Il
7 novembre no, è una data improponibile e persino sospetta (a qualcuno
magari potrebbe venire in mente una certa Rivoluzione d’Ottobre, per
carità…): i cosiddetti renziani la trovano troppo ravvicinata, troppo
inadatta a reggere il peso del loro intenso “lavoro ai fianchi”. Stiamo
infatti parlando della data del Congresso Pd. Il Congresso che, appunto,
sostengono i cosiddetti renziani, deve essere convocato il più in là
possibile, meglio se alla fine di novembre, ancora meglio se tra l’8 e
il 15 dicembre, diciamo sotto Natale. Un Congresso come si deve,
sostengono sempre i cosiddetti renziani, ha oggi bisogno di tempo e
spazio, diobonino: un «partito cool» non si mette in piedi dalla sera
alla mattina.
E poi mica c’è la sola data, che credete. Un dibattito ad alzo zero sta squassando sia Largo del Nazareno che via della Conciliazione in un tourbillon di assemblee e commissioni.
Se Congresso ha da farsi, con quali regole? E con quali tipologie di svolgimento? E con un segretario eletto solo come segretario oppure eletto anche come premier in pectore? E se Congresso ha da farsi, i congressi regionali hanno da farsi prima o dopo il Congresso che ha da farsi? E le primarie, che anche loro hanno da farsi, hanno da farsi “a gratis” oppure a pagamento? Ed è, dolorosamente, su questa domanda epocale dell’ultima ora che il dibattito si è interrotto, spezzato in una morsa crudele. E ciò perché proprio da questa prima domanda ne è discesa una seconda, anche più epocale e struggente: se le primarie che hanno da farsi sono a pagamento, devono pagare anche gli iscritti? O devono pagare solo gli sfigati non iscritti? E quelli che devono pagare, quanto devono pagare? 2 euro? oppure 3 euro? O è meglio fare i gran signori e non far pagare niente a nessuno?
Dilemmi scespiriani. Tanto più che nel frattempo, in mezzo a questa lacerante tempesta sia di cervelli che di idee, hanno preso a circolare anche firme e petizioni che chiedono di«buttar giù muri all’interno e aprire porte e finestre all’esterno», e tutto ciò per costruire alfine «un partito aperto».
Ci pioverà dentro?
E poi mica c’è la sola data, che credete. Un dibattito ad alzo zero sta squassando sia Largo del Nazareno che via della Conciliazione in un tourbillon di assemblee e commissioni.
Se Congresso ha da farsi, con quali regole? E con quali tipologie di svolgimento? E con un segretario eletto solo come segretario oppure eletto anche come premier in pectore? E se Congresso ha da farsi, i congressi regionali hanno da farsi prima o dopo il Congresso che ha da farsi? E le primarie, che anche loro hanno da farsi, hanno da farsi “a gratis” oppure a pagamento? Ed è, dolorosamente, su questa domanda epocale dell’ultima ora che il dibattito si è interrotto, spezzato in una morsa crudele. E ciò perché proprio da questa prima domanda ne è discesa una seconda, anche più epocale e struggente: se le primarie che hanno da farsi sono a pagamento, devono pagare anche gli iscritti? O devono pagare solo gli sfigati non iscritti? E quelli che devono pagare, quanto devono pagare? 2 euro? oppure 3 euro? O è meglio fare i gran signori e non far pagare niente a nessuno?
Dilemmi scespiriani. Tanto più che nel frattempo, in mezzo a questa lacerante tempesta sia di cervelli che di idee, hanno preso a circolare anche firme e petizioni che chiedono di«buttar giù muri all’interno e aprire porte e finestre all’esterno», e tutto ciò per costruire alfine «un partito aperto».
Ci pioverà dentro?
MARIA R. CALDERONI
da Liberazione.it
Nessun commento:
Posta un commento