Sia il Labour che i conservatori di David Cameron avanzano proposte per ripristinare la quota di finanziamento pubblico. E il motivo è paradossalmente lo stesso di chi vuole il contrario: dopo i molti scandali su lobby e gruppi di pressione tutti chiedono più trasparenza
Meno soldi dai privati, più soldi dallo Stato. Mentre in molti Paesi europei, Italia compresa, viene messo in discussione il finanziamento pubblico ai partiti, nel Regno Unito c’è chi pensa di tornare al passato e di “liberare dal peso del denaro le formazioni politiche”. Così il Labour, nel suo manifesto in vista delle elezioni politiche del 2015 che verrà pubblicato entro qualche mese, proporrà di porre un limite di 5mila sterline
alle donazioni private e, contemporaneamente, di aumentare la quota di
sovvenzioni provenienti dallo Stato, nel caso in cui dovesse andare al
governo. E, nel caso dovesse avvenire, sarebbe anche una rivoluzione sul
fronte delle relazioni fra partiti nel Regno Unito. Finora, infatti, è
sempre stata consuetudine che tutte le decisioni sul finanziamento
venissero prese di concerto fra le tre principali formazioni, laburisti, conservatori e liberaldemocratici, queste ultime due attualmente al governo nella coalizione guidata da David Cameron. Ma il Labour, ora, vuole andare avanti in solitudine.
In
questo, il partito è spinto anche dalle pressioni provenienti proprio
da Cameron che ha promesso una legge “sulle lobby” che spezzi il legame
fra sindacati e laburisti, costringendo le potenti union a dare
libertà di scelta ai propri iscritti. L’affiliazione dei sindacati al
principale partito di opposizione, così, non potrà essere automatica, ma
ogni membro dovrà dare il suo consenso e potrà e dovrà decidere se
versare o no una quota mensile al Labour. Parlando al congresso dei
sindacati confederali di pochi giorni fa, il leader laburista Ed Miliband
ha detto di avere “lo stesso progetto. Ma le sigle sindacali non
possono essere forzate da una legge, non serve una nuova norma per
decidere questo nuovo rapporto fra sindacati e Labour”. Cameron insomma
vorrebbe imporre un nuovo tipo di relazione. Miliband dice: “No grazie,
decidiamo noi per noi stessi”.
Ma, al di
là del rapporto fra sindacati e partiti, è proprio la questione del
finanziamento pubblico alle formazioni politiche a entrare, dalla porta
di servizio, nella scena britannica. Il Committee on standards of public life,
un ente con capacità di proposta sulle questioni politiche e di
cittadinanza, ha infatti suggerito una soluzione all’eventuale crisi di
fondi dovuta a un limite alle donazioni private. “Si diano 23 milioni di
sterline all’anno a ogni partito principale”, ha detto il comitato,
perché anche il partito conservatore, ora, spinto dalle discussioni del
momento, ha proposto un limite ai “regali” provenienti da cittadini,
imprese e lobby in generale. Un limite più alto, di 50mila sterline,
ma che fa capire come, in realtà, non siano infrequenti donazioni di
molto superiori, soprattutto da parte dei gruppi di pressione. Una
realtà vissuta sempre più con imbarazzo dai partiti britannici, finiti
più volte nell’occhio del ciclone per scandali legati ai pesanti
condizionamenti da parte di aziende, associazioni professionali, think tank
ultraliberisti o, appunto, sindacati. La soluzione quindi pare essere
stata trovata: spezzare il legame con il portafoglio dei privati e
rivolgersi, di nuovo, allo Stato. Un tema che quasi sicuramente sarà al
centro delle discussioni da qui alle prossime elezioni.
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