I media lanciano allarmi sul ritorno degli
spaccavetrine, il Prefetto di Roma si preoccupa di rinviare la partita
per poter disporre di maggiori forze di dissuasione e nell’aria si
diffonde la preoccupazione di una calata di lanzichenecchi nella
capitale in occasione delle giornate del 18 e del 19 ottobre. Noi
vorremmo provare a chiarire, per chi lo vuol intendere, il senso delle
giornate di mobilitazione a Roma che si stanno preparando in decine di
città italiane.
C’è innanzitutto da sottolineare l’inedita
connessione tra uno sciopero generale indetto dall’intero quadro
unitario del sindacalismo di base per la giornata del 18 e la
manifestazione per la casa e il reddito del giorno dopo. Una relazione
non casuale ma voluta e costruita a partire da un punto focale di
connessione tra le due manifestazioni: la lotta comune alle sempre più
pesanti diseguaglianze sociali che si sono prodotte nel nostro paese e
quindi per una radicale redistribuzione delle ricchezze. Il cuore della
connessione è il salario, nella sua doppia configurazione di salario
diretto cioè la busta paga, e salario indiretto, ovvero quell’insieme di
servizi e condizioni generali che garantiscono la vita di ogni
cittadino/lavoratore, di cui la questione abitativa è oggi un aspetto
centrale.
Il primo versante della questione salariale è quello
più tipicamente sindacale perché attiene all’insieme delle condizioni di
lavoro. È il tema della precarietà, oggi sancita in modo tassativo come
condizione normale di lavoro attraverso la massiccia estensione
dell’uso del tempo determinato (anche grazie alle vergognose
“sperimentazioni” dell’Expo di Milano). È il tema dei salari ben sotto i
mille euro o dei milioni di pensionati al minimo. È il tema del non
rinnovo dei contratti. È il tema del finanziamento della cassa
integrazione. Ed è il tema tornato di grandissima attualità del rilancio
di un piano straordinario per l’occupazione, che deve essere gestito
secondo noi dalla mano pubblica e finalizzato ad opere di interesse
sociale.
Il secondo versante della questione salariale è
invece quello del salario indiretto, e attiene al modo in cui si stanno
riconfigurando il sistema dei servizi, la vita urbana ed il rapporto con
l’ambiente. E in questo secondo versante il tema degli alloggi è oggi
una grande priorità in Italia. Siamo da tempo il fanalino di coda in
Europa per quantità di alloggi popolari sull’insieme del patrimonio
immobiliare nazionale (il 4% in Italia rispetto al 40% della Francia, il
47% dell’Olanda, il 57% della Germania) mentre siamo tra i primi per
rialzo degli affitti e quantità degli sfratti, in gran parte per
morosità. La casa costituisce oggi, insieme al taglio ed alla
privatizzazione dei servizi, una forma di sottrazione di reddito a
milioni di famiglie. L’altra faccia dell’impoverimento diffuso di
settori popolari e di larghe fette di ceto medio.
Le due facce della questione salariale, messe insieme
in due manifestazioni contigue e sorelle, esprimono la condizione reale
di milioni di lavoratori. Ad esse si risponde in una forma
completamente diversa rispetto a quella che sta realizzando il governo
Letta. Occorre rompere con la spirale dell’austerity, la depressione dei
consumi e la conseguente deindustrializzazione del paese ed aprire una
grande vertenza nazionale sul salario ed il reddito. Al centro c’è la
necessità di una inversione di rotta della politica economica ed una
rottura dei vincoli con l’Europa.
Attorno a questa grande questione sociale si stanno
saldando anche le tante vertenze locali che in questi anni sono
cresciute intorno alla difesa del suolo e dell’ambiente ed in favore del
diritto delle popolazioni a poter decidere del proprio ambiente di
vita. A cominciare dalla emblematica battaglia dei valsusini che è ormai
diventata una grande vertenza in difesa del territorio e per la
democrazia. Questa saldatura non è il frutto della semplice necessità di
unire le forze ma il prodotto di una idea comune di società e di come
affrontare la crisi.
La messa in sicurezza del territorio, il
rimboschimento, la tutela de mare, lo sviluppo della filiera
agroalimentare a km zero, la ristrutturazione del patrimonio edilizio
scolastico, l’utilizzo di quello abitativo sfitto o abbandonato,
l’esaltazione del nostro inestimabile patrimonio artistico, il rilancio
della ricerca pubblica, del trasporto pubblico, della sanità pubblica
sono alcuni dei terreni fondamentali sui quali rimettere in moto
l’economia del paese. Ma a farlo devono essere non gli appetiti
speculativi privati che in questi anni hanno devastato il territorio, si
sono impossessati di settori strategici dell’economia ed hanno lucrato
sui bisogni vitali della popolazione. Non un piano di grandi opere
dannose o di grandi eventi che succhiano risorse locali, promuovono solo
lavoro precario e lasciano in eredità edifici ed impianti abbandonati
al degrado.
Le mobilitazioni di ottobre costituiscono la
riproposizione di una grande ed urgente questione sociale ma sono anche
piene di risposte, elaborate dal basso, di come affrontarla e
risolverla. Ad esse finora si sta rispondendo in modo autistico. Si
finge di non sapere che esse sono portatrici di contenuti e
rivendicazioni precise e le si descrive come un pericolo. Un modo
classico, che sa di regime, per evitare di affrontare i problemi.
Queste mobilitazioni pongono pertanto anche un altro
grande tema, forse ancora più serio dei precedenti e ad essi
strettamente collegato, quello della democrazia.
Democrazia sui posti di lavoro, violentemente negata
dal recente accordo tra sindacati concertativi e Confindustria per
assicurarsi il monopolio della rappresentanza ed impedire ai lavoratori
di scioperare ed esprimere il loro dissenso. Democrazia nella gestione
delle città e del territorio, dove ai cittadini viene sistematicamente
impedito di esercitare il proprio sacrosanto diritto a decidere sul
destino della propria terra e l’uso e la distribuzione delle risorse.
Democrazia in un paese che ha perduto la propria sovranità ed è
costretto ad ingoiare i diktat di un’Europa dove a decidere sono i
vertici delle banche e la cancelleria tedesca.
Questione salariale, questione sociale e democrazia:
ecco la piattaforma generale delle mobilitazioni di ottobre. C’è in
questa piattaforma la difesa della Costituzione?, qualcuno ci chiede.
C’è se per Costituzione intendiamo i principi mai attuati che sono
l’ossatura ideale della carta del ’47. Molto meno se pensiamo alle
recenti modifiche che ne hanno snaturato buona parte dell’ispirazione
originaria.
E c’è infine un obiettivo politico a fare da cornice
alle giornate di ottobre. Costruire una vasto e articolato fronte di
lotta che sappia far crescere un tessuto organizzato e duraturo. La
lotta che abbiamo di fronte è lunga e difficile, impensabile affrontarla
in ordine sparso. Coordinare gli sforzi per far crescere un grande
movimento radicale e indipendente, diffuso nei posti di lavoro, nelle
scuole, nelle città è il nostro progetto: il 18 e il 19 ottobre possono
rappresentare le date d’inizio di questa sfida.
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