giovedì 20 marzo 2014

LA ROTTAMAZIONE E' FINITA

Renzi riabilita D’Alema

Europa. Il presidente del Consiglio paga il suo omaggio al segretario del Pd “modello ’97″. E rottama la rottamazione, preannunciando un incarico nella commissione europea
19pol1dalema-renzi-biagianti-03Un gioco, quello della rot­ta­ma­zione, è finito. Le parti restano. E nella parte dell’eccellenza ita­liana da pro­muo­vere in Europa, e così rimuo­vere, Mas­simo D’Alema ci sta benis­simo. La cono­sce. Mat­teo Renzi, la cui «unica vit­to­ria» secondo un D’Alema recente sarebbe stata «cac­ciare me dal par­la­mento», già lo can­dida al ruolo di com­mis­sa­rio ita­liano a Bru­xel­les. Nelle liste per l’elezione dell’europarlamento no, non gli tro­verà posto. Per­ché deve pur sem­pre man­te­nere la parte dell’innovatore. E allora assi­cura: «Nelle can­di­da­ture ci sarà rin­no­va­mento». Ma subito aggiunge: «Per i livelli isti­tu­zio­nali il governo sce­glierà le per­sone mag­gior­mente in grado di dare corso a que­sta svolta in Europa». E nel dire «que­sta» tam­bu­rella con l’indice sulla coper­tina del libro di D’Alema, Non solo euro, l’istant book che è ser­vito ad appa­rec­chiare l’incontro e a lan­ciare la fase due della rot­ta­ma­zione: il recu­pero. D’altronde Renzi, vedi con Ber­lu­sconi, agli avver­sari con­cede parec­chio. E da loro parec­chio riceve.
Il gioco era comin­ciato quat­tro anni fa, con falli e e con­tro­falli di rea­zione. «È suf­fi­ciente che un gio­va­notto dica che voglia cac­ciarci a calci in culo che subito gli ven­gono con­cesse pagi­nate e inter­vi­ste». E il gio­va­notto: «Un caffè con D’Alema? Solo se lo pre­paro io…». Insulti, ma senza smet­tere mai di par­larsi. Per­ché D’Alema è poli­tico troppo accorto e Renzi troppo sma­li­ziato: basto­na­ture e poi incon­tri. E adesso i voti dei dale­miani in par­la­mento, all’occorrenza. «Se vince Renzi non c’è più il cen­tro­si­ni­stra». «Se vinco io al mas­simo fini­sce la car­riera di D’Alema». La seconda era di certo una pre­vi­sione sbagliata.
Oppure no, abbiamo assi­stito ieri al con­trap­passo di D’Alema. D’Alema che scalzò Prodi e lo con­solò con l’incarico di pre­si­dente della Com­mis­sione euro­pea. E che adesso sale sullo stesso treno, in una classe appena infe­riore. Ma D’Alema non accetta biglietti omag­gio, e anche nel libro d’occasione avverte Renzi che non tutto l’ultimo ven­ten­nio è da rot­ta­mare. Anzi, fu un cen­tro­si­ni­stra vin­cente, stu­por mundi, quello che chiamò in Ita­lia Clin­ton, Blair, Schrö­der e Jospin per trac­ciare la «terza via» tra socia­li­smo e capi­ta­li­smo. E più pre­ci­sa­mente li chiamò a Firenze, ma allora il «gio­va­notto» aveva vent’anni e stava con Casta­gnetti. E per l’Italia c’erano Prodi, appena inviato a Bru­xel­les, Vel­troni, appena ripor­tato a Bot­te­ghe Oscure, e D’Alema, che stava a palazzo Chigi dove adesso sta Renzi. Líder maximo i cui ricordi oggi virano un po’ troppo al rosa, visto che le terze vie erano almeno due, Blair e Jospin si dete­sta­vano e Prodi e Vel­troni ave­vano orga­niz­zato un con­tro­ver­tice dell’Ulivo a New York, senza invi­tare D’Alema. Ma comun­que il mes­sag­gio, di Mas­simo a Mat­teo, è: «Tu sei erede di una tra­di­zione che puoi riven­di­care in Europa, senza che ti pren­dano a calci nel sedere». La sua tra­di­zione, chiaro.
Renzi, quello che «ha un’idea della poli­tica molto este­riore» e «sta usando il Pd come un tram­po­lino», incassa e replica. Quel cen­tro­si­ni­stra, dice, non ha fatto le riforme costi­tu­zio­nali, né quella del mer­cato del lavoro. Capi­rai D’Alema. Che intanto pre­cisa agli ascol­ta­tori di non essere stato lui, bensì Renzi, a voler l’incontro nel giorno di mas­sima audience, al ritorno del pre­si­dente del Con­si­glio dalla visita ad Angela Mer­kel. E poi serve un’altra lezion­cina di sto­ria recente: le riforme le abbiamo ten­tate con la Bica­me­rale, la legge elet­to­rale l’abbiamo fatta, si chia­mava Mat­ta­rel­lum «ed era più avan­zata di quella di adesso», e anche «quella per l’elezione diretta dei sin­daci, che ha fun­zio­nato bene» — striz­za­tina d’occhi. E poi sul mer­cato del lavoro «sono stato io nel ’97 a vedere il rischio di una frat­tura tra i garan­titi e i non garan­titi; abbiamo intro­dotto misure di fles­si­bi­lità, di cui si è abu­sato, andando con­tro una parte del sin­da­cato». Però l’abbiamo fatto, ricorda così D’Alema, «con atten­zione a garan­tire la dignità dei lavo­ra­tori; oggi c’è il rischio dell’arbitrio dei datori di lavoro, bada».
Ma è un ricordo che vale dieci lire, nean­che un cen­te­simo di euro: era il con­gresso del Pds del 1997, D’Alema e Cof­fe­rati l’uno con­tro l’altro. D’Alema era quello che «le ricette key­ne­siane della vec­chia sini­stra non fun­zio­nano più», quello che voleva rom­pere il tabù dell’articolo 18. Allora il «rot­ta­ma­tore» era lui. Ed era anche il pre­si­dente della com­mis­sione bica­me­rale che tentò le riforme costi­tu­zio­nali con Ber­lu­sconi, quello che oggi sta ten­tando il segre­ta­rio del Pd. Allora finì male. «Ricordo quel D’Alema lì», dice Renzi. E in effetti lo ricorda.
Oggi, dice il vec­chio al gio­vane, «gio­chiamo nella stessa squa­dra». Offre le sue com­pe­tenze, con l’aria del riso­lu­tore di pro­blemi. «La ridu­zione fiscale che Renzi pro­pone può avere qual­che pro­blema di coper­tura nel primo anno. Ma all’Europa si può far capire che a regime le coper­ture ci saranno, gra­zie alla spen­ding review. Se poi vogliono farne un pro­blema di para­me­tri, che si arran­gino! Secondo me que­sto è un discorso soste­ni­bi­lis­simo che pos­siamo fare ai nostri part­ner». Quando sarà «ne par­le­remo con la nuova com­mis­sione», magari a quel punto dall’interno, tra com­mis­sari. Il tempo dei pro­fes­sio­ni­sti della poli­tica non è ancora finito.
ANDREA FABOZZI
da il manifesto

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