Li
capisco i piddini alla giunta del Senato, alle prese con il problema
Berlusconi: ipnotizzati dalla finezza giuridica dell’ex picchiatore
Augello, bombardati dai messaggi di Napolitano sulla necessità di
salvare il governo che magari non ha fatto nulla, ma con valoroso
sprezzo della realtà annuncia da due mesi la ripresa, timorosi di
possibili elezioni, sedotti per natura dai taciti connubi, è difficile
andare dritti per la propria strada.
Ancora più difficile quando si rendono conto che quella strada corre
parallela al viale privato di paron Silvio: la signora Boldrini si
inalbera quando i parlamentari cinquestelle dicono che il Pd è peggio
del Pdl nell’assalto alla Costituzione, la considera un’offesa, ma
mettiamoci nei panni di queste persone quando immaginano con paura e
angoscia un’Italia senza Berlusconi. Cosa diranno al loro elettorato?
Come potranno convincerlo a votare per le stesse cose del Cavaliere
senza sventolare il pericolo del Cavaliere?
Si li capisco: senza Berlusconi occorrerebbe tornare a far politica,
un mestiere dimenticato da tempo, anzi in qualche modo rinnegato visto
che hanno svenduto all’Europa e alla finanza molti attrezzi del
mestiere, ovvero gli strumenti di governo del bilancio. Quindi alla fine
conviene davvero liberarsi di lui? Conviene dedicarsi alla costruzione
di nuove prospettive, ritornare nella soffitta dove giacciono i reperti
via via abbandonati, conviene battersi per qualcosa e non solo contro
qualcuno? Senza Berlusconi che senso ha il Pd, nato proprio per essere
il maggior avversario del “principale esponente a lui avverso”? Ed è
chiaro che assieme al Pd prenderebbero il volo anche molte poltrone.
Prudenza dunque, somma prudenza almeno fino a che non si sia
concretizzato un nuovo, luminoso futuro democristiano di marca letto
-renziana in grado di riportare la politica sui ventennali binari del
leaderismo “moderno” e inconsistente. Tanto più che da Arcore giunge una
muta e straziante supplica “Gridando, rubando/ che male ti fò?.
Cogitiamo, pensiamo, leggiamo le carte, prendiamo tempo per una
decisione così complicata, perché è evidente che non si tratta di
decidere sul Cavaliere, ma su di noi.
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