in modo progettuale, scientificamente, per realizzare gli
obiettivi (tattici e/o strategici) che si pone. Una macchina che dura
nel tempo, al di là della vita dei singoli “agenti” o dirigenti. Un'istituzione, insomma, delegata alla guerra perpetua contro altre istituzioni percepite o qualificate come “nemiche”.
Davanti a questa macchina appare
davvero bambinesca quella risposta che molti “compagni” si danno: “ma
io non ho niente da nascondere...”.
L'altro elemento rilevante che emerge è l'impotenza dei singoli (individui, collettivi, gruppi) di fronte all'agire di questa macchina. Non c'è un criterio “di protezione” che valga in qualsiasi caso; non c'è né può esistere un “fiuto” individuale. La conoscenza individuale, anche dell'attivista più scaltro ed esperto, è nulla inconfronto
alla potenza sistemica di una macchina istituzionale. I partiti
rivoluzionari ne sono sempre stati consapevoli; anzi, hanno
rappresentato la risposta – altrettanto istituzionale, ovvero complessa, regolata, centralizzata e ramificata – alla serietà del conflitto.
Ultima considerazione, o chiave
di lettura suggerita. Il primo obiettivo del soft power, è teorizzato
con chiarezza in questo articolo (“attività
d’intelligence – l’ingerenza, la disinformazione e l’intossicazione –
impiegate in modo coordinato e combinato per pianificare e condurre
operazioni offensive finalizzate alla destabilizzazione di uno Stato
avversario (o di altra struttura organizzata”, “identificazione dei
bersagli da raggiungere, che possono essere singoli (es. un leader
politico, un comandante militare, ecc.), gruppi selezionati (la
redazione di un giornale, la dirigenza di un partito politico, il
management di un’azienda, ecc.) o gruppi più estesi (un movimento di
pensiero, l’opinione pubblica di un paese, ecc.”) è la disgregazione della struttura nemica presa a bersaglio.
Nel caso di un partito o di un
movimento politico di opposizione, non necessariamente rivoluzionario
(ma a maggior ragione se questo si pone l'obiettivo di un cambiamento
reale e radicale dello “stato di cose presente”),
è facile capire come la divisione perenne sia non tanto un “regalo” al
nemico, quanto la sua ragione di vita. E come uno stile di confronto
interno in cui “ognuno dice la sua”, senz'altro obiettivo che
l'esibizione di sé, sia il meglio che il soft power capitalista possa
desiderare. In pratica, una pletora di “agenti d'influenza
inconsapevoli”, totalmente gratuita.
Buona riflessione...
*****
L’agente di influenza
8 luglio 2013
di Alfonso Montagnese
“Books are weapons in the war of ideas.”[1]
Il soft power[2]
è una modalità di espressione del potere, lontana dalle forme classiche
di manifestazione della forza, che può consentire a uno Stato,
prevalentemente attraverso il ricorso alle attività di influenza[3],
di orientare e modellare la realtà secondo i propri obiettivi
strategici e di proteggere gli interessi vitali della propria comunità.
Ma cosa si intende per influenza? Come si pianifica e si conduce una
campagna di influenza? In che modo e in quale misura le attività di
influenza possono supportare efficacemente l’azione governativa, con
particolare riguardo a quella connessa alla gestione della sicurezza
nazionale e alla tutela dell’interesse del sistema paese? E,
soprattutto, chi sono gli attori protagonisti di tali attività e quale
rapporto lega l’intelligence alle operazioni di influenza? Con questo
contributo si proverà a rispondere sinteticamente a queste e ad altre
domande, nonché a stimolare la discussione riguardo all’impiego
dell’influenza per scopi di sicurezza e difesa nazionale e alla
necessità di potenziare tali capacità nell’ambito dell’architettura
istituzionale della Repubblica.
L’influenza
Il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) ha definito
l’influenza quale “attività condotta da soggetti, statuali o non, al
fine di orientare a proprio vantaggio le opinioni di un individuo o di
un gruppo”[4]. Questa sintetica definizione, elaborata con finalità preminentemente divulgative[5],
tratteggia le prime linee essenziali dell’influenza. È possibile
acquisire qualche elemento supplementare, integrando la citata
definizione con un altro lemma a essa espressamente collegato[6], quello relativo all’information warfare
(IW), che è qualificato dal DIS come un “concetto basato sull’idea che
quello informativo sia un vero e proprio dominio in cui tra Stati ovvero
tra Stati e attori non statuali, si gioca un confronto che vede le
informazioni costituire, ad un tempo, strumento di offesa e obiettivo.
In questo contesto, il termine indica le azioni intraprese al fine di acquisire
superiorità nel dominio informativo minando i sistemi, i processi e il
patrimonio informativo dell’avversario e difendendo al contempo i propri
sistemi e le proprie reti nonché, più in generale, l’impiego delle
informazioni ai fini del perseguimento degli interessi nazionali. [L’IW] include
anche una serie di attività tipiche della tradizione intelligence – ma
che oggi possono avvalersi delle potenzialità offerte dal progresso
tecnologico – quali [...] l’influenza”[7].
L’analisi di quest’ultima definizione, oltre a far emergere la
centralità delle informazioni, consente di affermare che l’influenza è
un’attività tipica degli organismi d’intelligencemediante la quale due o
più attori – statuali e non – si confrontanocondotta nell’ambito del
dominio informativo, che ne diviene il «terreno di battaglia»incentrata
sulle informazioni, impiegate (anche) come strumenti offensivi che può
esplicarsi efficacemente anche attraverso l’utilizzazione delle nuove
tecnologie.
Il Gen. Mario Maccono, già Direttore della Scuola di Addestramento
del SISMi, e il Gen. Maurizio Navarra, già funzionario del SISDe, hanno
posto in risalto la complementarietà tra l’influenza e altre tipiche
attività d’intelligence – l’ingerenza, la disinformazione e
l’intossicazione – impiegate in modo coordinato e combinato per
pianificare e condurre operazioni offensive[8] finalizzate alla destabilizzazione[9] di uno Stato avversario (o di altra struttura organizzata).
L’influenza, in definitiva, si fonda sull’impiego mirato delle
informazioni per generare effetti cognitivi e psicologici in grado di
alterare le percezioni e di condizionare comportamenti, attitudini e
opinioni. Tale processo di orientamento può essere sviluppato sia
mediante l’uso di informazioni totalmente vere, facendo prevalere i
fattori di credibilità e attraenza, sia mediante il ricorso a tecniche
di deception [10], privilegiando gli aspetti manipolativi e ingannevoli.
L’agente di influenza
L’influenza, in particolar modo quella di livello strategico, si articola per mezzo di un complesso «ecosistema», composto da una vasta gamma di strutture organizzate[11],
le cui competenze non sono sempre marcate da confini rigidi e le cui
funzioni effettive non appaiono facilmente riconoscibili, e singoli individui, alcuni dei quali non sempre consapevoli del loro ruolo[12] e delle finalità ultime del loro agire. I principali attori coinvolti nelle influence operations
sono gli agenti di influenza e i servizi di informazione e sicurezza.
Ma chi sono gli agenti di influenza? E in che rapporto sono con gli
apparati d’intelligence?
Per il Gen. Ambrogio Viviani, già responsabile del controspionaggio del SISMi, l’agente
di influenza è “un agente segreto che opera sotto mentite spoglie ma
apertamente, senza commettere alcun reato, diffondendo idee, sostenendo
teorie, dirigendo movimenti di opinione, secondo le direttive ricevute e
seguite allo scopo di conseguire determinati effetti nell’ambiente
avversario in funzione degli obiettivi della politica del proprio Paese.
[Ma] è anche colui che per convinzione personale agisce nello stesso
modo, senza rendersi conto di essere […] manipolato da altri e quindi
senza rendersi conto, magari in buona fede, di operare per interessi
estranei ed esterni e addirittura in contrasto con i propri e con quelli
del proprio Paese”[13].
Walter Raymond, politologo e docente universitario presso la Virginia
Commonwealth University, ha incluso gli agenti d’influenza nelle
risorse della human intelligence (HUMINT), definendoli come “persons
with influence in one country secretly promoting the interests of
another”[14].
E proprio tenuto conto di quella che deve essere la loro principale
dote, cioè la capacità di influenzare, Francesco Cossiga ha circoscritto
il bacino dal quale gli agenti di influenza possono essere reclutati:
“quadri dirigenti di un Paese o «aiutati» a salire ad alti livelli della
vita politica, burocratica, scientifica, finanziaria, bancaria o
attraverso individui di particolare autorevolezza personale, culturale e
morale”[15].
Secondo Abram Shulsky e Gary Schmitt la via più semplice e diretta
per condizionare i processi decisionali e i comportamenti degli
avversari consiste nell’impiegare un agent of influence, che è definito “an agent whose task is to influence directly government policy rather than to collect information”[16].
Dalla descrizione offerta dai due esperti statunitensi emerge un
confine tra l’influenza e l’attività informativa pura, che, in linea
teorica, è ben definito e marcato, mentre, nella realtà operativa,
diviene permeabile e sfumato: l’agente di influenza, infatti, non ha
necessariamente il compito esclusivo di operare nel campo dell’influenza
ma può anche occuparsi, contemporaneamente, di raccolta informativa. Tale
potenziale duplicità di incarico discende dalla posizione che spesso
l’agente di influenza ricopre all’interno dell’establishment
dell’avversario: una posizione privilegiata, che, oltre a consentirgli
di manipolare direttamente le percezioni della controparte e orientarne i
comportamenti e le decisioni, gli permette di avere accesso a
informazioni sensibili e, talvolta, fondamentali per la stessa pianificazione ed esecuzione delle influence operations.
Ancora una volta affiora la stretta interconnessione tra intelligence e
influenza. Shulsky e Schmitt, inoltre, hanno chiarito che l’agente di
influenza non è sempre legato da un rapporto organico con l’apparato
d’intelligence per cui opera e che frequentemente la relazione tra
l’agente e la struttura è di natura flessibile e varia a seconda delle
circostanze e del contesto operativo in cui l’agente stesso è impiegato.
Angelo Codevilla, docente di relazioni internazionali presso
l’università di Boston e già membro del Select Committee on Intelligence
del Senato degli Stati Uniti, ha dipinto gli agenti di influenza come
“allies in the councils of a foreign power”[17], mediante i quali uno Stato può esprimere le sue capacità di political warfare[18]. L’esperto statunitense, inoltre, ha osservato che:
-
- gli agenti di influenza non sono meri esecutori di ordini e non sono motivati, in genere, da ricompense di tipo economico
-
- sebbene le attività poste in essere dagli agenti di influenza siano tendenzialmente condotte in modo palese (in quanto, per poter influenzare altri soggetti, gli agenti devono necessariamente esternare i propri sentimenti, comportamenti e opinioni), le procedure di coordinamento e i canali di comunicazione con il servizio d’intelligence a cui essi riportano sono prevalentemente occulti (al fine di non rendere conoscibile la natura effettiva e lo scopo reale della loro azione)
-
- l’impiego eccessivo degli agenti di influenza comporta per gli stessi un rischio di sovraesposizione e un incremento delle probabilità che essi siano individuati dagli apparati di informazione e sicurezza dell’avversario
-
- il ricorso agli agenti di influenza deve essere preceduto da un’attenta attività di pianificazione e dalla predisposizione di un chiaro e definito programma da affidare loro, soprattutto se gli stessi sono destinati, nel lungo termine, a ricoprire posizioni di vertice nell’establishment dell’avversario
-
- le operazioni di influenza possono garantire validi risultati
solo se efficacemente supportate da attività di intelligence (volte a
comprendere il quadro operativo in cui l’operazione si dovrà svolgere e a
valutare le capacità dell’agente di influenza) e di controspionaggio (finalizzate a verificare le effettive intenzioni dell’agent of influence nonché a misurarne il livello di reale collaborazione e di lealtà)
Esempi di impiego degli agenti di influenza
Per comprendere meglio la capacità che gli agenti di influenza
possono avere nel determinare gli eventi, o comunque, nel condizionarli,
può essere utile riportare sinteticamente qualche caso documentato,
relativo a epoche storiche, Paesi e campi d’azione differenti:
William Stephenson, agente di influenza
britannico, operò durante la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti,
non solo per analizzare e sorvegliare le attività dei futuri alleati,
ma, soprattutto, per influenzare l’establishment americano in favore
degli interessi del Regno Unito[19].
Attraverso un’estesa rete di influenza composta da oltre tremila
persone, Stephenson indirizzò i principali organi di stampa statunitensi
(The Herald Tribune, The New York Post, The Baltimore Sun, ecc.) in
favore della Gran Bretagna e orientò l’opinione pubblica nordamericana, e
quindi il governo degli Stati Uniti, a sostegno dell’entrata in guerra
contro la Germania nazista e i suoi alleati[20]
-
Eli Cohen fu un agente di influenza israeliano in Siria. Agente sotto copertura del Mossad, dopo essersi infiltrato nel partito baatista siriano al potere dal 1961, con la nuova identità di Kamil Amin Thabit, raggiunse i vertici del governo di Damasco, orientandone le decisioni fino al suo arresto e uccisione nel 1965[21]
-
Pierre-Charles Pathé, giornalista francese ben introdotto nei salotti della politica e dell’economia di Parigi, fu un agente di influenza sovietico[22]. Pathé condusse un’articolata campagna di influenza per conto del KGB, pubblicando, dal 1976 al 1979, Synthèse, un bollettino di analisi politica indirizzato ai maggiori esponenti della classe dirigente francese, orientato a discreditare la NATO e, in generale, i Paesi occidentali e a favorire gli interessi dell’URSS in Francia nonché il progressivo avvicinamento delle posizioni di Parigi a quelle di Mosca
-
Arne Treholt, funzionario del Ministero degli Esteri norvegese, operò come agente di influenza sovietico nel periodo della guerra fredda e sino al suo arresto nel gennaio 1984[23]. Il diplomatico, ricoprendo incarichi di rilievo in ambito nazionale e internazionale, condizionò tra il 1976 e il 1984 le politiche del governo norvegese in favore degli interessi sovietici ed utilizzò la sua vasta rete di contatti nei media per diffondere notizie sconvenienti per gli Stati Uniti e per la NATO
-
secondo alcuni membri del Congresso americano,[24]
Huma Abedin, Deputy Chief of Staff dell’ex Segretario di Stato Hillary
Clinton, è stata un agente di influenza dei Fratelli Musulmani. Secondo
questa ipotesi, Abedin, sfruttando la sua posizione all’interno del
Department of State, è riuscita a condizionare la politica estera
statunitense durante il primo mandato di Barack Obama in direzione
favorevole agli interessi dei Fratelli Musulmani, a esempio, supportando
le attività di proselitismo e di indottrinamento condotte
dall’organizzazione negli Stati Uniti e concedendo alcuni canali di
finanziamento all’Egitto (dove i Fratelli Musulmani sono la forza
politica dominante) e ad altri beneficiari rientranti nella rete del
movimento (esponenti dell’Autorità Palestinese, di Hamas, ecc.).
Gli apparati di intelligence e la gestione delle operazioni di influenza
Gli agenti di influenza, sebbene, come già esaminato in precedenza,
spesso non siano legati da un rapporto organico con i servizi di
intelligence e godano di un ampio margine di libertà sulle modalità di
esecuzione delle proprie attività, sono tuttavia «gestiti» e coordinati
da strutture organizzate, riconducibili direttamente o indirettamente
agli apparati di sicurezza e informazione o, comunque, al sistema di
sicurezza e difesa di uno Stato, soprattutto nel caso di campagne di
influenza complesse, caratterizzate da un elevato livello di
sofisticazione e proiettate a lungo termine.
L’organismo deputato a gestire una campagna di influenza deve sposare
una logica di pianificazione delle azioni che poi l’agente di influenza
dovrà condurre. Nel quadro di questa attività di pianificazione è
necessario provvedere:
-
- all’analisi del contesto di intervento
-
- all’individuazione delle finalità della campagna e alla valutazione del tempo necessario per raggiungerle
-
- all’identificazione dei bersagli da raggiungere, che possono essere singoli (es. un leader politico, un comandante militare, ecc.), gruppi selezionati (la redazione di un giornale, la dirigenza di un partito politico, il management di un’azienda, ecc.) o gruppi più estesi (un movimento di pensiero, l’opinione pubblica di un paese, ecc.)
-
- alla scelta degli strumenti e dei canali più adeguati per raggiungerli
-
- alla comparazione costi/benefici connessi all’operazione.
La fase di pianificazione strategica deve essere integrata da
un’attività di controllo, volta al monitoraggio continuo dell’andamento
della campagna, al fine di apportare, se necessario, aggiustamenti e
correttivi, o, nell’ipotesi peggiore, di sospendere la campagna stessa. È
indispensabile, quindi, che la struttura di coordinamento e controllo
acquisisca la consapevolezza dei potenziali effetti imprevisti che la
campagna può generare.
Tra le strutture deputate alla pianificazione e alla gestione delle
operazioni di influenza, giusto per fare qualche esempio, oltre al già
citato OWI (vedi nota n.1), il Servizio Speciale A del KGB sovietico[25], gli Special Groups[26] americani, il National Clandestine Service[27] (NCS) della CIA e l’Office of Strategic Influence[28] (OSI) della Difesa statunitense.
Conclusioni
Nel quadro del nuovo assetto
internazionale, caratterizzato da fluidità e carenza di leadership, i
singoli Stati, e particolar modo quelli di media potenza come l’Italia,
non sono più in grado di incidere unilateralmente, e in misura
significativa, sulle dinamiche globali[29],
soprattutto se limitano la loro azione al ricorso agli strumenti
convenzionalmente riconosciuti quali espressione del potere: la forza
militare, l’attività politico-diplomatica e la competitività
economico-finanziaria. La combinazione tra gli strumenti coercitivi
classici e quelli legati ai meccanismi dell’influenza, della persuasione
e dell’attrazione, definita smart power[30],
è la modalità di espressione del potere che oggi risulta essere più
efficace affinché uno Stato possa affermare la propria posizione
geopolitica e consolidare i propri interessi nazionali. L’Italia
dovrebbe, quindi, accrescere il suo smart power, acquisendo
soprattutto nuove capacità nel campo dell’influenza (o potenziando
quelle preesistenti), ricorrendo anche alle tecnologie per
l’informazione e la comunicazione[31],
da impiegare in modo integrato, sinergico e sincronizzato con le altre
capacità già espresse dal corpo diplomatico, dallo strumento militare,
dagli apparati di intelligence e, più in generale, dall’intero sistema
di sicurezza e difesa del Paese.
[1]
Slogan elaborato dall’U.S. Office of War Information (OWI) e inserito
in un poster utilizzato per promuovere nell’opinione pubblica interna
l’intervento degli Stati Uniti nella II Guerra Mondiale e per sostenere
il morale delle forze combattenti impegnate sui diversi fronti. L’OWI
era un organismo competente nel pianificare e condurre campagne di
influenza e di propaganda su larga scala, anche oltre i confini
nazionali statunitensi, e impiegava, oltre ai poster, programmi
radiofonici, film e riviste.
[2]
Joseph Nye, docente a Harvard e già Presidente dello U.S. National
Intelligence Council, ha coniato nel 2004 il concetto di soft power,
contrapponendolo a quello di hard power. J. S. Nye, Soft Power: un nuovo futuro per l’America, Einaudi, Torino, gennaio 2005.
[3] P. Cornish, J. Lindley-French, C. Yorke, Strategic Communications and National Strategy, Chatham House, settembre 2011.
[4] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, Il linguaggio degli Organismi Informativi – Glossario Intelligence, Quaderni di Intelligence, Gnosis, giugno 2012.
[5]
La pubblicazione del Glossario rientra nelle attività svolte dal DIS
nell’ambito dei compiti, assegnatigli dalla legge 124/2007, concernenti
la promozione e la diffusione della cultura per la sicurezza.
[6]
Il Glossario consta di 259 lemmi, i quali sono collegati tra loro per
analogia concettuale o perché appartenenti alla medesima
macro-categoria.
[7] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, op. cit.
[8] M. Navarra, M. Maccono, “La destabilizzazione”, in Per Aspera ad Veritatem, n. 24, Roma, settembre-dicembre 2002.
[9]
Secondo Edward Luttwak, infatti, la pianificazione di una campagna di
destabilizzazione, propedeutica all’esecuzione di un colpo di stato,
deve essere indirizzata prevalentemente a influenzare i processi
decisionali dell’élite del Paese avversario. E. Luttwak, Coup d’Etat – A Pratical Handbook, Fawcett Premier Book, New York, 1969.
[10] La deception,
la cui traduzione letterale è «inganno», è un’attività “impiegata per
nascondere, in tutto o in parte, le effettive intenzioni, capacità e
strategie all’avversario (target) e, al contempo, comprometterne le
capacità di comprensione in merito a un dato fenomeno, evento o
situazione, al fine di indurlo a un impiego irrazionale e/o svantaggioso
delle proprie risorse”. A. Montagnese, Intelligence e deception strategica: manipolazione percettiva ed influenza dei processi decisionali di vertice, Istituto Italiano di Studi Strategici N. Machiavelli, Roma, aprile 2012.
[11]
Le operazioni di influenza pianificate dagli organismi di intelligence
possono essere eseguite, infatti, sia ricorrendo direttamente ai propri
agenti di influenza, sia in modo indiretto, attraverso think tank,
società di consulenza, organi di informazione (radio, giornali, ecc.),
associazioni culturali, istituti di formazione, centri di ricerca,
circoli accademici, club e altre strutture presenti nella società civile
e in grado di incidere sulla formazione di opinioni, idee, sentimenti
e, quindi, sui comportamenti e le attitudini di gruppi più o meno estesi
o di singoli individui.
[12] P. Cornish, J. Lindley-French, C. Yorke, op. cit.
[13] A. Viviani, Servizi segreti italiani, 1815 -1985, Adkronos Libri, Roma, 1986.
[14] W. J. Raymond, Dictionary of Politics – Selected American and Foreign Political and Legal Terms, Brunswick, 1992.
[15] F. Cossiga, I
Servizi e le attività di informazione e di controinformazione –
Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente comune, Rubbettino, Soveria Mannelli, marzo 2002.
[16] A. Shulsky, G. Schmitt, Silent Warfare, Potomac Books, Inc., 2002.
[17] AA. VV., Political Warfare and Psychological Operations – Rethinking the US Approach, a cura di F. R. Barnett, C. Lord, National Defense University Press, Washington DC, 1989.
[18]
“Political warfare is a term […] that seems useful for describing a
spectrum of overt and covert activities designed to support national
political-military objectives”. Ibidem.
[19] W. Stevenson, A Man Called Intrepid – The Secret War, Lyons Press, Toronto, 2000.
[20]
Edward Luttwak ha sostenuto che nel periodo immediatamente precedente
all’entrata in guerra degli Stati Uniti, avvenuta nel 1941, operavano su
suolo americano gruppi di pressione e di influenza, sia espressione
della Gran Bretagna sia della Germania nazista, il cui compito era di
spingere il vertice politico-militare statunitense ad assumere decisioni
favorevoli ai rispettivi interessi, con specifico riferimento
all’evento bellico. E. Luttwak, op. cit.
[21] A. Giannulli, Come funzionano i servizi segreti, Ponte alle Grazie, Milano, dicembre 2009.
[22] A. Shulsky, G. Schmitt, op. cit.
[23] Ibidem.
[24]
Michele Bachmann, Louie Gohmert, Lynn Westmorleand, Trent Francks e
Thomas Rooney, tutti membri del Partito Repubblicano, hanno formalmente
invitato, il 13 giugno 2012, l’ambasciatore Harold Geisel, responsabile
del servizio ispettivo dello U.S. Department of State, a investigare
sulle capacità di influenza dei Fratelli Musulmani nei confronti della
politica estera degli Stati Uniti e a verificare se, con specifico
riferimento ad alcune scelte e misure adottate durante il mandato del
Segretario di Stato Hillary Clinton, vi sia stato il coinvolgimento
dell’organizzazione islamica o di personalità a essa collegate.
[25] P. Guzzanti, I servizi russi: dal KGB a Putin,
materiale didattico presentato e distribuito dall’autore a supporto
della lezione tenuta nell’ambito del Master in Intelligence e Sicurezza
Nazionale presso la Link Campus University of Malta, Roma, 25 giugno
2010.
[26]
Particolari gruppi istituiti nei primi anni ’60 dal Presidente John
Fitzgerald Kennedy, caratterizzati da una competenza per materie
specifiche e da una composizione interministeriale/interagenzia. J. H.
Michaels, Managing Global Counterinsurgency: the Special Group (CI) 1962-1966, in Journal of Strategic Studies, vol. 35-1, 2012.
[27]
Articolazione della CIA istituita nel 2005 ed erede del Directorate of
Operations dell’Agenzia. All’interno del Servizio vi è la Special
Activities Division, che, tra le varie competenze, ha anche quella di
condurre attività di covert influence.
[28]
Organismo operante nell’ambito dello U.S. Department of Defense, dal 30
ottobre 2001 fino a febbraio 2002, con compiti di influenza,
disinformazione e propaganda in supporto alle operazioni militari fuori
territorio statunitense. S. L. Gough, The Evolution of Strategic Influence, U.S. Army War College – Strategy Research Project, Carlisle Barracks, Pennsylvania, 2003.
[29] A. Evans, D. Stevens, Organizing for Influence, Chatham House, giugno 2010.
[30] J. Nye, “Get Smart: Combining Hard and Soft Power”, in Foreign Policy, luglio – agosto 2009.
[31]
A esempio un impiego proattivo dei social media da parte delle
istituzioni, adeguatamente inquadrato nella cornice della strategia di
sicurezza nazionale, consentirebbe di esprimere elevate capacità sia di
natura offensiva (operazioni di influenza, propaganda, deception,
disinformazione, perception management) sia di natura difensiva
(contro-propaganda, contro-ingerenza, counter-deception, warning, ecc.).
Non a caso, oggi, tra i più incisivi agenti di influenza è possibile
individuare i blogger e i gestori di contenuti multimediali su
piattaforme online di networking. A. Montagnese, Impact of Social Media on National Security, Ce.Mi.S.S., Roma, aprile 2012.
Nessun commento:
Posta un commento