L’Expo
si farà, non c’è alcun dubbio. O meglio, quasi tutti faranno di tutto
perché si faccia, comunque. Troppi si sono esposti, troppe risorse sono
state mobilitate e troppe promesse sono state fatte nel suo nome. E
quindi, non c’è scandalo attuale o futuro che tenga, indietro non si può
tornare. Ma tutto il resto, cioè cosa sarà esattamente Expo e,
soprattutto, cosa ci lascerà in eredità, è un problema più che mai
aperto. Anzi, è il problema.
Ma iniziamo da quello che Expo sicuramente non sarà. Cioè, non sarà
quella cosa presentata a suo tempo al Bie e ostentata da Formigoni,
Moratti e Penati nella grottesca Victory Parade del 2008. Il progetto
originario è stato ripetutamente tagliato, ridotto e modificato. Vi
ricordate, tanto per fare degli esempi, delle vie d’acqua navigabili,
della linea metropolitana M6 o dell’orto planetario? Ebbene, oggi non
solo tante cose non ci sono più, ma anche molte delle opere connesse
sopravvissute non saranno pronte per l’evento.
Colpa della crisi, dirà qualcuno. Certo, la crisi ha peggiorato la
situazione, ma il percorso era viziato sin dall’inizio. Infatti, una
cosa era il progetto presentato per farsi assegnare l’Expo, ma ben altra
faccenda era la realtà fatta di prepotenti appetiti immobiliari e
speculativi, di cui lo scontro istituzionale tra l’allora Sindaco di
Milano, Letizia Moratti, e l’allora Presidente regionale, Roberto
Formigoni, ambedue di centrodestra, era un fedele riflesso. Eravamo solo
nel 2009, ma già allora un preoccupato Corriere della Sera titolava
Expo, l’occasione (quasi) perduta.
Oggi e qui, quando manca soltanto un anno all’evento, Expo si
presenta come un grande pasticcio. Un pasticcio pesantemente contaminato
dal malaffare e dalle infiltrazioni malavitose. E non si tratta di
quisquilie che si possano liquidare con un’alzata di spalle. Quando il
Prefetto di Milano parla di 34 imprese allontanate dal 2009 ad oggi
(appalti M5, Teem, Pedemontana, sito Expo) e scrive alla Commissione
parlamentare antimafia che c’è “una tendenza che si sta delineando e
sempre più consolidando di una penetrazione nei lavori Expo di imprese
contigue, se non organiche alla criminalità organizzata”, allora la
soglia di allarme è già oltrepassata.
E poi c’è l’affaire Infrastrutture Lombarde (Ilspa) e la
decapitazione del suo vertice ad opera della Procura di Milano, che sta
destabilizzando fortemente Expo e gettando ulteriori pesanti ombre sulla
gestione dell’evento. E non potrebbe essere diversamente, considerato
il ruolo della società nella gestione degli appalti e il fatto che Ilspa
è controllata al 100% da Regione Lombardia. E solo un ingenuo può
pensare che sia finita qui, perché l’inchiesta è destinata ad
allargarsi. Tanto per fare un esempio, in un’informativa della Guarda di
Finanza il comportamento del Commissario Unico di Expo, Giuseppe Sala,
viene definito “né irreprensibile, né lineare”.
Ma tutto questo marciume era davvero imprevedibile e inevitabile?
Certo, viviamo nel mondo in cui viviamo e nessuno ha la bacchetta
magica, ma è altrettanto vero che buona parte del marcio di oggi è il
frutto delle condizioni e dell’ambiente in cui il progetto Expo era
nato. Oggi a Milano abbiamo per fortuna un Prefetto attento alla lotta
contro le mafie, ma vi ricordate che ancora nel gennaio 2010 l’allora
Prefetto -e attuale Presidente dell’Aler Milano- Gian Valerio Lombardi
dichiarò che dalle nostre parti la mafia non esisteva?
Oppure avete presente il sistema politico-affaristico formigoniano
che condizionò sin dall’inizio i progetti legati a Expo e di cui
Infrastrutture Lombarde e il suo management sono diretta espressione?
Anzi, Ilspa è una di quelle società del cosiddetto Sistema Regionale
(SiReg), collocate dalla gestione Formigoni fuori dal perimetro stretto
dell’amministrazione regionale proprio per sottrarle ai meccanismi
ordinari di controllo istituzionale e per metterle alle dirette ed
esclusive dipendenze della Presidenza lombarda. Ebbene, Formigoni non
c’è più e la magistratura sta smantellando pezzo per pezzo il sistema di
potere ciellino, ma il vero problema è che l’attuale Presidente,
Roberto Maroni, non ha mai rotto veramente con quel sistema e non ha mai
prodotto discontinuità. E il fatto che Rognoni sia stato messo
fuorigioco dalla Procura e non dal presidente leghista sta lì a
ricordarcelo.
Nonostante tutto ciò molti milanesi e lombardi continuano a guardare
con favore al mega evento, nella speranza che possa rappresentare almeno
una boccata d’ossigeno economica. E come biasimarli, con i tempi che
corrono. Certo, qualcosa arriverà di sicuro e comunque: un po’ di
turismo, un po’ di denaro fresco e qualche posto di lavoro (precario) in
più. Ma difficilmente Expo potrà essere quel volano economico
universale invocato a ogni piè sospinto da Presidenti, Sindaci e
Ministri, come se un grande evento potesse sostituire un progetto di
sviluppo che non c’è. Anzi, la veemenza delle invocazioni è direttamente
proporzionale al vuoto di visione politica e di strategie economiche.
E quindi come meravigliarsi che in tutta la vicenda Expo il tema del
lavoro e del reddito sia stato ridotto a una triste rincorsa al dumping
sociale. Altro che Jobs Act, qui siamo oltre e si vuole derogare persino
al contratto precario “normale”. Lavoro volontario, stagista a 516 euro
al mese, apprendista di Operatore di Grande Evento eccetera, sono tutte
forme contrattuali inventate ad hoc da un accordo sottoscritto l’anno
scorso da Expo 2015 S.p.A. e sindacati confederali milanesi.
E come se non bastasse, ora Maroni vorrebbe allargare il modello a
tutta la Lombardia e a tutte le categorie, addirittura peggiorandolo
ulteriormente. Ma quello che fa davvero specie in tutta questa vicenda è
che anche a livello lombardo sembra esserci la piena disponibilità di
Cgil, Cisl e Uil (vedi L’Expo della precarietà). Insomma, da una parte
si spara a zero sui contratti precari di Renzi, ma dall’altra in
Lombardia si trattano cose anche peggiori. Per intenderci,
all’apprendistato in somministrazione neanche Renzi ci era ancora
arrivato…
Infine, Expo è un’altra cosa ancora. È un campo di battaglia e la
posta in gioco è la poltrona di Sindaco di Milano. Insomma, la campagna
elettorale in vista delle elezioni comunali del 2016 è ufficialmente
iniziata e basta guardare ai protagonisti istituzionali che si fanno
sentire di più per capirlo, da Maurizio Lupi, Ministro delle
Infrastrutture e ciellino, a Roberto Maroni, Presidente regionale e
leghista. Le destre non hanno mai digerito di aver perso Milano e la
vogliono riprendere.
E Giuliano Pisapia? Quella primavera del 2011 che pose fine a 20 anni
di dominio delle destre a Milano è oggi lontanissima. Troppe
aspettative non hanno trovato risposte, troppe delusioni. Non siamo
ancora al terreno fertile per la rivincita delle destre, ma gli
scricchiolii vanno ascoltati per tempo. E da questo punto di vista la
vicenda della via d’acqua è illuminante.
L’elezione di Pisapia era espressione di una discontinuità, di una
rottura netta con l’esperienza amministrativa precedente e pertanto al
Sindaco non può essere attribuita alcuna responsabilità nella genesi
della vicenda Expo. Eppure, l’amministrazione Pisapia aveva scelto nel
2011 di starci, di tentare di gestire un evento già disegnato e
pesantemente ipotecato dai suoi vizi originari. La realtà ha dimostrato
che quei vizi sono più forti di tanto ottimismo.
Oggi forse sarebbe necessario praticare nuovamente un po’ di
discontinuità, per quello che è ancora possibile, ovviamente. Ma ciò che
si può fare va fatto, perché sarebbe davvero curioso che alla fin della
fiera uscissero vittoriosi i responsabili politici del disastro.
Questo è Expo oggi. Cosa sarà domani dipende da molti fattori.
Dall’evoluzione delle inchieste, dalle scelte dei vari livelli
istituzionali, dalla crisi e così via. Ma dipende anche da che cosa farà
o non farà e da quanto riuscirà ad essere incisivo chi finora non ha
avuto voce in capitolo, chi sin dall’inizio ha criticato la logica del
grande evento e i suoi peccati originali, chi pensa che un grande evento
non giustifichi la devastazione del suo territorio, chi ritiene che il
lavoro vada rispettato e retribuito dignitosamente o chi, semplicemente,
è stufo di mafie e malaffare.
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