Alzi la mano chi si appassiona al dibattito interno del Partito Democratico; chi ha capito se l’8 dicembre si terrà davvero il mitico Congresso, poi, dopo il pasticcio dell’altro ieri in Assemblea nazionale, le alzi tutte e due. Ma sbagliamo noi: dopotutto, è l’ultimo partito politico italiano, alla faccia della riesumata Forza Italia o del Movimento Cinque Stelle, altrettante appendici dei loro leader.
Un partito centrista e diviso in correnti come la vecchia Dc, e come se non bastasse ormai privo di qualsiasi motivazione ideale che non sia la gestione del potere. Eppure la politica italiana passa di lì: insieme con la nostra speranza di tornare a essere un paese normale.
Dunque, è inutile porsi problemi sul senso del pasticcio di venerdì, o formulare previsioni su cosa deciderà la Direzione di venerdì prossimo, alla quale l’Assemblea nazionale ha rinviato le decisioni. Accontentiamoci di una spiegazione più semplice. Gli apparati del partito si sono convinti che, quando si tornerà a votare, il Pd vincerà per mancanza di avversari oppure li asfalterà, come s’è lasciato sfuggire Matteo Renzi: sicché si tratta di muoversi in anticipo per assicurarsi una poltrona in prima fila. Chi comanderà nel partito governerà il paese: di qui tutto il tira-e-molla sul segretario del partito che deve anche essere il candidato premier, oppure no.
Il fatto è che all’interno del Pd, oggi, ci sono solo due leader possibili: Renzi o Letta, e nessun’altro. Nella democrazia del pubblico, la forma della politica odierna, è leader non chi detta la linea, o vede più lontano degli altri, ma chi dice la cosa giusta al momento giusto: e su quello i competitor, i due nuovi cavalli di razza, come ai tempi di Moro e Fanfani, sono due e solo due. Tutto questo bailamme incomprensibile ai più nasconde solo la loro competizione per il potere, del resto legittima, e spiega sia la guerriglia sulle regole sia le rispettive prese di posizione pubbliche.
Prendete le dichiarazioni del premier – lo sforamento del rapporto deficit-Pil al 3,1 per cento si dovrebbe all’instabilità politica, ossia a chi tenta di fargli le scarpe – e la risposta del sindaco di Firenze, che potrebbe tradursi così: avete voluto il governo delle larghe intese, andando a rimorchio di Berlusconi pure sulla politica finanziaria? Bene, allora non lamentatevi se le finanze vanno a ramengo e il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni, ancora ieri, minaccia le proprie dimissioni. Detto fra noi, Renzi ha perfettamente ragione, ma non è questo il punto: il punto vero è che lui vuole arrivare alle elezioni prima possibile, mentre Letta difende non solo il suo governo, ma anche la sua leadership futura.
Insomma: per sapere cosa deciderà la Direzione del Pd di venerdì prossimo cercatevi pure una fattucchiera, ma sul senso di quello che deciderà ci sono pochi dubbi. Se fanno il Congresso a dicembre, si potrà votare in primavera e il favorito diventa Renzi; se le cose vanno più per le lunghe, invece, il favorito diventa Letta.
Mauro Barberis – da il Secolo XIX
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