Presidi e cortei in tutti e sette gli stabilimenti del gruppo Riva Acciaio. Riparte con forza la mobilitazione dei lavoratori dopo la chiusura degli impianti, decisa dal vertice dell’azienda siderurgica. Una decisione motivata dalla famiglia Riva con il sequestro da 916 milioni di euro effettuato nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza di Taranto, nella vicenda Ilva. E che ha provocato la sospensione di circa 1400 addetti.
I presidi di fronte alle aziende “si trasformeranno in cortei in tutte le città interessate a partire dalle 9.30 di oggi”. I lavoratori di tutti i siti industriali del gruppo sono mobilitati: da Verona a Caronno Pertusella (Varese), da Lesegno (Cuneo), a Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e ad Annone Brianza (Lecco). A Verona, dove è localizzata l’azienda più grande del gruppo, 500 persone stanno sfilando per le vie della città al grido “Commissario, commissario”. I manifestanti si sono diretti al municipio per incontrare il sindaco Flavio Tosi.
Un appello al governo arriva anche da Fulvio Conti, vicepresidente di Confindustria. L’associazione degli industriali chiede al governo di fare tutto il possibile per “preservare l’industria siderurgica, l’industria dell’acciaio in italia”. L’acciaio, sottolinea Conti, “è un’industria di base, essenziale e fondamentale per l’economia nazionale. L’italia è il secondo produttore di acciaio in Europa, non possiamo perdere anche questo primato, abbiamo bisogno di mantenere questa grande risorsa industriale”. Parole condivisibili, ovviamente, ma del tutto prive di indicazioni concrete circa il modo con cui superare l’impasse.
Tra le ipotesi su cui starebbe lavorando l’esecutivo, con irresponsabile ritardo, fra una smentita e un ripensamento, oltre alla cassa integrazione per i dipendenti, ci sarebbe anche quella del commissariamento, misura che consentirebbe il ripristino delle attività produttive senza ricorrere alla cassa integrazione. Cosa per altro del tutto possibile, come ha dimostrato lo stesso tribunale di Taranto smontando la vergognosa strumentalizzazione del managemet di Riva che ha motivato la chiusura degli impianti con il sequestro dei beni aziendali.
E’ questa, secondo Maurizio Landini, la scelta da compiere immediatamente: “Serve che il governo sia in grado, in prima persona, di consentire la prosecuzione dell’attività. I Riva non sono in grado di dare un futuro – ha detto il segretario della Fiom – per cui nell’immediato serve il commissariamento, ma in prospettiva si può ragionare su un intervento diretto, anche transitorio, dello Stato, per favorire un nuovo assetto proprietario dell’Ilva”.
Il segretario della Fiom allude alla requisizione del grande impianto siderurgico, ipotesi subito scartata da Zanonato con una motivazione francamente risibile, quella in base alla quale l’esproprio dei Riva comporterebbe un indennizzo economico insostenibile degli attuali proprietari. Ora, è vero che la Costituzione prevede che ciò avvenga quando lo Stato ricorra ad una simile decisione, ma è non meno vero che i danni umani e ambientali di cui i Riva si sono resi responsabili dovrebbero comportare – essi sì – un cospicuo risarcimento della collettività. E il saldo non sarebbe certo a svantaggio dei lavoratori, dei cittadini di Taranto e del Paese.
La verità è che il ministro, il governo di cui fa parte, lo stesso Pd, non possono oltrepassare le Colonne d’Ercole ideologiche, il recinto culturale che rende blasfema qualsiasi ipotesi di intervento della politica nei rapporti di proprietà. Anche quando l’interesse sociale (“La libertà, la sicurezza, la dignità umana”) sia così apertamente calpestato.
Oggi il ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato incontra il presidente dell’Ilva, Ferrante. Fatica sprecata.
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