Il compromesso Pd-Pdl sull’Imu si sta rivelando per quello che è: una soluzione a vantaggio dei ricchi che sarà pagata, salatamente, dai poveri. Se tra tredici giorni l’aliquota dell’Iva passerà al 22 per cento e sarà massicciamente applicata su un vastissimo paniere di prodotti di consumo di massa, a caricarsene il peso sul groppone saranno i ceti sociali mediobassi. D’altra parte è stato il premier Enrico Letta a dichiarare solo un paio di giorni fa che la partita dell’Iva “è complicata”. Una formula che lascia intendere come l’incremento sia difficilmente evitabile. E il titolare dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, la pensa, e non da oggi, nello stesso modo. Dunque dal primo ottobre l’aliquota al 21 per cento salirà al 22. È uno scenario che al ministero dell’Economia danno ormai pressoché per scontato. “O si finanzia l’abolizione dell’Imu – dicono fonti autorevoli di Via XX settembre – o si finanzia il blocco dell’aumento dell’Iva. Entrambe le cose non sono possibili”. I tecnici del ministero stanno cercando le coperture (per l’Iva serve un miliardo fino alla fine dell’anno), simulano le possibili soluzioni, ma la conclusione è sempre la stessa: i soldi non bastano. L’abolizione della seconda rata dell’Imu (2,4 miliardi circa) è del resto soltanto un impegno del governo. Non è scritta da nessuna parte mentre l’aumento dell’Iva, che riguarderà tantissimi prodotti, dal vino agli elettrodomestici, è già legge. Ma c’è un altro elemento che pesa sul piatto della bilancia: è la strategia, suggerita anche da Bruxelles, dagli organismi internazionali, dall’Ocse al Fondo monetario – e propagandata ai quattro venti dal presidente del Consiglio come ‘volano’ di una svolta economica in favore della crescita – di alleggerire il peso del fisco sul lavoro e le imprese per intercettare un po’ la ripresa ma anche per attrarre gli investimenti esteri. Tanto che proprio il taglio del cuneo è tra le 35 misure previste nel pacchetto “Destinazione Italia” che il Consiglio dei ministri dovrebbe varare venerdì con la costituzione di una società per azioni proprio per accompagnare gli investitori. Insomma, quel che bolle in pentola è che i circa quattro miliardi che sarebbero stati necessari per mantenere strutturalmente l’Iva al 21 per cento verranno dirottati alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo. Poi sarà tutto da vedere come verrà realizzato il taglio e quali effettivi benefici una manovra di questa tutto sommato modesta entità porterà a lavoro e imprese. L’esperienza precedente del 2007 con il governo Prodi manda a dire che il taglio sarà difficilmente percepibile delle imprese e soprattutto dei lavoratori nelle loro buste paga. Per questo è possibile che si profili una soluzione molto light: riduzione del cuneo solo per i neo assunti a tempo indeterminato.
Di certo sull’Iva e sul cuneo si fronteggiano i due partiti delle larghe intese, con qualche accenno di trasversalità, e con relative lobby a fianco (industriali per il taglio del cuneo, commercianti per quello dell’Iva). Il Pdl vuole innanzitutto l’Iva. Anche in campagna elettorale criticò la proposta della Confindustria di spostare il carico fiscale dalle persone e le imprese alle cose. Il Pd ha sposato la linea Letta-Saccomanni per quanto con qualche dissenso. Per esempio quello del vice ministro dell’Economia, Stefano Fassina, a favore del blocco dell’aumento dell’Iva per i possibili effetti recessivi che altrimenti si determinerebbero, e invece freddo sul cuneo data la carenza delle risorse. Anche il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, si è mostrato più sensibile di altri alle posizioni delle lobby dei commercianti. Un braccio di ferro tra il partito dei consumi e quello dei produttori. Anche se – dice Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi della Confcommercio – “l’Iva non è altro che il cuneo fiscale sui consumi”. “E comunque – aggiunge – se scatterà l’aumento dell’aliquota vorrà dire che “scomparirà” uno 0,1 per cento di consumi potenziali. Più che la ripresina vedremo una stagnazione”.
Come si vede la ‘tempesta’ sta tutta dentro un bicchiere d’acqua. Le misure che sarebbero necessarie per redistribuire il carico fiscale, sostenere i redditi più bassi, promuovere lo sviluppo, non sono nella disponibilità culturale e politica dell’esecutivo. La ‘patrimoniale’ è ormai argomento messo all’indice, la lotta all’evasione fiscale resta un argomento da propaganda elettorale, la perequazione di redditi e pensioni un tabù invincibile. E domina il mantra monetarista. Un vero cul de sac dal quale non si esce con qualche escogitazione da prestigiatori. La nave continua ad imbarcare acqua e le pompe non reggono più il ritmo.
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