Qualcuno ha
invocato un processo di Norimberga per i capitalisti italiani e forse
non ha tutti i torti. Altri continuano a puntare l'artiglieria solo
sulla casta politica e colgono solo parzialmente il problema. Ma la
svendita a multinazionali straniere di aziende nei servizi strategici
come Telecom e Alitalia chiede indubbiamente vendetta. Una vendetta
della e nella storia e uno scatto di rabbia e dignità nel presente.
Le vicende parallele
della Telecom e dell'Alitalia, ma anche quella dell'Ilva o delle
Acciaierie Terni, sono un atto di accusa chiaro e forte contro le
privatizzazioni realizzate in Italia dal 1992 in poi dai governi di
centro-sinistra (Prodi, D'Alema) e di centro-destra (Berlusconi), con un
incremento di responsabilità dei primi rispetto al secondo. Questo
piano di smantellamento dei servizi strategici e delle industrie in nome
degli interessi privati si è infatti confermato come un disastro
economico e una vergogna politica. Anche un economista moderato come
Mario Deaglio (consorte della Fornero), scrive oggi che
telecomunicazioni e trasporti sono beni collettivi che non possono
essere gestiti solo da azionisti privati.
La svendita di Telecom e
Alitalia consegna allora alla condanna del tribunale della storia (e
magari anche a quelli veri) sia i “prenditori” come Colaninno
(protagonista-capofila in entrambe le operazioni, con un figlio
diventato ormai "responsabile economico" del Pd), Tronchetti Provera,
Riva etc sia il ceto politico trasversale – dal Pd al PdL – che hanno
consentito l'appropriazione privata di beni collettivi come sono le reti
delle telecomunicazioni, dell'energia, dei trasporti o la produzione di
materiali fondamentali per lo sviluppo e l'economia del paese (acciaio,
chimica etc.)
Dal 1992 i governi che si
sono succeduti (in successione Amato, Ciampi, Dini, Prodi, D'Alema,
Berlusconi) hanno dato vita alla più massiccia operazione di
privatizzazioni di tutta Europa. Facendosi schermo dei vincoli del
Trattato di Maastricht hanno privatizzato aziende strategiche e banche,
industrie di qualità e servizi, consegnando nelle mani di “prenditori”
privati e finanzieri senza scrupoli il patrimonio economico e
industriale del paese.
Spesso glieli hanno svenduti consentendo
acquisizioni senza capitali (come nel caso di Colaninno sulla Telecom),
scaricando i debiti fatti per comprare le aziende sui bilanci delle
stesse aziende acquisite. Oppure dando carta bianca per anni alle
produzioni nocive come nel caso dell'Ilva acquisita dalla famiglia Riva.
Le aziende di servizi
strategici – dopo essere state spolpate e smembrate - sono state
svendute alle multinazionali straniere perchè i “capitani coraggiosi”
celebrati da D'Alema, si sono rivelati più dei “prenditori” che dei
“capitalisti”. Dentro il processo di gerarchizzazione e concentrazione a
livello europeo, questi prenditori non potevano fare altro che
svendersi con profitto il tesoretto che i governi hanno loro regalato
con le privatizzazioni. Dei banditi dunque.
La spagnola Telefonica ha
dovuto sborsare solo 300 milioni di euro per prendere possesso di una
società – la Telecom – che ha un valore di 7,7 miliardi di euro. Air
France-Klm con soli 150 milioni di euro prenderà possesso di una società
– l'Alitalia – per la quale cinque anni fa aveva offerto ben 4
miliardi. Come è possibile non definire tutto questo una svendita? Come
non vedere il fallimento – voluto – dentro una strategia di
impoverimento del paese?
In secondo luogo non è
possibile accettare atteggiamenti da “finti tonti” da parte della
politica che oggi strepita contro la svendita di Telecom e Alitalia. E'
vergognoso - ad esempio - che il premier Letta dichiari il falso sul
fatto che il governo nulla può fare sulla svendita della Telecom alla
multinazionale spagnola Telefonica, perchè ormai sarebbe una azienda
privata. Letta sa benissimo – o dovrebbe sapere come sottolinea oggi
Massimo Mucchetti – che nello statuto della Telecom è ancora prevista la
golden share da parte dello Stato, proprio perchè le telecomunicazioni
sono un settore strategico e sensibile degli interessi nazionali di un
paese, anche sul piano della “sicurezza nazionale” che in altri casi –
vedi la Tav – sempre presente nella retorica di regime.
Ma il Presidente del
Consiglio Letta, tra le righe, ci ha mandato a dire anche un'altra cosa,
vera ma grave. Non ci sarebbe infatti da preoccuparsi perchè la Telecom
resterà comunque nelle mani di una azienda europea. Ed ha lasciato
intendere che la medesima sorte nel caso Alitalia non deve destare
preoccupazioni. Letta lo ha affermato nel contesto del suo viaggio negli
Stati Uniti dove sta promuovendo proprio la svendita del patrimonio
industriale, immobiliare, culturale dell'Italia agli investitori
stranieri, a cominciare dalla Finmeccanica. Cabrones dunque.
Nelle cose dette e non
dette da Letta c'è la realtà con cui stiamo facendo i conti nell'Unione
Europea, dove è in corso un violentissimo processo di concentrazione di
tutti i settori economici, finanziari e produttivi in pochi grandi
gruppi capitalisti, siano esse multinazionali o banche. Ciò significa
che molte delle aziende devono essere chiuse, assimilate, smembrate e
rese funzionali alla gerarchia di azionisti “europei” che stanno dando
vita a grandi monopoli dominanti.
E' facile e drammatico
immaginare le ripercussioni di questo processo di concentrazione in
poche mani di tutto il patrimonio industriale e dei beni collettivi del
nostro paese. Già con le privatizzazioni degli anni '90 i posti di
lavoro nei servizi strategici e nelle grandi industrie sono diventati la
metà, in alcuni casi sono del tutto scomparsi. Con il nuovo processo di
smembramento e concentrazione è facile prevedere che nei paesi
periferici dell'Unione Europea (come li ha recentemente definiti il Fmi
inserendovi anche l'Italia), le esigenze dei lavoratori e della società
saranno rese completamente subalterne alle priorità degli azionisti
privati che si apprestano a fare man bassa, a prezzi stracciati ,di
tutto il patrimonio di ogni singolo paese della categoria Pigs. In
pratica si sta facendo, anche dell'Italia, il “Meridione d'Europa” così
come avvenne nell'Ottocento per il Sud del nostro paese rispetto alla
centralizzazione “piemontese”.
E' un meccanismo che va
spezzato proprio perchè ha dimostrato – anche con le vicende Telecom,
Alitalia, Ilva, Mps – che è un meccanismo distruttivo e antisociale. Per
questi motivi porre con forza la questione della nazionalizzazione
delle aziende strategiche e delle banche specularmente alla disdetta dei
Trattati Europei sono i perni credibili di una campagna che può essere
condotta con successo nel nostro paese e negli altri paesi europei
devastati dai diktat della Trojka e dai dogmi liberisti.
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