Fate la prova renzino. Non è difficile e non serve nemmeno un
laboratorio, basta il tavolino di un bar. Procuratevi soltanto una
mezz’oretta e un devoto seguace del premier, di quelli acritici e
ultramoderni, di quelli che sono per la “ disintermediazione”, parola
difficile che serve a descrivere, senza dirla, una gran voglia di
discorsi dal balcone, o da Twitter, davanti a folle osannanti. Fatto?
Ecco. Ora chiedetegli se Matteo Renzi, nel suo anno di governo, ha
cambiato le cose, se ha fatto le riforme. Ne avrete in cambio un
profluvio di argomenti entusiasti. Certo che sì ! Matteo (lo chiamano
così, è un vezzo moderno) ha fatto in un anno quello che lui (lui il
renzino) aspettava da trent’anni (sentito dire anche da chi ne ha
venticinque). Le province, il Jobs act, la pubblica amministrazione, il
Senato... Insomma, avrete, in risposta alla vostra domanda, la
granitica certezza dell’interlocutore: Renzi sta cambiando il paese.
Ora passate alla seconda domanda: perché serve una legge elettorale
come l’Italicum? La risposta sarà altrettanto convinta ed entusiasta:
perché con l’attuale legge elettorale si è costretti a barcamenarsi e
non si fanno le riforme. Ecco fatto: possiamo fermarci qui, a queste
due risposte che sono la sostanza del problema. Punto uno: si fanno
finalmente le riforme. Punto due: serve una legge elettorale che
permetta di fare le riforme perché così non si riesce. È una
contraddizione così palese che non meriterebbe commenti.
Se Renzi è così bravo da fare tutte queste riforme anche con il
risultato ottenuto da Bersani alle ultime elezioni – che tutti
definiscono insufficiente, una “ non vittoria” – perché vuole una legge
elettorale che premi ancora di più l’esecutivo? Una legge che i
migliori costituzionalisti descrivono come “ pericolosa”? Il refrain
non è nuovo e ha illustri precedenti. Bettino Craxi, da capo del
governo, lamentava gli scarsi poteri del capo del governo. Berlusconi
uguale. E ora Renzi dice lo stesso.
Il disegno, insomma, è sempre quello: dare più poteri all’esecutivo a
scapito della democrazia parlamentare o del voto dei cittadini (non si
vota più per le province, non si voterà più per il Senato...). E la
motivazione è anche quella più o meno uguale: questo “eccesso di
democrazia”, di pesi e contrappesi, impedisce di fare le riforme, cosa
che si grida a gran voce proprio mentre si grida forte anche: “Ehi,
stiamo facendo le riforme!”. Per corroborare questa tesi si descrive il
paese come una palude immobile e putrescente, da cui ci salverà
finalmente una nuova legge elettorale che annichilisca ogni
opposizione. Insomma, mani libere, più potere e meno contrappesi.
È l’identico meccanismo del capitalismo italiano, che per tradizione
strepita che ci sono, a fermarne la luminosa marcia, troppi “ lacci e
lacciuoli”, mentre se avesse le mani totalmente libere, sai la cuccagna
! Una filosofia che ha le sue varianti con la cosa pubblica: la si
indebolisce con clientelismi e gestioni demenziali, si buttano i soldi
dalla finestra, la si rende ingiusta e impresentabile, e poi – ultima e
conseguente mossa – si chiede che venga privatizzata, un classico.
Ecco, l’Italicum è questo: una privatizzazione. Poi uno pensa alle
grandi riforme italiane, quelle vere, tipo il Servizio Sanitario
Nazionale, e vede che si facevano, eccome, pure con il bicameralismo
perfetto, pure con il proporzionale, con governi che cadevano ogni sei
mesi e decine di partiti in Parlamento. Senza Italicum, insomma, e
senza rischi per la democrazia.
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