Voglio ringraziare
tutte le compagne e i compagni che si sono spesi con generosità in
questa campagna elettorale, per far vivere lo spirito de L’Altra Europa e
soprattutto per costruire il nostro futuro; e aggiungere qualche
riflessione personale, a caldo, dopo una notte in bianco.
A me sembra che il dato politicamente
più rilevante di queste elezioni regionali sia la clamorosa battuta
d’arresto del progetto renziano. E per noi che avevamo indicato da
sempre nel renzismo la più immediata minaccia all’assetto democratico non è poco.
La perdita della Liguria da
parte del Pd è per Renzi una sconfitta strategica. Da sola vale tutta
la posta in gioco in questa tornata elettorale. La conquista risicata
dellaCampania è un boccone
avvelenato che sarebbe stato per lui meglio perdere che trovare, per le
grane politico-procedurali che gli varrà. L’”asfaltatura” della sua
candidata-simbolo Moretti in Veneto, con un risultato umiliante, conta
più di una “regione persa”. L’emorragia di voti del PD (in particolare
nelle vecchie roccaforti dell’Italia centrale), ritornato al “recinto
bersaniano” del 2013, come dicono in molti, e anzi al di sotto di quel
livello in valori assoluti, rompe il mito fondatore del “Vittorioso”. E
mostra come l’ascesa di Renzi abbia coinciso con la tendenziale
dissoluzione del partito di cui è diventato Segretario.
Il suo populismo dall’alto riceve
un vulnus da cui gli sarà difficile rimontare. E la cosa non può che
rallegrarci. Così come non può non turbarci, invece, e non poco,
l’emergere di una destra a traino leghista, in cui l’egemonia delle
retoriche alla Salvini ci dice quale disastro non solo politico, ma
culturale e antropologico si prepari quando l’assenza di una sinistra
autentica, forte e credibile, apre la strada alla penetrazione sociale
di un populismo rozzo e feroce come quello serpeggiante oggi in molti
paesi europei sul versante dell’estrema destra.
Quanto a noi, ci sarà molto da riflettere, sia sulle (poche) luci che sulle (maggiori) ombre. Come era prevedibile siamo andati in modo decoroso là dove si è costruito bene uno
schieramento unitario. In Toscana, con il nostro Fattori al 6 e mezzo.
E, con quasi il 10 per cento di Pastorino, in Liguria, dove
personalmente non finirò mai di ringraziare il cielo per essere stati
“della partita”: ci ha permesso di mettere anche la nostra faccia in
quella che si è rivelata la madre di tutte le sfide in questa tornata e
di evitare il rischio maggiore in un’elezione: l’irrilevanza. Siamo
andati male, invece (noi, ma non solo noi: tutte le “sinistre”), là dove
ci si è presentati divisi (in Umbria, in Veneto, in Puglia…). Nelle
Marche abbiamo sfiorato d’un soffio (per 4 centesimi di punto
percentuale) il risultato utile, ed è un peccato perché lì si andava
uniti, anche se forse in modo non ancora abbastanza innovativo da
vincere la diffidenza verso vecchie esperienze. La Campania è un caso a
parte, su cui dovremo discutere molto.
In generale, comunque, bisogna dire
chiaramente che siamo ancora molto, ma molto distanti dalle necessità (e
dalle emergenze) del momento. Gli stessi risultati “decorosi” sono una condizione necessaria per
dirci che si può andare avanti, ma non certo sufficiente per dirci
veramente “in campo”. La stessa unità (acerba, parziale, difficile) non
può essere un punto di arrivo, ma solo una stazione di partenza. Se non
ci sarà uno scatto per sfondare il muro della sfiducia e del disprezzo
resteremo, nonostante tutto, insignificanti.
O comunque inadeguati a fronteggiare ciò che viene avanti, dal renzismo
di vendetta di un PD comunque irrecuperabile, al populismo feroce di
una destra con il baricentro ormai nettamente spostato su Salvini, forse
l’unico vincitore di questa tornata insieme al Movimento 5 Stelle che
pur dichiarandosi “non partito” resta il primo partito forte in modo
omogeneo in tutto il Paese.
Deve farci pensare il fatto che anche
dove si è andati discretamente, il volume di consensi in valori assoluti
è comunque inferiore a quello di un anno fa con la lista “Tsipras”:
Tommaso Fattori, per esempio, ha fatto il suo 6 e mezzo per cento con
85.826 voti mentre la lista Tsipras un anno fa aveva fatto il 5,1% con
97.260 voti (11mila in più). Pastorino ha preso in Liguria quasi 62.000
voti (61.924 per la precisione), ma la lista principale che lo
sosteneva, Rete a sinistra (quella più vicina per composizione, valori e
contenuti all’Altra Europa con Tsipras di un anno fa) ha raccolto
22.083 voti (pari al 4,09%), circa 13.000 in meno di quelli ottenuti da
noi nel ’14 (35.102).
Certo, il PD ha perduto molto di più, in
entrambe le regioni, sia in valori assoluti che in percentuale. In
Toscana, Rossi vince ma con oltre 400mila voti in meno per il suo
partito rispetto alle europee di un anno fa (614.406 voti oggi, pari al
46%, rispetto a 1.069.179 di allora, pari al 56%: esattamente 10 punti
percentuali in meno!!!). In Liguria Paita perde con un PD più che
dimezzato in valori assoluti (138.190 voti oggi contro i 323.728 allora,
25,6% contro 41,7!!!!). Segno, appunto, del drammatico calo dei
partecipanti al voto, crollati di 10 punti percentuali in Liguria (dal
60,7% al 50,7%) e di quali 18 punti in Toscana (dal 66,7% del 2014 al
48,3% di ieri). E misura di quanto sia grande, e impetuoso, il fiume di
voti in uscita dal “contenitore PD”, e più in generale dai diversi
“contenitori politici” tradizionali, che tuttavia noi non siamo in
grado se non in misura minima e solo in casi particolari di
intercettare.
Se non impareremo presto a farlo,
dentro un processo non solitario (abbiamo visto a quali percentuali
irrisorie porti la solitudine) ma nemmeno rassegnato all’esistente (alle
sue forme e ai suoi linguaggi obsoleti) avremo davvero fallito. Il voto
Ligure una cosa, importante, l’ha detta: che il vecchio trucco del voto
utile non attacca più. Che c’è una parte non piccola di elettorato
(anche tradizionale) di sinistra che, di fronte a ciò che è diventato il
Partito Democratico, non si fa più incantare né minacciare (e il
bombardamento mediatico in queste settimane in questa direzione è stato
ossessivo). Sta fuori e non intende ritornare indietro (credo che non
uno dei voti dati a Pastorino, anche da ex elettori PD, sarebbe andato
alla Paita se Pastorino non si fosse candidato: sarebbero andati o
nell’astensione o ai 5 Stelle). E’, per certi aspetti, un fatto storico:
una circostanza inedita che ci dovrebbe far riflettere su quanto ampio
sia oggi il campo delle possibilità, se solo sapremo insieme unire e
innovare
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