Intervista ad Eleonora Artesio, consigliera del Prc nel Consiglio regionale del Piemonte. Le
regioni pretendono due miliardi dal governo altrimenti, sostengono, la
sanità pubblica naufragherà con parecchio clamore. Il governo, che si
appresta a mettere mano alla legge di stabilità, potrebbe sfruttare
l’occasione per cominciare un discorso più concreto sulla
privatizzazione. Intanto, Confindustria, che l’altro giorno ha avuto una
audizione in commissione alla Camera, spinge l’acceleratore sul
passaggio ai privati.
Sulla privatizzazione della sanità si sta per aprire una fase nuova?
La privatizzazione della sanità è strisciante da tempo. Su due versanti, uno riguarda il fatto che sono aumentati tutti i settori nei quali è prevista la compartecipazione economica degli utenti. Il caso più vistoso è quello delle malattie dell’invecchiamento, con il 50% di costo a carico. Sempre di più si profilano disegni di legge in cui si estende questo modello non calcolato sul reddito della persona ma sul reddito della famiglia. L’altro esempio è quello dei ticket, che investe direttamente le regioni. Ad oggi ci sono analisi e cure per le quali andare nel privato costa meno oggettivamente. In questo c’è buon gioco a dire che visto che un costo c’è perché non continuare a battere le il solco delle assistenze integrative? Tutto il tema fondi integrativi e assicurazioni collegate è strisciante. Una volta rotto il principio dell’assistenza pubblica però non si sa dove si andrà a finire. Alcuni servizi, per esempio, potrebbero diventare così tanto costosi da essere tolti o riservati solo per alcuni. Qui però siamo ancora nell’alveo delle persone che hanno una occupazione. Tutto il resto della popolazione non avrebbe nemmeno una minima possibilità di usufruirne.
La privatizzazione della sanità è strisciante da tempo. Su due versanti, uno riguarda il fatto che sono aumentati tutti i settori nei quali è prevista la compartecipazione economica degli utenti. Il caso più vistoso è quello delle malattie dell’invecchiamento, con il 50% di costo a carico. Sempre di più si profilano disegni di legge in cui si estende questo modello non calcolato sul reddito della persona ma sul reddito della famiglia. L’altro esempio è quello dei ticket, che investe direttamente le regioni. Ad oggi ci sono analisi e cure per le quali andare nel privato costa meno oggettivamente. In questo c’è buon gioco a dire che visto che un costo c’è perché non continuare a battere le il solco delle assistenze integrative? Tutto il tema fondi integrativi e assicurazioni collegate è strisciante. Una volta rotto il principio dell’assistenza pubblica però non si sa dove si andrà a finire. Alcuni servizi, per esempio, potrebbero diventare così tanto costosi da essere tolti o riservati solo per alcuni. Qui però siamo ancora nell’alveo delle persone che hanno una occupazione. Tutto il resto della popolazione non avrebbe nemmeno una minima possibilità di usufruirne.
E l’altro versante della privatizzazione?
L’altro versante riguarda tutta questione delle funzioni non sanitarie, dagli approviggionamenti, all’informatica, ai trasporti. Su questo si insinua molto bene tutto l’apparato di Confindustria. C’è una lettera della Marcegaglia del 2009 su questo e da allora non hanno mai mancato di ribattere sullo stesso punto. La difesa di queste funzioni del sistema sanitario nazionale non ha un grande appeal nell’opinione pubblica. Contrastare questo andazzo è molto più difficile. L’argomento del costo diverso delle siringhe a seconda delle regioni è quello che fa più presa. Intanto, però, in linea di massima il privato deve avere un margine di utilità che quindi non può non andare verso un discorso di forniture al ribasso. Non è detto che dallo spreco si ricava la redditività per l’impresa. Il pubblico quando gestisce le cure si rende conto della diversità dei servizi, per esempio, a cui il privato che agisce nei servizi collaterali non può attingere. Non si possono comprare cateteri a chili senza avere una visione delle specificità dei vari interventi. E poi ogni volta che la centrale degli acquisti si allontana dall’erogazione accade che dall’altra parte si crea un monopolio e quindi una difficoltà strutturale a trattare sui prezzi. E questo produce uno squilibrio tra dimensione globale e ricaduta locale.
L’altro versante riguarda tutta questione delle funzioni non sanitarie, dagli approviggionamenti, all’informatica, ai trasporti. Su questo si insinua molto bene tutto l’apparato di Confindustria. C’è una lettera della Marcegaglia del 2009 su questo e da allora non hanno mai mancato di ribattere sullo stesso punto. La difesa di queste funzioni del sistema sanitario nazionale non ha un grande appeal nell’opinione pubblica. Contrastare questo andazzo è molto più difficile. L’argomento del costo diverso delle siringhe a seconda delle regioni è quello che fa più presa. Intanto, però, in linea di massima il privato deve avere un margine di utilità che quindi non può non andare verso un discorso di forniture al ribasso. Non è detto che dallo spreco si ricava la redditività per l’impresa. Il pubblico quando gestisce le cure si rende conto della diversità dei servizi, per esempio, a cui il privato che agisce nei servizi collaterali non può attingere. Non si possono comprare cateteri a chili senza avere una visione delle specificità dei vari interventi. E poi ogni volta che la centrale degli acquisti si allontana dall’erogazione accade che dall’altra parte si crea un monopolio e quindi una difficoltà strutturale a trattare sui prezzi. E questo produce uno squilibrio tra dimensione globale e ricaduta locale.
L’allarme lanciato dalle Regioni è credibile?
Secondo me le regioni sono al punto di rottura. Anche quelle che non sono state messe nel piano di rientro come Veneto e Toscana a fronte della mancata copertura ticket da parte dello Stato rischiano di violare l’altro vincolo del patto di stabilità che dice che non puoi mettere risorse più del 5% del fondo complessivo. E quindi sono tutte sul livello di esplodere. E il problema sarà politico perché i governatori sono o del Pd o del Pdl e quindi dei due partiti che reggono l’esecutivo nazionale.
Secondo me le regioni sono al punto di rottura. Anche quelle che non sono state messe nel piano di rientro come Veneto e Toscana a fronte della mancata copertura ticket da parte dello Stato rischiano di violare l’altro vincolo del patto di stabilità che dice che non puoi mettere risorse più del 5% del fondo complessivo. E quindi sono tutte sul livello di esplodere. E il problema sarà politico perché i governatori sono o del Pd o del Pdl e quindi dei due partiti che reggono l’esecutivo nazionale.
La reazione dei cittadini?
Purtroppo la sanità è un tema che riguarda tutti ma sulla quale c’è stata meno partecipazione che in altri settori del welfare. C’è alla base, per esempio, un atteggiamento di delega da una parte verso il medico e, dall’altra, verso la politica. Le risposte sul piano politico tendono a una ricentralizzazione e verso il leghismo. Resta il tema delle alleanze con i professionisti e questo è un terreno delicatissimo. Lo Stato ha bloccato il turn over e quindi mancano una o due generazioni senza prospettive di ingresso. I professionisti non sono riformatori e molti vedono una gestione centralizzata. Detto questo, qui in Piemonte sul piano di rientro medici e cittadini, persino con le piccole imprese, fanno battaglia comune, ma non è detto che sia dappertutto così
Purtroppo la sanità è un tema che riguarda tutti ma sulla quale c’è stata meno partecipazione che in altri settori del welfare. C’è alla base, per esempio, un atteggiamento di delega da una parte verso il medico e, dall’altra, verso la politica. Le risposte sul piano politico tendono a una ricentralizzazione e verso il leghismo. Resta il tema delle alleanze con i professionisti e questo è un terreno delicatissimo. Lo Stato ha bloccato il turn over e quindi mancano una o due generazioni senza prospettive di ingresso. I professionisti non sono riformatori e molti vedono una gestione centralizzata. Detto questo, qui in Piemonte sul piano di rientro medici e cittadini, persino con le piccole imprese, fanno battaglia comune, ma non è detto che sia dappertutto così
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