Renzi è in trappola. Al pari di Berlusconi vorrebbe
passare alla storia come il salvatore della patria, l’uomo della Provvidenza
che è riuscito a tenere insieme gli opposti: più soldi in tasca alla classe
media, più posti di lavoro, rispetto per l’austerità che i governi d’Europa,
Italia compresa, si sono imposti. Ma non ce la farà per un motivo molto
semplice: non ha il coraggio di cercare i soldi dove sono. Non ne ha il
coraggio e soprattutto non ne ha la voglia perché l’equità non è più nel Dna
del Partito democratico. Finito anche lui nell’orbita del pensiero unico, che
osanna il mercato come divinità assoluta, si è infilato in un vicolo cieco che
lo porta a un unico risultato: la demolizione dell’economia pubblica ed assieme
ad essa dei servizi pubblici che fanno la civiltà di un paese.
Riepiloghiamo la situazione. L’Italia viaggia con un
debito pubblico di oltre 2000 miliardi, che, euro più euro meno, ci procura un
salasso di 85 miliardi all’anno. Ma, cascasse il mondo, la spesa per interessi
non si tocca perché, per accordo tacito, il primo dovere di un debitore è
pagare i creditori. Fino ad oggi, per trovare i soldi da dare alle banche, lo
stato ha perseguito la strada classica dell’ aumento di tasse e taglio alle
spese. In una parola ha applicato l’austerità che scontenta non solo i
cittadini, ma anche le imprese perché meno spese da parte di stato e famiglie
significano meno vendite. Di conseguenza licenziamenti, che a loro volta
alimentano ulteriore riduzione di spesa in una spirale senza fine. Il progetto
di Renzi è interrompere questo meccanismo aumentando di 10 miliardi la
disponibilità dei lavoratori. Se milioni di famiglie si troveranno fra le mani
più soldi, compreranno di più e quindi faranno arrivare più ordini alle imprese
che riprenderanno a produrre e quindi ad assumere. Così in teoria. In pratica
c’è la globalizzazione che può fare lo scherzetto di scaricare gli aumenti di
spesa non Italia, ma in Polonia, in Romania, in Cina, addirittura
nell’odiatissima Germania. Ma lasciando da parte questo particolare, il
problema di Renzi è come reperire i 10 miliardi da mettere in busta paga dei
lavoratori.
Le strade a sua disposizione sono molte, ma quando si
tratta di trovare i quattrini si corre sempre il rischio di scontentare
qualcuno. E questa è l’ultima cosa che Renzi vuole per non offuscare la sua
immagine di politico interclassista. Che fare? Due le strade scelte da Renzi,
ambedue di tipo classico. La prima: un bel taglio alla spesa pubblica che però
rischia di azzerare gli effetti della manovra. Se per stimolare la spesa
privata, si taglia quella pubblica il risultato è un’operazione a somma zero.
La seconda possibilità è l’aumento di debito. Ma qui Renzi si scontra con le
regole europee. Non a caso si è messo in pellegrinaggio per l’Europa per ottenere
il beneplacito delle cancellerie che contano e della Commissione europea.
Ufficialmente l’Europa ha fatto grandi complimenti a
Renzi, ma dietro le quinte chissà quante risate si saranno fatti, alla stregua
dei sarti che riempivano d’ammirazione l’imperatore nudo. In ogni caso l’Europa
ha confermato che di autorizzare debito oltre i vincoli europei non se ne parla
proprio e alla fine Renzi potrebbe optare per una terza via che è quella dei
bilanci truccati, come hanno già fatto alcuni suoi predecessori.
La storia ci dirà per quale soluzione Renzi opterà. Ma
come cittadini tocca dire che la strada per redistribuire meglio la ricchezza e
garantire servizi ai cittadini è la tassazione delle fasce più ricche ormai
sempre più di tipo parassitario. Tant’è che le loro fonti di guadagno non
derivano più da investimenti produttivi, ma da operazioni creditizie e
speculative comprese la scommessa. Requisire i loro soldi per servizi di
pubblica utilità sarebbe non solo un’operazione di giustizia, ma un bene per l’umanità,
considerato che usano la loro ricchezza addirittura per organizzare attacchi
speculativi contro i titoli di stato.
La prima cosa da fare per raggiungere questo obiettivo
di giustizia è la riforma del sistema fiscale in senso progressivo innalzando
subito l’ultima aliquota che oggi si ferma al 43% sopra i 70mila euro di
reddito. Contemporaneamente andrebbe introdotta una seria patrimoniale che vada
a colpire stabilmente il 10% delle famiglie italiane che detengono il 50% del
patrimonio privato nazionale. E nello stesso ordine di idee si iscriverebbe un
bel taglio alla spesa per interessi tramite la decisione unilaterale di ridurre
i tassi in pagamento allo 0,50%, che è lo stesso tasso pagato dalle banche
commerciali sui prestiti che ottengono dalla Banca Centrale Europea.
Avesse lungimiranza politica, Renzi non si affiderebbe
al mercato per creare occupazione, ma la creerebbe direttamente come stato.
Potrebbe assumere subito un milione di disoccupati, pagandoli con cambiali di
stato che se fossero accettate come pagamento delle imposte, circolerebbero nel
paese come se fossero euro. Si tratterebbe, insomma, di un modo per aggirare la
mancanza di sovranità monetaria che oggi non abbiamo, ma che dobbiamo
assolutamente mettere in agenda di recuperare.
Queste scelte non ci obbligherebbero ad andare col
cappello in mano per le capitali europee e ci permetterebbero di non fare nuovo
debito. Ma richiedono la merce oggi più rara: la volontà di mettersi contro i
poteri forti.
Da:
http://altracitta.org
di Francesco Gesualdi, candidato in Toscana alle Elezioni Europee di maggio per la lista Tsipras
Renzi è in trappola. Al pari di Berlusconi vorrebbe passare alla storia come il salvatore della patria, l’uomo della Provvidenza che è riuscito a tenere insieme gli opposti: più soldi in tasca alla classe media, più posti di lavoro, rispetto per l’austerità che i governi d’Europa, Italia compresa, si sono imposti. Ma non ce la farà per un motivo molto semplice: non ha il coraggio di cercare i soldi dove sono. Non ne ha il coraggio e soprattutto non ne ha la voglia perché l’equità non è più nel Dna del Partito democratico. Finito anche lui nell’orbita del pensiero unico, che osanna il mercato come divinità assoluta, si è infilato in un vicolo cieco che lo porta a un unico risultato: la demolizione dell’economia pubblica ed assieme ad essa dei servizi pubblici che fanno la civiltà di un paese.
Riepiloghiamo la situazione. L’Italia viaggia con un debito pubblico di oltre 2000 miliardi, che, euro più euro meno, ci procura un salasso di 85 miliardi all’anno. Ma, cascasse il mondo, la spesa per interessi non si tocca perché, per accordo tacito, il primo dovere di un debitore è pagare i creditori. Fino ad oggi, per trovare i soldi da dare alle banche, lo stato ha perseguito la strada classica dell’ aumento di tasse e taglio alle spese. In una parola ha applicato l’austerità che scontenta non solo i cittadini, ma anche le imprese perché meno spese da parte di stato e famiglie significano meno vendite. Di conseguenza licenziamenti, che a loro volta alimentano ulteriore riduzione di spesa in una spirale senza fine. Il progetto di Renzi è interrompere questo meccanismo aumentando di 10 miliardi la disponibilità dei lavoratori. Se milioni di famiglie si troveranno fra le mani più soldi, compreranno di più e quindi faranno arrivare più ordini alle imprese che riprenderanno a produrre e quindi ad assumere. Così in teoria. In pratica c’è la globalizzazione che può fare lo scherzetto di scaricare gli aumenti di spesa non Italia, ma in Polonia, in Romania, in Cina, addirittura nell’odiatissima Germania. Ma lasciando da parte questo particolare, il problema di Renzi è come reperire i 10 miliardi da mettere in busta paga dei lavoratori.
Le strade a sua disposizione sono molte, ma quando si tratta di trovare i quattrini si corre sempre il rischio di scontentare qualcuno. E questa è l’ultima cosa che Renzi vuole per non offuscare la sua immagine di politico interclassista. Che fare? Due le strade scelte da Renzi, ambedue di tipo classico. La prima: un bel taglio alla spesa pubblica che però rischia di azzerare gli effetti della manovra. Se per stimolare la spesa privata, si taglia quella pubblica il risultato è un’operazione a somma zero. La seconda possibilità è l’aumento di debito. Ma qui Renzi si scontra con le regole europee. Non a caso si è messo in pellegrinaggio per l’Europa per ottenere il beneplacito delle cancellerie che contano e della Commissione europea.
Ufficialmente l’Europa ha fatto grandi complimenti a Renzi, ma dietro le quinte chissà quante risate si saranno fatti, alla stregua dei sarti che riempivano d’ammirazione l’imperatore nudo. In ogni caso l’Europa ha confermato che di autorizzare debito oltre i vincoli europei non se ne parla proprio e alla fine Renzi potrebbe optare per una terza via che è quella dei bilanci truccati, come hanno già fatto alcuni suoi predecessori.
La storia ci dirà per quale soluzione Renzi opterà. Ma come cittadini tocca dire che la strada per redistribuire meglio la ricchezza e garantire servizi ai cittadini è la tassazione delle fasce più ricche ormai sempre più di tipo parassitario. Tant’è che le loro fonti di guadagno non derivano più da investimenti produttivi, ma da operazioni creditizie e speculative comprese la scommessa. Requisire i loro soldi per servizi di pubblica utilità sarebbe non solo un’operazione di giustizia, ma un bene per l’umanità, considerato che usano la loro ricchezza addirittura per organizzare attacchi speculativi contro i titoli di stato.
La prima cosa da fare per raggiungere questo obiettivo di giustizia è la riforma del sistema fiscale in senso progressivo innalzando subito l’ultima aliquota che oggi si ferma al 43% sopra i 70mila euro di reddito. Contemporaneamente andrebbe introdotta una seria patrimoniale che vada a colpire stabilmente il 10% delle famiglie italiane che detengono il 50% del patrimonio privato nazionale. E nello stesso ordine di idee si iscriverebbe un bel taglio alla spesa per interessi tramite la decisione unilaterale di ridurre i tassi in pagamento allo 0,50%, che è lo stesso tasso pagato dalle banche commerciali sui prestiti che ottengono dalla Banca Centrale Europea.
Avesse lungimiranza politica, Renzi non si affiderebbe al mercato per creare occupazione, ma la creerebbe direttamente come stato. Potrebbe assumere subito un milione di disoccupati, pagandoli con cambiali di stato che se fossero accettate come pagamento delle imposte, circolerebbero nel paese come se fossero euro. Si tratterebbe, insomma, di un modo per aggirare la mancanza di sovranità monetaria che oggi non abbiamo, ma che dobbiamo assolutamente mettere in agenda di recuperare.
Queste scelte non ci obbligherebbero ad andare col cappello in mano per le capitali europee e ci permetterebbero di non fare nuovo debito. Ma richiedono la merce oggi più rara: la volontà di mettersi contro i poteri forti.
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Renzi è in trappola. Al pari di Berlusconi vorrebbe passare alla storia come il salvatore della patria, l’uomo della Provvidenza che è riuscito a tenere insieme gli opposti: più soldi in tasca alla classe media, più posti di lavoro, rispetto per l’austerità che i governi d’Europa, Italia compresa, si sono imposti. Ma non ce la farà per un motivo molto semplice: non ha il coraggio di cercare i soldi dove sono. Non ne ha il coraggio e soprattutto non ne ha la voglia perché l’equità non è più nel Dna del Partito democratico. Finito anche lui nell’orbita del pensiero unico, che osanna il mercato come divinità assoluta, si è infilato in un vicolo cieco che lo porta a un unico risultato: la demolizione dell’economia pubblica ed assieme ad essa dei servizi pubblici che fanno la civiltà di un paese.
Riepiloghiamo la situazione. L’Italia viaggia con un debito pubblico di oltre 2000 miliardi, che, euro più euro meno, ci procura un salasso di 85 miliardi all’anno. Ma, cascasse il mondo, la spesa per interessi non si tocca perché, per accordo tacito, il primo dovere di un debitore è pagare i creditori. Fino ad oggi, per trovare i soldi da dare alle banche, lo stato ha perseguito la strada classica dell’ aumento di tasse e taglio alle spese. In una parola ha applicato l’austerità che scontenta non solo i cittadini, ma anche le imprese perché meno spese da parte di stato e famiglie significano meno vendite. Di conseguenza licenziamenti, che a loro volta alimentano ulteriore riduzione di spesa in una spirale senza fine. Il progetto di Renzi è interrompere questo meccanismo aumentando di 10 miliardi la disponibilità dei lavoratori. Se milioni di famiglie si troveranno fra le mani più soldi, compreranno di più e quindi faranno arrivare più ordini alle imprese che riprenderanno a produrre e quindi ad assumere. Così in teoria. In pratica c’è la globalizzazione che può fare lo scherzetto di scaricare gli aumenti di spesa non Italia, ma in Polonia, in Romania, in Cina, addirittura nell’odiatissima Germania. Ma lasciando da parte questo particolare, il problema di Renzi è come reperire i 10 miliardi da mettere in busta paga dei lavoratori.
Le strade a sua disposizione sono molte, ma quando si tratta di trovare i quattrini si corre sempre il rischio di scontentare qualcuno. E questa è l’ultima cosa che Renzi vuole per non offuscare la sua immagine di politico interclassista. Che fare? Due le strade scelte da Renzi, ambedue di tipo classico. La prima: un bel taglio alla spesa pubblica che però rischia di azzerare gli effetti della manovra. Se per stimolare la spesa privata, si taglia quella pubblica il risultato è un’operazione a somma zero. La seconda possibilità è l’aumento di debito. Ma qui Renzi si scontra con le regole europee. Non a caso si è messo in pellegrinaggio per l’Europa per ottenere il beneplacito delle cancellerie che contano e della Commissione europea.
Ufficialmente l’Europa ha fatto grandi complimenti a Renzi, ma dietro le quinte chissà quante risate si saranno fatti, alla stregua dei sarti che riempivano d’ammirazione l’imperatore nudo. In ogni caso l’Europa ha confermato che di autorizzare debito oltre i vincoli europei non se ne parla proprio e alla fine Renzi potrebbe optare per una terza via che è quella dei bilanci truccati, come hanno già fatto alcuni suoi predecessori.
La storia ci dirà per quale soluzione Renzi opterà. Ma come cittadini tocca dire che la strada per redistribuire meglio la ricchezza e garantire servizi ai cittadini è la tassazione delle fasce più ricche ormai sempre più di tipo parassitario. Tant’è che le loro fonti di guadagno non derivano più da investimenti produttivi, ma da operazioni creditizie e speculative comprese la scommessa. Requisire i loro soldi per servizi di pubblica utilità sarebbe non solo un’operazione di giustizia, ma un bene per l’umanità, considerato che usano la loro ricchezza addirittura per organizzare attacchi speculativi contro i titoli di stato.
La prima cosa da fare per raggiungere questo obiettivo di giustizia è la riforma del sistema fiscale in senso progressivo innalzando subito l’ultima aliquota che oggi si ferma al 43% sopra i 70mila euro di reddito. Contemporaneamente andrebbe introdotta una seria patrimoniale che vada a colpire stabilmente il 10% delle famiglie italiane che detengono il 50% del patrimonio privato nazionale. E nello stesso ordine di idee si iscriverebbe un bel taglio alla spesa per interessi tramite la decisione unilaterale di ridurre i tassi in pagamento allo 0,50%, che è lo stesso tasso pagato dalle banche commerciali sui prestiti che ottengono dalla Banca Centrale Europea.
Avesse lungimiranza politica, Renzi non si affiderebbe al mercato per creare occupazione, ma la creerebbe direttamente come stato. Potrebbe assumere subito un milione di disoccupati, pagandoli con cambiali di stato che se fossero accettate come pagamento delle imposte, circolerebbero nel paese come se fossero euro. Si tratterebbe, insomma, di un modo per aggirare la mancanza di sovranità monetaria che oggi non abbiamo, ma che dobbiamo assolutamente mettere in agenda di recuperare.
Queste scelte non ci obbligherebbero ad andare col cappello in mano per le capitali europee e ci permetterebbero di non fare nuovo debito. Ma richiedono la merce oggi più rara: la volontà di mettersi contro i poteri forti.
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