sabato 31 agosto 2013

Cosa ci dice Berlusconi al banchetto di Alessandro Gilioli


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Dalla vicenda di Berlusconi che firma contro le leggi su immigrazione e droga credo che possiamo trarre tutti un insegnamento (o meglio una conferma) ma anche qualche domanda.
La conferma è facile: la destra in questo Paese si è messa da vent’anni nelle mani di uno che non è di destra – e ovviamente nemmeno di sinistra e neppure di centro: è semplicemente, completamente, evidentemente prepolitico e basta.
Voglio dire: per salvare se stesso Berlusconi firmerebbe contro tutte le leggi che hanno prodotto i suoi governi, con le uniche eccezioni di quelle che servono a lui, tipo il falso in bilancio o l’indulto. Delle altre – ora è chiaro – se ne fotte totalmente.
E se n’è fottuto dall’inizio, da quando ha venduto in giro la balla della “rivoluzione liberale” (mai stato liberale, del resto: stava con la Dc e con Craxi) giù giù fino a quando ci ha fatto credere di essere il capo dei moderati (credo che nulla sia più lontano da lui dell’essere moderati) e poi ha gabellato il suo partito personale nelle destre europee, truccandosi da Merkel o da Cameron.
Chiedere l’abolizione delle leggi che ha fatto lui stesso – pur di arrivare all’obiettivo che lo riguarda come individuo condannato – è insomma la conferma definitiva che l’uomo non è minimamente interessato a forgiare il Paese secondo una qualsivoglia ispirazione politica – di destra, di sinistra, di quel che vi pare – ma ha a cuore solo ed esclusivamente se stesso.
Il problema, a prima vista, dovrebbe interessare soprattutto la destra, ammesso che in questo Paese esista: come ci si sente ad avere da due decenni un leader “incontrastato” (cit.) al quale della destra non frega assolutamente nulla?
Ma in realtà la questione riguarda tutti noi, e qui veniamo alle riflessioni che ci tocca fare.
Perché il personalismo tracimante ed evidente di Berlusconi non cancella (anzi, semmai specularmente sottolinea) quello che succede dall’altra parte, e di cui qui quasi ogni giorno si parla.
Detta diversamente: come ci sentiamo, noi cittadini tutti di questo Paese, ad avere un centrodestra rappresentato da un prepolitico assoluto e un centrosinistra rappresentato da un mix di democristiani e opportunisti che portano i nomi di Letta, Finocchiaro, Boccia, Fioroni, Violante e Franceschini?
In altre parole ancora, come si sta in un Paese nel quale al leader della destra non frega nulla dei valori della destra e ai leader della sinistra non frega nulla dei valori della sinistra?
Che sia per questo – domanda retorica – che alla fine metà dell’elettorato dell’una e dell’altra parte se ne ne va verso l’astensione o verso un movimento il cui capo furbamente si proclama ‘oltre’ la destra e la sinistra?
E che sia questo – altra domanda retorica – il problema principale della democrazia, della rappresentanza e dell’alternanza, in questo Paese, prima ancora del Porcellum?

Imu, Tares e Taser. Che diavolo stanno combinando?

Imu, Tares e Taser. Che diavolo stanno combinando?
Diversi lettori ci hanno chiesto: ma come funzionerà adesso la tassazione sulla casa, dopo l'abolizione temporanea dell'Imu?
Bella domanda. Se la stanno ponendo anche dentro il governo, perché ogni volta che qualcuno - Letta o Saccomanni, Fassina o un Pirimpelli qualsiasi - prova a dire come sarà, scopiia un casino e partono le smentite "tranquillizzanti".
Noi avevamo denunciato tra i primi che il testo uscito dal consiglio dei ministri scaricava buona parte del carico della nuova "Taser" o "service tax" (mai chiamare le fregature con un nome comprensibile, pare la regola)  sugli inquilini, anche delle case popolari.
Immediatamente era arrivata la conferma da parte di alcune associazioni di inquilini e il ministro Zanonato aveva preso a giurare che no, ci eravamo tutti sbagliati. Sono seguite precisazioni, controdeduzioni, rinvii, smentite dei testi circolanti come "vecchi" (ma i nuovi dove sono?), arrabbiatutre dei berluscones che avevano gridato vittoria (ma Alfano, oltre a dichiarare su tutto, qualcosa di quello che firma lo legge anche?).
Un papocchio, un pastrocchio, uno "gnommero". Insomma: non lo sa davvero nessuno. Se ne discuterà, si cercherà "la quadra", si farà flanella, si diranno cazzate a raffica e poi, in una notte buia e tempestosa, uscirà fuori un dispositivo che salvaguarderà per quel che è possibili i proprietari di "roba buona" e fregherà in misura variabile chi non ha quattro muri di sua proprietà.
Siamo troppo cattivi, prevenuti, "comunisti ideologici"? E allora leggetevi l'articolo del Sole24Ore, che è l'organo di Confindustria e non sa più quali parole usare per "coprire" in qualche modo l'insipienza di governo nel governo.
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Pasticci e nodi veri

di Fabrizio Forquet, Il Sole 24Ore

Un pasticciaccio. A due giorni dall'approvazione in Consiglio dei ministri il decreto sull'Imu torna ad essere un cantiere. Anzi uno "gnommero", un groviglio, per stare al romanzo di Gadda. La bufera politica sul ritorno della tassazione Irpef sulle seconde case sfitte non solo ha costretto Governo e maggioranza a una goffa retromarcia, ma ha di fatto smontato la copertura del decreto per il 2014. A farne le spese, così, sono state le imprese, che non solo continueranno a pagare l'Imu per intera (anzi da quest'anno maggiorata) ma che hanno visto anche saltare quella parziale deducibilità dell'imposta che era prevista nella versione del decreto approvata in Consiglio dei ministri.

È vero che il Governo ieri ha assicurato di voler recuperare la norma in favore delle aziende già nei prossimi mesi, in parallelo alla legge di stabilità. Ma si tratta comunque di un nuovo rinvio, dopo quello con cui, all'inizio dell'estate, il Governo si impegnava a intervenire entro agosto.
Il nuovo casus belli è esploso ieri mattina. L'innesco è stato tutto politico. Alla lettura delle critiche dei giornali sulla rinnovata tassazione sulle seconde case sfitte, infatti, qualcuno nella maggioranza (più dalle parti del Pdl) è stato preso da improvviso ripensamento. Il rischio di un autogol con l'elettorato è stato giudicato troppo alto, meglio non farne niente. Eppure la norma era da giorni nel testo del decreto. Era conosciuta da tutti (Il Sole 24 Ore ne parla almeno da martedì scorso) ed era stata approvata in Consiglio dei ministri mercoledì.

C'è anche chi, dopo aver contribuito a scrivere, correggere, rivedere, limare il testo in decine di riunioni, ieri fingeva stupore e indignazione per la presenza di quell'articolo. Delle due l'una: o quella norma era davvero sfuggita - ma allora c'è molto da preoccuparsi sulla serietà con cui politici e tecnici di lungo corso seguono la stesura dei provvedimenti di legge - oppure siamo davanti all'ennesima ipocrita retromarcia dopo che si è stati presi con le mani nella marmellata e bacchettati dalla propria opinione pubblica.
Di fatto a due giorni dall'approvazione del decreto in Consiglio il testo è tornato in alto mare. La norma sulla tassa sulle seconde case sfitte, infatti, non era un comma di dettaglio. Era una parte importante della copertura in vista del 2014, alla quale contribuiva per ben 1,6 miliardi. Saltata questa, è dovuta saltare anche la deducibilità per le imprese e l'Economia ha dovuto riaprire tutto il lavoro sulle coperture.
Se ne riparlerà più avanti, con il provvedimento in arrivo a ottobre sulla service tax. Una tassa che a questo punto rischia sempre di più di diventare una supertassa, tale da far impallidire la stessa Imu che va a sostituire. Ciò che è peggio è che intanto si continua a rinviare la riflessione (e a questo punto anche il lavoro dei tecnici ministeriali che devono predisporre i testi) sui provvedimenti utili ad affrontare i nodi veri dell'economia, quelli del cuneo fiscale, della tassazione record su produzione e lavoro, della revisione della spesa, del rilancio degli investimenti, dell'acceso al credito. Il Sole 24 Ore ieri chiedeva un salto di qualità, per ora è arrivato un salto all'indietro

Imu, Renato Brunetta non la pagherà. Anche se ha una villa da 14 vani con piscina...



Anche Renato Brunetta non pagherà l'Imu. Nonostante abbia "una villa su due piani, con 5 bagni, 10 camere, due ripostigli, due cabine armadio, per complessivi 14 vani catastali e mezzo più una bella piscina nel verde circondata da un giardino di 1300 metri quadri".
Come molti altri ricchi possidenti, Brunetta non pagherà l'Imu sulla sua prima casa per il 2013: un risparmio netto di 2mila e 750 euo con un corrispettivo ammanco nel bilancio dello stato. A Michele Serra che contestava su Repubblica la scelta di escludere dalla tassazione tutte le abitazioni principali, comprese quelle dei ricchi, Brunetta ha replicato: "L'Imu è tolta per la prima casa e resta per le case di lusso, di solito abitate dai ricchi. L'Imu è un'imposta reale: si applica alle cose e non alle persone. Somiglia all'accisa sulla benzina. La pagano uguale poveri e ricchi. Non è così, perché un povero non paga 10mila euro di Imu su cinque case come è accaduto a Brunetta nel 2012.
Passino le altre quattro, ma come è possibile che sulla villa che risulta prima abitazione il capogruppo del Pdl non sborsi un'euro? Lo spiega sempre il Fatto:
Oggi casa Brunetta è censita come categoria A7, classe 7, zona censuaria 6. Nonostante la piscina, probabilmente perché inferiore agli 80 metri quadrati, non è considerata di lusso. Villa Brunetta rientra per un soffio nell'esenzione sponsorizzata dal suo propietario. Solo le ville inserite nella categoria immediatamente superiore, la A8, continueranno a pagare l'imposta, mentre le ville inscritte in categoria A7, anche se ristrutturate di recente, nonostante cinque bagni, dieci camere e piscina, saranno esenti al pari di un bilocale.

De Marzo: “Ambiente e lavoro, vie d’uscite dalla crisi” di Giacomo Russo Spena, Micromega


Intervista a Giuseppe De Marzo, autore di "Anatomia di una rivoluzione" (Castelvecchi): "Per uscire dalla crisi globale bisogna ripartire da una giustizia legata a sostenibilità ecologica, equa distribuzione dei vantaggi e opportunità ambientali per tutti”.
 
Una vita in America Latina per trovare le vie del Buen vivir e dell’alternativa al modello di sviluppo dominante. Economista, giornalista ed ora attivista dell’associazione Libera, Giuseppe De Marzo ha appena scritto "Anatomia di una rivoluzione" (Castelvecchi, 237 pp). Un libro sulla giustizia ambientale ma anche sul lavoro: “Diseguaglianze e insostenibilità ecologica - spiega - sono conseguenze di politiche economiche sbagliate. Se vogliamo rispondere a queste emergenze dobbiamo costruire una relazione che metta insieme due grandi obiettivi che garantiscono la vita e la prosperità al genere umano: giustizia sociale e sostenibilità ecologica”.

Lei immagina un nuovo paradigma per uscire dall’attuale crisi globale dove la chiave è appunto nella relazione tra giustizia e sostenibilità. Ci può spiegare meglio il suo concetto di “Giustizia ambientale”?
Diverse agenzie ONU hanno scientificamente dimostrato come a partire dal 1992 vi sia una relazione tra l’aumento delle diseguaglianze e la distruzione ambientale, conseguenza di un modello di sviluppo che eccede i limiti della Terra e le capacità di autorigenerazione dei cicli naturali. La governance economica distrugge più ricchezza di quanta ne crei. Da questo primo dato deduciamo come la giustizia distributiva dipenda direttamente dalla capacità di accesso alle risorse. “Giustizia ambientale significa equa distribuzione dei vantaggi e delle opportunità ambientali. È l’obiettivo di qualsiasi comunità, consentendo alle persone di realizzare il loro massimo potenziale. Questa strada costringe le forze produttive a riconvertirsi ecologicamente per assicurare giustizia distributiva. Risponderemmo così alla domanda di lavoro, salute pubblica, difesa dei beni comuni e partecipazione alle scelte che la crisi della democrazia ha ampiamente evidenziato.

Ma che relazione esiste tra diritti della natura, diritti umani e sostenibilità?
Abbiamo compreso come equità sociale e giustizia distributiva nell’accesso alle risorse naturali ci consentono di arrivare ad una società sostenibile. Ciò significa che dobbiamo organizzare la società ed il modello economico in modo da garantire l’integrità dei processi naturali ed il corretto metabolismo sociale della biosfera. Diritti umani e diritti della natura sono strettamente collegati. Senza i servizi che la natura ci offre, dal ciclo delle acque, a quello del clima, dell’azoto e così via, l’essere umano non sarebbe in grado di garantire i diritti umani. Oggi la crisi globale dei diritti umani è conseguenza diretta dell’incapacità del modello economico di garantire l’accesso alle risorse a tutti e tutte. Non possiamo continuare a distruggere quello che garantisce la base di riproduzione materiale per gli esseri umani. È un suicidio etico e politico.

Che intende quando parla di “razzismo ambientale” a cui è sottoposta gran parte dell’umanità?Ci riferiamo alla pratica che consiste nello spostare i costi, i rischi e le riduzioni di libertà sulle comunità più povere o che non accedono ad un livello sufficiente di informazione e partecipazione, sui lavoratori a basso reddito o che vivono il ricatto economico, sui migranti e sui soggetti più deboli. Se utilizziamo questa “lente” ci accorgiamo di come una gran parte dell’umanità sia vittima di razzismo ambientale. Questo modello economico lo aumenta istituzionalizzando forme di discriminazione. Cosa sono le bonifiche non fatte o ritardate, la riduzione delle precauzioni sul lavoro, l’esposizione di esseri umani a pesticidi e sostanze tossiche, gli investimenti in attività produttive ed in tecnologie insicure come gli inceneritori o le centrali atomiche? Forme odiose di razzismo istituzionalizzato che sfruttano la vulnerabilità politica, culturale ed economica di individui, comunità e popoli.

Perché nel libro critica duramente sia il movimento ambientalista che la cosiddetta green economy tanto da considerare lo sviluppo sostenibile “come esclusivamente terreno di cattura cognitiva del modello liberista”? Fa sua la teoria della decrescite felice del sociologo Latouche?Spesso un certo ambientalismo del nord del mondo ha evitato di mettere al centro delle proprie analisi le questioni legate all’equità sociale ed alla giustizia sociale. Il limite sta nel non comprendere come le questioni di giustizia siano legate a quelle della sostenibilità ecologica. I movimenti per la giustizia ambientale vivendo sulla loro pelle le conseguenze di politiche insostenibili sono stati invece capaci di ripensare la relazione con l’ambiente introducendo nelle loro lotte questioni legate al razzismo, alla discriminazione economica, alla giustizia ed ai diritti. Quanto a Latouche, il suo contributo è sicuramente importante perché consente al modello occidentale di riflettere sull’insostenibilità dei propri modelli di consumo e sull’idea folle della crescita economica infinita a fronte di un pianete con risorse finite. Preferisco però parlare di “democratizzazione dello sviluppo” piuttosto che di decrescita felice.

In Italia a Taranto abbiamo assistito proprio al conflitto tutela della salute/diritto al lavoro: una dicotomia che sia i sindacati che la politica non sono riusciti a destreggiare. Lì - in tempi rapidi e realisticamente - come se ne esce?Se decidessimo di stare dalla parte della giustizia ambientale e sociale dovremmo: ripubblicizzare l’IlVA per riconvertirla su produzioni sostenibili, bonificare completamente la città inquinata, garantire l’accesso alle cure ed i risarcimenti per le vittime, sequestrare al proprietario Riva i suoi beni per metterli a disposizione della città, garantire la continuità del reddito a tutti i lavoratori ILVA ed allo stesso tempo formarli per essere ricollocati su altri tipi di produzioni. Questo garantirebbe i diritti della comunità, dei lavoratori, delle forze produttive capaci di riconvertirsi e delle generazioni che verranno e dell’ambiente. Ripristineremmo quella fiducia smarrita nelle istituzioni. Diritto al lavoro ed alla salute devono essere una sola cosa, come garantisce la Costituzione. I soldi ci sono ma si utilizzano male e per attività a bassa intensità di lavoro ed altamente inquinanti.

Un punto da cui ripartire per costruire un’alternativa di società sono per Lei i movimenti per la giustizia ambientale. Quali politiche sperimentano? E quali sono le esperienze più interessanti? Questi movimenti lavorano sulla relazione tra giustizia e sviluppo, costruendo strumenti pro-attivi in grado di invertire la rotta della crisi, generando allo stesso tempo una visione condivisa. Ad un modello che erode partecipazione rispondono con forme di democrazia partecipativa e comunitaria. Ad un sistema culturale che tende all’omologazione rispondono mettendo a valore la diversità, recuperando saperi ancestrali e riscattando l’educazione popolare. Partendo da specificità locali intrecciano questioni apparentemente separate per arrivare ad una visione d’insieme capace di agire anche sul piano globale. Tra le esperienze che per prime hanno lavorato per far emergere un nuovo punto di vista generale ispirato al pluralismo e all’inclusività, sicuramente un ruolo importante l’hanno svolto i movimenti indigeni dell’America Latina che promuovono modelli socioeconomici fondati sul “buon vivere”, Via Campesina che con 400 milioni di contadini lavora in tutto il mondo per la sovranità alimentare e la difesa dei territori, i movimenti per la difesa dei beni comuni, come i comitati per l’acqua pubblica nel nostro paese, i movimenti di donne e le comunità rurali dell’India impegnati sulla giustizia sociale e climatica, le organizzazioni sociali che lavorano per ridefinire il diritto internazionale e combattere le nuove mafie. C’è tanto la fuori che può aiutarci a superare la crisi ed allo stesso tempo a costruire un punto di vista d’insieme nuovo. Basta volerlo guardare ed ascoltare

Via il conflitto, restano gli interessi di Marco Travaglio, L'Espresso

Il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione continua a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un comune sentire ad personam che ha stravolto tutto.

Nel 1995 l'Italia votò i referendum per una severa antitrust nel mercato della tv e della pubblicità. Ma il combinato disposto fra il solito disimpegno della sinistra per il Sì e il bombardamento delle reti Fininvest per il No li fece fallire: il 55-57 per cento degli italiani votò per lasciare le cose come stavano. Norberto Bobbio osservò amaro: «Il motivo principale per cui Berlusconi ha vinto il referendum che tendeva a diminuire il suo potere televisivo è stato il fatto stesso che aveva questo potere» e invitò i promotori a continuare la lotta contro la legge Mammì, perché l'esito dei referendum «è la prova che avevano ragione coloro che vi si sono opposti... e continueranno a opporsi con maggiore abilità, spero, per la sorte della nostra democrazia». Sono trascorsi 18 anni e il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione ha continuato a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un "comune sentire" ad personam che ha stravolto tutto: la Costituzione, le leggi, la logica, perfino il buonsenso.
La prova decisiva è proprio quanto sta accadendo dopo la sua prima condanna definitiva, al termine di un lungo inseguimento dei giudici iniziato ben prima del suo ingresso in politica. Oggi, per dire, si discute animatamente sulla sua permanenza o meno in Parlamento, in base a una legge Severino che ha visto spuntare dal nulla un nugolo di critici non appena s'è posto il problema di applicarla a lui. Senza il supporto dei suoi giornali e tv, il Cavaliere pregiudicato sarebbe disarmato di argomenti: nessun giornale indipendente sarebbe andato a scovare presunti giuristi disposti ad affermare che il decreto varato otto mesi fa per escludere i condannati dal Parlamento non vale per chi i reati li ha commessi prima.

Se, poniamo, si facesse una legge per vietare ai condannati per pedofilia di insegnare nelle scuole, nessuno si sognerebbe di sostenere che un pedofilo è stato condannato ingiustamente, o di pedinare e screditare i giudici che l'han condannato, o di chiedere che continui a insegnare perché ha molestato bambini prima del varo della legge. Specie se il pedofilo avesse votato la legge che esclude i pedofili dall'insegnamento. E se il pedofilo pretendesse di restare fra i banchi di scuola, verrebbe massacrato da tutta la stampa, con ampi particolari del suo gravissimo delitto. Ma un pedofilo non farebbe mai una cosa simile: anzi sparirebbe per la vergogna della condanna.


Difficilmente infatti controllerebbe giornali e tv, stipendiandone i giornalisti. Invece, mutatis mutandis, è proprio per questo che tanti giornali e tv pedinano e screditano i giudici che han condannato Berlusconi (costringendoli a replicare e poi dicendo che parlano troppo e sono "schierati"); occultano totalmente il suo gravissimo reato; e sostengono che la legge da lui stesso votata otto mesi fa su decadenza e incandidabilità dei condannati per lui non vale: il condannato quei giornali e tv li possiede e quei giornalisti li stipendia. Infatti, anziché andare a nascondersi per la vergogna di una condanna per frode fiscale, tiene comizi, rifonda partiti, raduna truppe, detta condizioni al governo, al parlamento e al capo dello Stato. E tutti lo stanno a sentire.

Anche le figure e le testate "indipendenti" o "terziste", che confondono l'imparzialità con l'ignavia e ritengono che la giusta posizione sia sempre la via di mezzo fra la sua e quella dei suoi avversari. Così, più sono insensate, illegali, incostituzionali, illogiche le posizioni di Berlusconi, più si spostano verso di lui gli "indipendenti" e i "terzisti". I quali vent'anni fa davano per scontata l'ineleggibilità di chi aveva il conflitto d'interessi e l'esigenza di una legge per eliminarlo, mentre oggi l'hanno rimosso e ne sono le vittime più o meno consapevoli. Infatti, sempre in equilibrio fra i pro e i contro, dibattono sul diritto del condannato a restare (e a tornare per l'ottava volta) in Parlamento, senza più rammentare che in Parlamento non avrebbe mai potuto entrarci, neppure da incensurato. Il conflitto d'interessi è alla sua massima apoteosi, ma nessuno lo nota più: proprio a causa del conflitto d'interessi.

Tav: le novità di Fabio Balocco, Il Fatto Quotidiano

In questi giorni circola su alcuni organi di stampa e blog particolarmente sensibili a che venga realizzato la linea Torino – Lione la notizia che la Francia avrebbe già dato inizio alle procedure di esproprio. Ma che bravi questi francesi, prima si accodano all’Italia (loro che della Tav – intesa come linea – non gliene può fregare di meno) e poi la sorpassano avviando le procedure per l’acquisizione dei terreni dove dovrebbe transitare il treno.
In realtà, la notizia, così come è fornita, è inesatta. È vero che in Francia è stato pubblicato il decreto per le procedure, ma è altresì vero che gli espropri dovranno avvenire entro quindici anni e la conclusione degli eventuali lavori entro il 2030. Del resto, come noto, il rapporto “Mobilité 21”, per quanto riguardava le linee AV, escludeva di finanziare la Torino – Lione, in considerazione del fatto che non è prioritaria in quanto non si prevede un saturamento della linea a breve. E, se la condizione rimarrà il saturamento probabile della linea, mi sa – permettetemi – che il finanziamento non ci sarà mai. Del resto, come ricorderà chi segue questa vicenda, già la Corte dei Conti francese espresse fieri dubbi sull’utilità della linea proprio in considerazione degli ingenti costi e della dubbia (al momento) utilità.
Se in Francia, quindi, si conferma il rallentamento, qui da noi si procede come se nulla fosse, anche se il sottosegretario ai trasporti Erasmo D’Angelis afferma: «Se si fosse deciso oggi, la Tav non sarebbe in cima alle priorità. Gli esperti italiani che sono contrari al nuovo tunnel della Torino-Lione non sono impazziti». Ma va?
Insomma, l’opera non serve, e ciononostante i lavori proseguono. La talpa è in azione, fra un po’ dovranno smaltire lo smarino magari inquinato, la valle è in stato di assedio. Difficile dire quante pattuglie di polizia e carabinieri controllano le strade di accesso al cantiere.
Sì, so già che alcuni lettori che continuano a leggermi per farsi del male, diranno che bisogna tener fede agli accordi internazionali, che c’è la legalità da rispettare, eccetera eccetera.
Ma, se si è giunti a questa situazione di scontro frontale, ancora una volta giova sottolinearlo, è perché chi vuole la Torino – Lione la vuole contro la forza della ragione e delle cifre, che fin dal lontano 2001 dicevano che la linea non era competitiva, che i numeri del trasporto merci erano decisamente più bassi delle previsioni, ed era inoltre troppo cara. E non lo dicevano i No Tav, ma lo studio commissionato dagli stessi promotori, guidati allora da Pininfarina. I numeri si sono rivelati ancora più catastrofici delle previsioni del 2001. E se si è giunti a questo scontro frontale, è anche perché – nonostante la sbandierata condivisione democratica – non c’è mai stato un tavolo di lavoro concertato con i sindaci della valle, che rappresentano le popolazioni interessate. E questo lo ha affermato lo stesso onorevole Pietro Grasso in un convegno svoltosi proprio in questi giorni.
Quindi si va avanti usando la forza, usando l’esercito, militarizzando, mobilitando forze dell’ordine. Quanto costerà all’Italia il non aver avuto un dialogo costruttivo con la valle, oltre i costi puri dell’opera?
Quindi si va avanti ed una buona percentuale di attivisti è oggi indagata dalla solertissima Procura di Torino. Da quelli che hanno oltrepassato la linea di demarcazione dell’area militarizzata, a chi ha fatto un esposto, a chi ha tirato le pietre. In proposito, il collega Alessio Ariotto viene denunciato da Stefano Esposito per istigazione a delinquere in quanto sostanzialmente difenderebbe costoro. A mia volta, io non voglio difendere chi tira le pietre, ma desidererei che si facesse un approfondimento ed un po’ di chiarezza: perché chi tira le pietre in valle per dimostrare contro la democrazia e la ragione calpestate subisce le invettive e le reprimende di stampa e politici, quando la stessa stampa e gli stessi politici inneggiano a chi tira le pietre in Egitto o in Piazza Taksim? Spiegatemelo, grazie.

venerdì 30 agosto 2013

La tabella della vergogna e della rabbia di Alessandro Gilioli

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Guardatela bene, questa tabellina qui, perché in un colpo d’occhio mostra tutte le ragioni per cui questa Italia fa schifo, per cui ribellarsi è giusto.
Quelli che stanno più a destra sono i Paesi dove più alto è il divario fra i redditi. Quelli che stanno più in alto sono i Paesi dove maggiore è l’immobilità sociale tra generazioni, dove cioè se nasci povero hai più probabilità di restare tale.
Noi siamo lì, belli in alto a destra, all’estremo opposto rispetto agli stati scandinavi. Con una gigantesca forbice tra chi guadagna tanto e chi poco, ma anche con scarsissime chance di cambiare la propria condizione in questa vita per chi ha la avuto la sfiga di nascere nella base della piramide.
Non c’è molto altro da aggiungere. Ogni programma politico di qualsiasi sinistra possibile parte dall’esigenza etica, pratica, umana di spostare l’Italia molto più in basso e molto più a sinistra – domani, subito – in questa cazzo di tabella.

In cinque parole, tutto di Alessandro Gilioli


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Il genio sta qui: nel riassumere in una frasetta quello che in tanti cerchiamo di dire da anni con fiumi di parole nei post, sui giornali e nei libri.
«Tanto noi non volevamo niente» sintetizza perfettamente l’assenza di identità, di obiettivi, di ideali con cui la dirigenza del Pd non sta suicidando solo il partito, ma proprio la speranza.
«Noi non volevamo niente», dice Cipputi identificandosi (ancora!) con i suoi rappresentanti nel Palazzo: sono loro, quasi tutti loro, a non volere più niente tranne la propria autoperpetuazione, un governo purchessia, o ad andar bene «l’agenda Monti più qualcosa» come diceva in campagna elettorale la buonanima di Bettola, portandoci così dritti filati nelle braccia di Alfano e Brunetta.

Con un mattone al collo di Roberta Carlini, da sbilanciamoci.info

Confermando la cancellazione della prima rata dell'Imu 2013, rinviando alla legge di stabilità la decisione sulla seconda rata e spostando sulla “service tax” il compito di sostituire l'Imu nel 2014, il governo Letta-Alfano non ha solo ribadito la sua abilità sopraffina nella tattica del rinvio. È vero, di fatto non c'è ancora nulla di nuovo, tant'è che la Commissione europea aspetta lumi sulle coperture finanziarie prima di pronunciarsi sulla sparizione dell'Imu dall'orizzonte dei conti fiscale 2013. Ma questo non vuol dire che siamo al nulla di fatto: c'è molto di fatto, e tutto in negativo. Cioè in senso esattamente contrario alla equità tra cittadini, tra generazioni, tra territori. E dunque, in senso opposto a quello che un partito di pur vaga collocazione a sinistra come il Pd dovrebbe volere, e che infatti pur vagamente aveva scritto nei suoi programmi e promesso ai suoi elettori. Per questo, al di là della maggiore abilità propagandistica, sull'Imu ha davvero vinto la destra.

Partiamo dalla fine, cioè dal 2014 e dalla fantomatica “service tax”. Che non è l'ennesimo cambio di nome della stessa cosa, ma uno spostamento: da imposta pagata dai proprietari (cioè patrimoniale) come Ici e Imu, a imposta pagata da chi vive in una casa, cioè anche gli inquilini. Perché l'abolizione dell'unica patrimoniale esistente in Italia? In linea generale, i motivi per la sopravvivenza di un'imposta patrimoniale sugli immobili c'erano e ci sono tutti. Nei testi di scienza delle finanze, nella realtà di tutto il mondo civile, a maggior ragione in quella italiana dove tra l'altro lo chiederebbe anche la Costituzione, che chiede di commisurare le tasse alla capacità contributiva. E non c'è dubbio sul fatto che chi possiede una casa ha maggiore capacità contributiva di chi non ce l'ha. Semmai è necessario discutere di come esentare una fascia di proprietari poveri, con scarso reddito: ma solo di questi, non di altri. Invece, l'Imu sulla prima casa è abolita per tutti (quest'anno la pagheranno solo i proprietari di ville e castelli, se non li hanno truccati al catasto facendoli risultare come stalle).

Attenzione, la differenza e lo scontro non passano solo tra proprietari e inquilini intesi come classi sociali, in linea orizzontale: dopo le politiche dissennate di sparizione dell'edilizia pubblica, degli incentivi a comprare case con mutui oltre il 100% e dei numerosi disincentivi all'affitto, la legge dei numeri sta dalla parte dei primi, i proprietari. Ma a uno sguardo diverso, in verticale, che guardi alle generazioni, le cose cambiano completamente. I giovani sono tutti inquilini o potenziali tali, salvo i figli delle famiglie con più di una casa. (i numeri sono qui). Tra gli under 30, la maggioranza è danneggiata dal decreto Letta-Alfano. Un'ulteriore conferma del fatto che la retorica giovanilista dispensata all'insediamento del governo dell'under 50 Letta era, appunto, retorica. E non basta certo, per riequilibrare i pesi, riavviare la macchina dei mutui a vita, con gli incentivi a indebitarsi per comprare casa: non tutti potranno farlo, e non è detto che sia desiderato e desiderabile l'aumento dell'esercito dei proprietari. Certo aiuterà i più grandi operatori del mercato immobiliare, che non sanno più a chi vendere gli smisurati quartieri che hanno costruito alle periferie delle nostre città.

In proposito, arriva la ciliegina sull'indigesta torta dell'Imu: sulle case nuove, costruite e invendute, non si pagherà l'Imu. Cioè i costruttori risparmieranno qualcosa come 35 milioni (nel complesso), a fronte di un patrimonio invenduto che si aggira sugli 1,5 miliardi (stime riportate dal Sole 24 ore, 29/8/2013). Riepilogando: un giovane precario e senza casa, che va a vivere da solo facendo i salti mortali ogni mese per pagare l'affitto, pagherà la nuova Imu; Caltagirone e i suoi colleghi, che hanno costruito case che non riescono a vendere, correndo quello che dovrebbe essere il normale e fisiologico rischio d'impresa, non la pagheranno. In compenso, quelli che il rischio d'impresa lo pagano sempre, cioè i lavoratori dipendenti e non, sono del tutto scomparsi dalla scena: alla cassa integrazione, agli esodati andranno le briciole che restano dopo aver trovato le coperture dell'Imu; agli atipici, precari, indipendenti neanche quelle.

L'effetto redistributivo della manovra è evidente e plateale anche prima che arrivino i dettagli che preoccupano la Commissione Ue, i custodi del tetto del 3% del rapporto deficit/Pil: se è chiaro che per la prima rata lo sgravio dell'Imu è stato pagato un po' prendendo soldi dal 2014, un po' con tagli veri e trucchetti vari, non è ancora chiaro come sarà pagata l'abolizione della seconda tranche. Fondi dormienti tagli semi-lineari: i giornali abbondano di termini fatti apposta per respingere i lettori. Per ora di certo c'è una sanatoria sui gestori dell'unico affare che va in Italia, le slot machine: erano protagonisti di un lungo contenzioso con lo Stato, al quale addirittura dovrebbero 2,5 miliardi, gli si chiede di pagare “pochi maledetti e subito” 600 milioni, e nessuno più ci dirà chi aveva ragione e chi torto in quel processo. Del resto, a che servono i processi?

I miracoli dell’Imu, maxisconto ai concessionari slot!

Tutte le regole delle slot machine per vincere facile.

Legalità senza giustizia: l’Imu e gli spiccioli del gioco d’azzardo

Ho ben chiaro, da sempre, che il principio di legalità scisso da quello di giustizia è principio che non significa nulla. In questo lo Stato italiano è campione come sono, altrettanto campioni, tutti coloro che si accodano “gracchiando” il rispetto della legalità senza porsi minimamente il problema se un atto legale è anche giusto.
Scindere questi due concetti rendendoli l’uno indipendente dall’altro fa scivolare il livello, già di per se minimo, della decenza di questo paese, ben sotto la soglia della sopravvivenza civile . Eppure la politica italiana è riuscita, in questi giorni, a rappresentare con il decreto Imu un duplice salto mortale nella direzione di rendere legale una decisione profondamente iniqua ed ingiusta.
Il primo dato evidente anche ad un cretino è che l’esenzione dal l’Imu sulla prima casa indifferentemente dal fatto che la casa sia di pregio o un monolocale di periferia si ritorce, fatalmente, contro chi è proprietario del monolocale ed avvantaggia chi ha una casa pregiata ed altolocata.
Ma per cospargere ulteriore sale sulle ferite aperte di questa prima indecenza il governo è riuscito ad affiancarne un’altra. Forse ancor più ingiusta. Una parte del mancato gettito dell’Imu si recupererà da quella elusione miliardaria operata dai concessionari dei giochi d’azzardo che, bontà loro, con una manciata di” piccioli “ usciranno indenni dalla contestazione iniziale di avere eluso ben 93 miliardi di euro
Non voglio farla lunga ma solo ricordare che l’iniziale contestazione era stata ridotta dopo riconteggi vari al pagamento della somma di circa 2 miliardi e mezzo di euro. I concessionari, non contenti, avevano fatto ricorso e il governo ha pensato bene, nel decreto di cui sopra, di chiudere la partita facendo pagare loro solo il 30 per cento della somma già rivisitata: in pratica una cifre oscillante tra i 600 e gli 800 milioni. Come si diceva prima, a parziale copertura del mancato gettito dell’Imu, immagino io, delle case di “ lor signori “.
Quando si sbandiera il principio di legalità come principio fondante di una democrazia ci si aspetti che la legalità sia fatta propria dalle bande che dominano questo nostro paese in esclusivo nome di interessi particolari.
Vince il più forte, anche in democrazia quando il principio (questo sì sostanziale) di giustizia sociale viene progressivamente abbandonato e relegato a mera ipotesi accademica la cui applicazione pratica non interessa più nessuno.
Viene subito da dire: questo no! Questo non è possibile! Sto parlando del decreto sull’Imu presentato ieri sera da Letta, Alfano e Saccomanni. Vedremo nei prossimi giorni tutti i miracoli presenti nelle pieghe del decreto e tutti gli imbrogli. Di certo, il primo miracolo è che il decreto ha regato un po’ di vita al Governo, e non è detto, sia chiaro, che sia un male. Anzi. Ma sull’altare della stabilità necessaria non si può sacrificare tutto, persino la decenza. Mi riferisco al fatto che tra le voci a copertura dell’abolizione della prima rata Imu ci siano 700 milioni (esattamente, dice il Tesoro, una cifra tra “i 600 e gli 800 milioni di euro”) per una sanatoria prevista ai concessionari delle slot machine. Vediamo nel dettaglio.La vicenda della multa ai conessionari delle slot machine risale al maggio 2007, quando la Procura regionale del Lazio della Corte dei Conti fece recapitare le richiste di risarcimento per danno erariale chidendo un rimborso di 98 miliardi di euro. Un’indagine della Guardia di Finanza aveva appurato il mancato collegamento di numerosissime slot alla rete gestita da Sogei (società di Information and Communication Technology del Ministero dell’Economia e delle Finanze che tiene traccia delle giocate) in un periodo di tempo che andava dal settembre 2004 al gennaio 2007.
Il procedimento dinanzi alla Corte dei Conti arrivò poi a sentenza (17 febbraio del 2012) con una condanna a dieci concessionari al pagamento di 2,5 miliardi, cioè l’80% dell’aggio per il “servizio” (sic) prestato dai concessionari per il periodo 2004-2007. Una sentenza che può sembrare scandalosa solo a chi non sa che nel frattempo tra concessionari e Monopoli (ente dello Stato) si era sottoscritto un accordo per il riconteggio della multa che riduceva la stessa dai 98 miliardi a 70milioni!
Naturalmente contro la sentenza della Corte dei Conti i concessionari hanno proposto appello che sarà discusso presumibilmente entro il 2014. Da qui l’ideona del Governo Letta che in base a una norma della Finanziaria 2006, propone ai concessionari di chiudere il contenzioso versando il 30% dell’importo della multa (circa 740 milioni). Insomma far cassa subito rinunciando ad almeno il 70% del dovuto.
Tra i conessionari, che non è detto che aderiscano alla proposta, Bplus, la società di Francesco Corallo, indagato, che invece degli 845 milioni previssti dalla condanna dovrebbe così allo Stato una cifra intorno ai 200 milioni. Sanzioni ridotte anche per gli altri operatori, tra cui Gogetch (da 255 milioni a 76 mln), Sisal slot (da 245 a 70), Snai (sconto di 50 mln), Lottomatica (sconto di 30), ect.
Resta da aggiungere che proprio ieri, Massimo Passamonti Presidente  Confindustria Sistema Gioco Italia, ha alzato la voce contro le ipotesi di innalzare il Preu (Prelievo erariali unico) su New Slot e Video lottery (aliquota attuale del 12,7%)  e per le Vlt. aliquota attuale, e scandalosa, del 5%.
Ecco, fare probabile cassa, sulla pelle degli italiani e calpestando ogni idea di legittimitò (non legalità) delle norme di uno Stato non si fa, non si può fare.
La legalità (la proposta del Governo Letta è legale perchè usa una norma dello Stato e di una vecchia Finanziaria) quando non si declina con la giustizia è solo l’accordo tra una banda di ladri più forte e istituzionalizzata di altre.
Ecco tutto
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Viene subito da dire: questo no! Questo non è possibile! Sto parlando del decreto sull’Imu presentato ieri sera da Letta, Alfano e Saccomanni. Vedremo nei prossimi giorni tutti i miracoli presenti nelle pieghe del decreto e tutti gli imbrogli. Di certo, il primo miracolo è che il decreto ha regato un po’ di vita al Governo, e non è detto, sia chiaro, che sia un male. Anzi. Ma sull’altare della stabilità necessaria non si può sacrificare tutto, persino la decenza. Mi riferisco al fatto che tra le voci a copertura dell’abolizione della prima rata Imu ci siano 700 milioni (esattamente, dice il Tesoro, una cifra tra “i 600 e gli 800 milioni di euro”) per una sanatoria prevista ai concessionari delle slot machine. Vediamo nel dettaglio.La vicenda della multa ai conessionari delle slot machine risale al maggio 2007, quando la Procura regionale del Lazio della Corte dei Conti fece recapitare le richiste di risarcimento per danno erariale chidendo un rimborso di 98 miliardi di euro. Un’indagine della Guardia di Finanza aveva appurato il mancato collegamento di numerosissime slot alla rete gestita da Sogei (società di Information and Communication Technology del Ministero dell’Economia e delle Finanze che tiene traccia delle giocate) in un periodo di tempo che andava dal settembre 2004 al gennaio 2007.
Il procedimento dinanzi alla Corte dei Conti arrivò poi a sentenza (17 febbraio del 2012) con una condanna a dieci concessionari al pagamento di 2,5 miliardi, cioè l’80% dell’aggio per il “servizio” (sic) prestato dai concessionari per il periodo 2004-2007. Una sentenza che può sembrare scandalosa solo a chi non sa che nel frattempo tra concessionari e Monopoli (ente dello Stato) si era sottoscritto un accordo per il riconteggio della multa che riduceva la stessa dai 98 miliardi a 70milioni!
Naturalmente contro la sentenza della Corte dei Conti i concessionari hanno proposto appello che sarà discusso presumibilmente entro il 2014. Da qui l’ideona del Governo Letta che in base a una norma della Finanziaria 2006, propone ai concessionari di chiudere il contenzioso versando il 30% dell’importo della multa (circa 740 milioni). Insomma far cassa subito rinunciando ad almeno il 70% del dovuto.
Tra i conessionari, che non è detto che aderiscano alla proposta, Bplus, la società di Francesco Corallo, indagato, che invece degli 845 milioni previssti dalla condanna dovrebbe così allo Stato una cifra intorno ai 200 milioni. Sanzioni ridotte anche per gli altri operatori, tra cui Gogetch (da 255 milioni a 76 mln), Sisal slot (da 245 a 70), Snai (sconto di 50 mln), Lottomatica (sconto di 30), ect.
Resta da aggiungere che proprio ieri, Massimo Passamonti Presidente  Confindustria Sistema Gioco Italia, ha alzato la voce contro le ipotesi di innalzare il Preu (Prelievo erariali unico) su New Slot e Video lottery (aliquota attuale del 12,7%)  e per le Vlt. aliquota attuale, e scandalosa, del 5%.
Ecco, fare probabile cassa, sulla pelle degli italiani e calpestando ogni idea di legittimitò (non legalità) delle norme di uno Stato non si fa, non si può fare.
La legalità (la proposta del Governo Letta è legale perchè usa una norma dello Stato e di una vecchia Finanziaria) quando non si declina con la giustizia è solo l’accordo tra una banda di ladri più forte e istituzionalizzata di altre.
Ecco tutto
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UN' ESTATE ALL'ITALIANA di Alessandro Antonelli, Glialtrionline.it


Ci sono gli imbecilli dell’orangotango, dei piccoli dementi e un’aquila reale che con tutta evidenza non è Calderoli.
C’è il matto, il “loco”, il Presidente. Non manca più nessuno, si vedono persino i due liocorni, eppure l’arca dell’estate politica continua a imbarcare fauna, flora, annessi e connessi: i falchi e le colombe, i mammasantissima e i peones.
Toh chi si rivede, la legge elettorale! È un solo un abbaglio, c’è la spinosa questione della vicepresidenza della Camera: “giusto o no darla a Santanchè?” si chiede attonito il mondo in preda a golpe e catastrofi.
Kazaki amari per Alfano, che non molla nessuno dei tre troni. Ma ecco ci siamo: processo Mediaset, ultimo grado prima di Porta a Porta. Occhi puntati sulla (tele)camera di consiglio: escono non escono, buon segno cattivo segno, Napolitano e Coppi. Arriva la sentenza, l’esercito di Silvio esulta, poi capisce. Boom.
Briatore certifica la rottura della pace sociale mentre un cameriere in livrea gli passa davanti alle lenti azzurrate. Bondi recepisce il messaggio e dall’alto del suo carisma ordina la guerra civile, Boldi non recepisce e se ne va coi Cinque Stelle. Cicchitto ha l’elmetto delle grandi occasioni, è dai tempi del Psi che è pronto alla pugna. Mussolini mette la maschera di Pulcinella e in aula fa la parodia del giudice Esposito, mentre il Pd (che bello il Pd…) promette un’altra generosa spaccatura al suo interno: se il Cav decade, Letta cade. E allora i pezzi, gli scontri, le psicosi, le scissioni, le auto-interdizioni. Le direzioni: Renzi vado non vado, mi si nota di più se mi candido o se non mi candido? Le 95 tesi del Nazareno, le dodici fatiche di Epifani, le nove ipotesi di Saccomanni: dai l’Imu, togli l’Imu, alla fine a pagare è solo Idem.
I cento anni di Priebke, la morte di Ersilio Tonini e la sintesi affilata di tutta una vita nell’occhiello di Repubblica: “condannò l’editto bulgaro”. Sotto le news del Corriere, nel frattempo, spuntano gli stati d’animo dei lettori e quasi sempre ci si diverte al 52%. Pure quando passa la legge sul femminicidio: se mi tocchi ti querelo, se querelo non cancello.
Papa Francesco fa il pienone sulla spiaggia di Rio, in aereo apre ai giornalisti e ai gay: i primi si fidano, i secondi no.
Il governo vara il decreto del fare baciare lettera testamento e come per incanto lo spread si abbassa e la disoccupazione si alza.
Silvio risorge, comizia sotto casa, rinasce Forza Italia, sventolano le vecchie bandiere e quelle, orgogliose, del Mir di Samorì. Sotto le ascelle degli sventolatori il segno inconfondibile della canicola romana. In grisaglia, inappuntabile, sta invece Mentana: le dirette de La7, gli speciali de La7, lo share che aumenta 7 volte 7.
Letta comincia ad abbronzarsi: è pronto per il meeting di Rimini dall’umile titolo “emergenza uomo”. In Cl sale Lupi, scende Formigoni; Rotondi approfitta delle ferie dei colleghi, svetta sulla massa e rilascia interviste di dieci minuti. Boldrini rimpiazza le pin-up nelle fantasie dei camionisti. Casini fiuta l’ora grave del Paese e scodella un’irresistibile ricetta anticrisi: convergenze in nome del Ppe. Anche il Pd fiuta qualcosa e indovina il nemico: via il Monopoli dalle strenne di Natale.
Mubarak esce dal carcere, la nipote – quella finta – invece rischia grosso.
Nessuno per le strade, solo i radicali.
P.S. :

Le tasse, Silvio e le rane di Galvani Di ilsimplicissimus


letta-governo-fini-e-mezziMentre infuria la trattativa per salvare Berlusconi e il ceto politico esprime il meglio del suo repertorio grottesco nel cercare di rendere la giustizia diseguale , si salvano però innanzitutto  le volontà dettate dell’ex cavaliere e si varano tasse che colpiscono tutti in maniera indiscriminata e in modo più pesante pur di cancellare l’Imu.
Chi ha poco continuerà a pagare per chi ha molto perché ormai, anche se non ce ne siamo accorti con la lucidità necessaria, i vincoli di bilancio a cui ci siamo inchiodati e la struttura per caste del modello italiano, assieme all’ideologia liberista che ha fatto da mentore ai primi e da alibi alla seconda, mettono in conflitto la governabilità e l’equità. Così il governo Letta sparacchia tasse come un motore ingolfato o un pistolero rimbambito facendo la parodia di un un esecutivo balneare democristiano, ma dando anche la sensazione di vivere alla giornata dentro uno Stato che ormai pensa soltanto a cercare di mettere assieme i conti, senza nemmeno fermarsi a riflettere sul senso della sua azione e delle conseguenze su un Paese ormai in caduta libera. La maggioranza dell’inciucio come suprema espressione politica non riesce a fare altro che mettere qualche unguento retorico sulle piaghe degli zoccoli duri dei propri elettorati.
E’ uno spettacolo miserabile e torbido che rappresenta un ideale terreno di caccia per i potentati e le camarille, che strizza l’occhio ad ogni senso di irresponsabilità e menefreghismo, come dimostrano le aziende che sbaraccano di notte, che continua a tutelare i vizi (compreso persino quello del fumo), l’egotismo, la dispersione delle risorse, la svendita di beni, la natura ricattatoria dei rapporti. E una governabilità difesa con i denti, ma che trasmette tutto il senso della sua episodicità, inconsistenza, ingiustizia riuscendo perciò ad essere tiranna verso i più deboli e serva discinta per i più forti. Una situazione che paradossalmente viene esaltata dal nefasto e vomitevole conformismo della concordia, peraltro tipico non delle democrazie, ma dei regimi autoritari.
Chiunque capirebbe che questa governabilità è l’ultima cosa che davvero serve a questo Paese, che in realtà si tratta di un lenzuolo funebre intessuto di rinvii, incertezze e soprattutto menzogne, spezzato da demagogie autistiche, segnato dalla straordinaria incapacità progettuale che del resto è all’origine della sua nascita. Che si muove come le zampe della rane di Galvani, quando è attraversata dalla corrente della vicenda Berlusconi con le sue grossolane supercazzole o dagli scuotimenti di un Paese vicino al disastro. Si direbbe una governabilità da coglioni, se i coglioni non fossimo noi che ci rassegniamo a tutto questo.

PD, Partito di merda, di Leonardo Caponi, Umbrialeft

Chiedo scusa se, una volta tanto, prendo in prestito un’espressione triviale, ma ricorrente. Oggi è di moda scrivere e parlare così (dicono che è più “diretto”) e, comunque, nessuno dei dirigenti avrà l’amor proprio di inalberarsi a difesa del Pd. Il loro non è un partito; e loro non sono un gruppo dirigente, ma un’accozzaglia di persone, ciascuna delle quali pensa, dice e fa una cosa diversa dalle altre. La loro specialità è quella di riuscire a trasformare situazioni di vantaggio politico in sconfitte clamorose. Ora si apprestano alla nuova straordinaria impresa di resuscitare, per l’ennesima volta, Berlusconi. Logica vorrebbe che, in un argomento tanto delicato, la parola del segretario dovrebbe valere per tutti. Invece no, dopo il segretario e spesso in contrasto con lui, arriva il coro delle comari degli altri dirigenti.
Accade così che, ogni volta che Berlusconi è in difficoltà, giunge da parte di qualcuno di loro una ciambella di salvataggio. L’ultimo, sull’applicazione della legge Severino, è stato Violante, che era stato preceduto da Veltroni. Sostenere che la legge Severino non sia chiara, anzi chiarissima, è un’impresa impossibile. Sostenere la sua incostituzionalità è una cosa infondata e strumentale. Se lo fosse sarebbero, ad esempio, incostituzionali tutte le misure riduttive della ampiezza della immunità parlamentare che sono state via via adottate e sulle quali nessuno ha eccepito niente. Eppure, a parte i più sbracati soccorritori di Berlusconi come Violante, è il partito nel suo complesso ad apparire debole, incerto, succube dell’attacco dell’avversario. E così, nel nostro povero Paese (negli altri Berlusconi sarebbe in galera), si verifica l’altro straordinario miracolo in base al quale coloro, Berlusconi appunto e il Pdl, che dovrebbero tacere, chiedere scusa agli italiani, nascondersi per la vergogna di essere lestofanti e truffatori, possono dominare il dibattito politico, presentarsi nelle vesti di vittime e parti lese e continuare nell’opera di demolizione di quel poco che rimane di cultura istituzionale e coesione tra istituzioni dello Stato. Roba da matti!
Questa tesi (presumo che al Pd si giustifichino così) in base alla quale Berlusconi è un condannato, ma rappresenta comunque milioni di italiani, che forse poteva avere un senso in passato, è oggi una scusa, sbagliata e perdente. Berlusconi si è indebolito, la sua stella si è di molto offuscata anche agli occhi di quella piccola borghesia individualista che egli ha a lungo blandito nei suoi peggiori istinti. Sarebbe da vedere quanti di questi (e dei dirigenti che ora gli giurano fedeltà) , di fronte ad una offensiva decisa del fronte democratico, lo seguirebbero in avventure ricattatorie ed elettorali. Perché il Pd non lo sfida con sagacia e determinazione? Perché, può perdere?! Certo; ma, se gli italiani vogliono Berlusconi, è giusto che se lo tengano!; e sarà comunque stata scelta una strada di chiarezza che eviterà alla sinistra di ingrossare le file del movimento 5 stelle!
L’altro elemento giustificativo della tiepidezza del Pd sulla condanna di Berlusconi è la “difesa del quadro politico”, cioè il mantenimento del governo Letta: e qui siamo davvero, se possibile, ad un livello più basso del primo. Si fanno ingioiare al popolo della sinistra rospi grandi come le case e (ciò che più conta) si mette a repentaglio la tenuta democratica del Paese, per tenere in vita un governo che l’unica cosa che dimostra di saper fare è rinviare le decisioni in attesa di una (ipotetica) ripresa spontanea dell’economia internazionale.
Questa vicenda dell’abolizione dell’imu è allucinante e, anche, per certi versi spudorata. L’imu non è abolita. Sarà sostituita, il prossimo anno, da un’altra tassa, con un altro nome, presumibilmente, guardando a quanto accaduto in passato, più alta della precedente. E, ciliegina nella torta!, quello che si risparmia quest’anno, sarà compensato da un aumento delle imposte indirette, iva o altre. Conclusione (“tragica” per la sinistra!): un regalo ai ricchi (si sostituiscono imposte dirette con quelle indirette), un regalo a Berlusconi, in termini di successo personale e della sua politica!
Il pensiero (machiavellico, ma neanche tanto!) che egli in questo modo non potrà fare la crisi di governo, non solo è del tutto politicista, ma anche un calcolo sbagliato. La misura illusoria sull’imu potrà infatti essere tenuta in vita con la reiterazione del decreto e il “successo” del Pdl sarà indifferente alla eventuale scomparsa del governo.
Povera Italia, se non si costruisce una alternativa a questo modo di modo di intendere e fare la politica! Ci vuole una nuova, “grande”, forza della sinistra. La si potrà costruire però, si badi bene, non con estremistiche illusioni, ma con determinazione e “furbizia”, misurando, di volta in volta, i reali rapporti di forza.

Con eliminazione dell'Imu i ricchi ridono. La restaurazione proprietaria di Paolo Berdini, Il Manifesto




I principi di equità e di solidarietà sociale sono alla base della nostra Costituzione. Lo stesso governo «dei professori» li aveva citati tra i suoi obiettivi: non ci credeva affatto - si è visto dai provvedimenti approvati - ma almeno formalmente si poneva all'interno di quella cultura. Con la cancellazione dell'Imu per tutti i proprietari di prime case, il governo Letta rompe l'ultimo tabù: si governa per rafforzare e perpetuare disuguaglianze e privilegi.

Con la riforma dell'Imu i proprietari di un solo alloggio di 80 metri quadrati di categoria catastale usuale, risparmieranno 4-500 euro all'anno. Quelli di 4 o 500 metri quadrati di maggior pregio ne risparmieranno 10-15 mila. Ma non basta! I grandi costruttori non pagheranno l'Imu 2013 e 2014 per il gigantesco numero di alloggi invenduti che popolano le desolate periferie urbane. Un regalo misurabile in decine di milioni di euro. Soldi con cui si possono acquistare o potenziare giornali (Caltagirone e Bonifaci - Messaggero e Tempo - ne sono il più noto esempio) utili a cantare le lodi al governo di turno. O ad aiutare nelle strepitose rimonte berlusconiane in campagna elettorale. Sociologi ed economisti di ogni corrente di pensiero concordano nell'affermare che il ventennio che abbiamo alle spalle è quello in cui si sono prodotte le più impressionanti differenze sociali a tutto vantaggio dei ceti benestanti. Il governo Letta ha aumentato la forbice.

Ma oltre ai numeri contano ancora di più i fatti simbolici e strutturali. L'Italia, come paventava La voce.info, è diventata l'unico paese sviluppato a non tassare la proprietà edilizia. Sono soggette a Imu soltanto le abitazioni di lusso: in tutto 73 mila immobili su 20 milioni di alloggi. Tutti gli altri sono stati equiparati e azzerati alla faccia della Costituzione. Tanto è vero che nascerà la «service tax», un'imposta legata all'erogazione dei servizi urbani che verrà pagata in gran parte dagli inquilini invece dei proprietari com'era con l'Imu.

In buona sostanza con la novità introdotta i proprietari di una sola abitazione perderanno immediatamente i benefici della cancellazione dell'Imu, mentre gli inquilini vedranno crescere notevolmente il prelievo fiscale. Un altro regalo alla rendita immobiliare. Un altro colpo micidiale all'equità.

Non stupisce dunque la felicità del centro destra. Ha cancellato il principio fondante della progressività della tassazione, chiudendo con un suggello impensabile il ventennio della restaurazione proprietaria. Stupisce invece la serafica indifferenza del primo ministro Letta che sembra non aver colto la rilevanza di questo micidiale colpo. Eppure dovrebbe essere culturalmente erede di quel Fiorentino Sullo che aveva compreso cinquant'anni fa - pagando un prezzo personale pesantissimo - che il nodo scorsoio che strangola l'Italia è il dominio della rendita speculativa. Evidentemente i cattolici «democratici» alla Letta non appartengono a questo importante filone di pensiero. Ma stupisce di più la sconcertante sudditanza dell'intero Pd che ha messo sullo stesso piatto della bilancia 500 milioni per la cassa integrazione, che dovevano essere comunque trovati se non si volevano acuire le tensioni sociali del prossimo autunno caratterizzato dalla crescente disoccupazione, con la cancellazione di uno dei pilastri che reggeva lo stato.
Il trionfo di Berlusconi sta qui, nell'aver lasciato senza rappresentanza i due terzi della popolazione italiana. Una ristretta élite sociale governa per interposta persona e continua a colpire ciecamente le classi più sfavorite. Può contare su una maggioranza dei due terzi del parlamento cui impone ogni tipo di provvedimento legislativo: articoli come quelli approvati ieri l'altro sono scritti da chi conosce alla perfezione i meccanismi, come ad esempio l'ufficio studi dei costruttori.

Ridare voce e rappresentanza a questa Italia senza più fiducia è il compito sempre più urgente che ha la sinistra in cui crediamo. La proposta di Micro Mega ripresa da Pierfranco Pellizzetti mercoledì su queste pagine di lavorare per un governo di «legalità repubblicana» formato da personalità impermeabili alle pressioni delle lobby, è l'unica strada per ridare speranza al paese.
Siamo la nazione che cresce di meno perché siamo in perenne ostaggio di una rendita parassitaria che non ci permette di diventare un paese realmente libero e moderno. Non ci si può meravigliare se mancano investimenti stranieri. O se molti imprenditori non investano nei comparti produttivi: meglio giocare all'eterna tombola della speculazione immobiliare improduttiva e intascare plusvalenze gigantesche. Il trucco funziona sempre, anche grazie al governo Letta.

La sinistra e il tabù dell’uscita dall’euro di Enrico Grazzini, Micromega

Finalmente una testata autorevole per la sinistra europea come Le Monde Diplomatique ha pubblicato in prima pagina un lungo e argomentato articolo titolato “Uscire dall'euro? Contro un'austerità perpetua” . L'articolo rompe un tabù: finora “solo” gli economisti anglosassoni, qualche isolato economista europeo e italiano considerato originale e strambo , e qualche formazione estremista, soprattutto di destra, hanno osato parlare della possibilità di uscire dall'euro. Finalmente, grazie all'autorevolezza riconosciuta della testata francese (certamente non estremista), dovrebbe essere possibile avviare anche in Italia un dibattito critico e approfondito sull'euro e sull'Unione Europea, senza illusioni romantiche sul radioso avvenire dell'Europa, senza subalternità ideologiche e senza censure. Gran parte della sinistra italiana, sia quella tradizionale che quella cosiddetta radicale e alternativa, finora ha chiuso occhi, orecchie e bocca sulla moneta unica europea: ma la sinistra dovrebbe cominciare a ripensare radicalmente l'euro e riconoscere che l'Unione Europea ha cambiato natura genetica rispetto agli ideali originari .

La sinistra finora ha ignorato la drammaticità del problema della moneta unica. Ma non dovrebbe assolutamente lasciare alla destra fascisteggiante, reazionaria e sciovinista il monopolio della protesta sulla questione scottante dell'euro e della sovranità nazionale. Sollevare il problema dell'euro tedesco non dovrebbe essere considerato sintomo di bieco nazionalismo: la sinistra dovrebbe invece affrontare con coraggio il problema se non vuole che il populismo di destra – alla Le Pen, alla Berlusconi o alla Bossi, che sono molto critici verso l'euro e la UE – si affermi facilmente presso le fasce popolari. Anche perché ormai, come vedremo, i sondaggi indicano che l'euro e l'Unione Europea sono visti dall'opinione pubblica certamente più come un problema che come una soluzione.

La sinistra dovrebbe addirittura spingersi a proporre un referendum sulle drammatiche questioni dell'euro e del fiscal compact. Questa proposta non dovrebbe essere tacciata pregiudizialmente di populismo. Al di là dei risultati del voto popolare, avrebbe comunque il merito di rilanciare la discussione su due problemi fondamentali: l'euro a direzione tedesca e la sovranità nazionale come forma basilare e irrinunciabile di democrazia. Una consultazione pubblica a livello nazionale è difficile da realizzare ma sarebbe salutare. Infatti è indubbio che allo stato attuale i popoli dell'Europa si possano esprimere democraticamente solo a livello nazionale. Il popolo europeo non esiste ancora come popolo sovrano, è troppo diviso e frammentato in lingue, culture, situazioni e aspirazioni diverse per riuscire a esprimersi democraticamente. Il popolo dell'Europa non è neppure rappresentato dalle istituzioni europee che sono fondamentalmente interstatali - a parte il Parlamento Europeo, che però, pur essendo eletto, ha pochissimi poteri -. Referendum sulle questioni europee e sull'euro sono stati tenuti in paesi come Francia, Olanda, Danimarca, Svezia e Irlanda. Perché allora non avviare anche in Italia un ampio dibattito e cercare il voto popolare su una questione centrale che impatta drammaticamente la vita dei cittadini? I popoli sono spesso più saggi dei politici e non si dovrebbe avere timore della democrazia.

Non facciamoci illusioni. La crisi dell'euro e quindi dell'Unione Europea continuerà e probabilmente precipiterà. Purtroppo non stiamo uscendo dalla crisi, come afferma il governo Letta. Ha ragione Le Monde Diplomatique quando afferma che l'euro genera un'austerità senza fine, e che è quasi certo che, comunque vada, la moneta unica cesserà di esistere. La scienza economica non è una scienza esatta e il futuro è intrinsecamente imprevedibile. Tutte le previsioni sono degli azzardi. Ma l'euro così come è attualmente è insostenibile e irriformabile semplicemente perché la Bundesbank e la politica tedesca non vogliono riformarlo. Molte persone colte e competenti possono suggerire alla Germania che cosa dovrebbe fare per superare l'austerità e rinvigorire l'Europa : ma è inutile perché i governanti tedeschi non hanno la volontà e l'interesse a seguire i consigli altrui. L'alternativa reale sembra questa: o la speculazione internazionale romperà l'eurozona e provocherà il caos, o i paesi dell'eurozona concorderanno in qualche maniera la rottura della moneta unica per salvare almeno parzialmente l'Unione Europea . Le Monde propone realisticamente di “fare un passo indietro” e di passare dalla moneta unica a una “moneta comune” concordata, che permetta però valute nazionali autonome. Ma al di là della questione cruciale di come uscire dalla camicia di forza della moneta unica, il problema dell'euro non è solo economico e tecnico, ma anche e soprattutto politico, democratico, istituzionale, e riguarda direttamente il presente e il futuro dell'Unione Europea.


La morte dell'Europa democratica e federale

Quasi certamente gli storici ricorderanno questo periodo come quello della morte dell'idea nobile dell'Europa come unione volontaria e paritaria degli stati in una entità solidale, federata, democratica e cooperativa. L'Unione Europea sta agonizzando e ha modificato il suo DNA proprio con la nascita dell'euro. Gli italiani erano tra i più entusiasti dell'Unione Europea, la consideravano come un progresso democratico, come un passo verso la modernità e come fattore di sviluppo. L'Unione Europea oggi appare piuttosto come il duro e autoritario guardiano sovranazionale dei “compiti” che ogni Stato deve fare “a casa” per abbattere il welfare e fare regredire il benessere popolare. Non è più possibile nutrire illusioni romantiche: esiste ormai un abisso incolmabile tra le idee del Manifesto di Ventotene, gli sforzi di De Gasperi, Adenauer e Shuman per costruire una Europa unita e pacifica, e l'Unione Europea attuale. I trattati e i vincoli europei, a partire dal trattato di Maastricht (definito “stupido” da Romano Prodi) e quello di Lisbona, delineano una Unione Europea ultraliberista e autoritaria. Il ritornello della campagna elettorale di Angela Merkel è questo: “l'Europa il 7% degli abitanti nel mondo, il 25% del prodotto totale il 50% delle spese per il welfare: non possiamo più permettercelo” e quindi ogni Stato deve fare i “compiti a casa” per ridurre la spesa sociale e aumentare la produttività. In questo contesto e in base a questa ideologia di centrodestra, l'Unione Europea è diventato il ragioniere che controlla la riduzione dei bilanci sociali dei singoli stati, e il poliziotto vigile che cura lo svolgimento dei “compiti a casa” indipendentemente dalla volontà popolare, e anzi contro la volontà popolare. Dopo i diktat, le sanzioni e le multe sono dietro l'angolo.


Il risveglio della potenza tedesca e l'egemonia sull'Europa

Spesso l'Europa è stata accusata di essere l'Europa dei banchieri e delle banche: ma questa accusa non è più vera. E' superata dalla realtà, e in peggio. La UE è l'Europa delle banche e della finanza tedesca e degli altri paesi creditori del Nord Europa, come Olanda e Finlandia, che guadagnano dalla crisi europea. Sulla volontà egemonica tedesca sull'Europa vale la spiegazione data (e riportata da questo sito) da Marco D'Eramo . Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, la Germania sta uscendo prepotentemente dalla subalternità e, grazie al successo della sua unificazione, pretende il suo posto preminente in Europa e nel mondo globale. Vuole affermare la sua potenza e la sua autonomia. Non a caso, contrariamente ad altre potenze occidentali, ha deciso, per esempio, di non partecipare alle azioni militari in Libia e in Siria.

Le Monde indica che l'euro – così come è stato costruito secondo i dettami della Germania socialista di Schroeder e della democristiana Merkel – contrasta la sovranità dei popoli e dei singoli stati. E' in gioco niente di meno che la sovranità nazionale dal momento che la politica monetaria è decisa dalla Banca Centrale Europea e che anche la politica fiscale dei singoli stati è dettata dalla Germania e da trattati intergovernativi capestro, come quello del fiscal compact che produrrà effetti disastrosi (impone infatti una rapidissima e automatica riduzione delle spese pubbliche anche nei periodi di crisi, strozzando l'economia e il welfare ). Non è esagerato affermare che l'Unione Europea è diventata il gestore del neocolonialismo finanziario a guida tedesca. E come tutte le forme neocoloniali, la UE opprime gli stati subalterni, li rende servili, impedisce la loro crescita e schiaccia le classi popolari e i ceti medi. Per i popoli europei diventa impossibile decidere democraticamente e con un minimo di autonomia il proprio destino.

Il vero e grave limite della politica tedesca di austerità consiste però nel fatto che è talmente rigida, assurda e controproducente da diventare insostenibile. Secondo la maggioranza degli economisti anglosassoni è difficile che l'euro possa resistere: la politica di austerità alimenta la crisi e divarica drammaticamente le nazioni europee, già così differenti dal punto di vista economico, sociale e politico. Per la Merkel tutti gli stati europei dovrebbero essere più produttivi, più competitivi, ottenere surplus commerciali per ridurre i debiti esteri e raggiungere il pareggio del bilancio pubblico, proprio come fa la Germania. Ma il modello mercantilista tedesco fondato sull'abnorme surplus dell'export non può essere trasferito a tutti i paesi europei. E' insostenibile. Il tentativo vero della Merkel è probabilmente di indebolire e subordinare gradualmente gli altri paesi UE senza però farli crollare del tutto, fino a dominare di fatto l'economia europea: ma questo gioco è estremamente pericoloso e incerto, ed è probabile che si riveli impraticabile.


L'insostenibilità del modello tedesco e la proposta di Le Monde Diplomatique

Per salvarsi, alcune economie indebitate e in deficit commerciale, meno produttive, dovrebbero svalutare, mentre la Germania dovrebbe rivalutare in maniera tale da contenere il suo avanzo commerciale con gli altri paesi europei. La proposta di Le Monde è che gli stati europei concordino di passare da una moneta unica a un sistema di cambi fissi intraeuropei: l'euro rimarrebbe però come moneta comune sui mercati internazionali di fronte al dollaro e alle altre valute extraeuropee. Il punto debole di questo piano è che appare troppo razionale per essere applicato nel contesto dell'attuale egemonia finanziaria tedesca. È più probabile che la Germania continui a gestire la crisi per tentare di raggiungere il dominio economico, e che però alla fine il tentativo fallisca e porti alla rottura incontrollata dell'euro. Le incognite per il mantenimento dell'euro attuale sono troppo numerose: il risultato delle elezioni tedesche; la sentenza della Corte Costituzionale tedesca; la ripresa della speculazione internazionale conseguente alla stretta prevista della Federal Reserve; la crescita dei debiti dei paesi del sud Europa; il possibile fallimento di qualche banca europea. Inoltre nuovi movimenti politici (di destra o di sinistra) potrebbero scatenarsi contro il fiscale compact, la riduzione drastica del welfare e le imposizioni autoritarie della UE. In effetti la costruzione di questa Europa ultra-autoritaria a guida tedesca si dimostra sempre più complessa e sempre più improbabile. Gli stati litigano già sul bilancio europeo e riducono i finanziamenti alla UE; in Germania l'opinione pubblica considera lazzaroni e sfaticati i paesi del sud Europa; la Gran Bretagna medita di uscire dalla UE; la Spagna ha perfino iniziato a lottare contro i resti dell'impero britannico a Gibilterra, mentre la Grecia reclama il pagamento dei debiti di guerra al governo tedesco. La solidarietà europea sta cedendo di fronte alla competizione generata dall'euro a guida tedesca. E la Merkel non vorrà mai una Europa federata che metta a rischio l'autonomia e l'egemonia tedesca. Non a caso la Germania opera soprattutto attraverso trattati intergovernativi al di fuori della UE. Il fiscal compact è un trattato intergovernativo e il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), detto anche Fondo salva-stati, è stabilito da un accordo tra governi.


L'Europa senza consenso popolare

Si sta costruendo un'Europa senza consenso popolare. L'opinione pubblica europea è sempre più contraria a questa Europa e a questo euro. Lo dimostrano i risultati della rilevazione compiuta a livello europeo da parte dell'autorevole e neutrale Pew Research Center condotta nel maggio 2013 e significativamente intitolata: “Il nuovo malato d'Europa: l'Unione Europea stessa” . Secondo questa indagine la fiducia verso la UE è al punto più basso dalla sua creazione. La UE è vista con favore da meno della metà della popolazione europea, cioè dal 45% del totale (rispetto al 60% del 2012). In Grecia solo il 33% è favorevole alla UE, in Francia e in Gran Bretagna solo il 41-43%, in Spagna il 46%. Solamente in Germania (60%) e in Italia (58%) resiste un'opinione pubblica maggioritaria favorevole alla UE. Tuttavia la fiducia verso la UE sta crollando a causa della crisi economica: dal 2007 al 2013 il sentimento positivo verso lo stato dell'economia è sceso di 61 punti in Spagna, 54 in Gran Bretagna, 22 in Italia, 21 in Francia e nella Repubblica Ceca. Le divaricazioni aumentano. Tutte le nazioni europee meno la Germania vedono nell'occupazione il problema principale. Secondo l'opinione pubblica di tutti i paesi europei, meno la Germania, i politici nazionali gestiscono male l'Unione Europea. La crisi economica sta “creando forze centrifughe che dividono l'opinione pubblica europea, separando in particolare la Germania da tutti gli altri paesi europei”, in particolare dai francesi e dai paesi del sud Europa. Solo l'1% dei Greci, il 3% degli italiani e il 9% dei francesi sono soddisfatti della situazione economica attuale, contro il 75% dei tedeschi. Il 60% degli europei (e il 90% dei francesi) pensa che i figli staranno peggio dei padri. Il 77% crede che questo sistema favorisca solo i ricchi. L'85% ritiene che il gap tra i ricchi e poveri sia aumentato negli ultimi cinque anni, e il 66% pensa che questo gap costituisca un grave problema.

In Grecia il 78% ritiene che l'appartenenza alla UE abbia indebolito l'economia: la pensano allo stesso modo il 75% degli italiani e il 60% degli spagnoli. La maggioranza guarda sfavorevolmente a Bruxelles e ad una maggiore integrazione europea. A dispetto della crisi e delle disillusioni su Bruxelles e l'Unione Europea, il 69% dei greci, il 67% degli spagnoli, il 66% dei tedeschi, il 64% degli italiani e dei francesi vogliono però mantenere l'euro. Forse l'euro viene percepito come un male ormai irreversibile e l'uscita è considerata più dannosa che benefica. Comunque i sondaggi parlano chiaro: l'Europa è deludente ed è un problema in cerca di soluzione.

Ovviamente non si tratta di decidere le proprie politiche in base ai sondaggi, ma di prendere atto che il sentimento popolare verso l'Europa sta rapidamente e radicalmente cambiando, e di tenere conto della percezione negativa della UE. Spesso l'opinione pubblica è più ragionevole e critica dei politici, degli economisti e dei tecnocrati. Non si tratta evidentemente di rinunciare all'Europa unita e di essere “meno europeisti”: si tratta invece di prendere finalmente atto della realtà politica attuale, senza illusioni e idee preconcette.


Opporsi a questa Europa per un'altra Europa possibile

Occorre contrastare questo euro fallimentare e la passiva subalternità dei governi italiani (e del centrosinistra) alle politiche tedesche ed europee. Si tratta di denunciare il fiscal compact e questa Europa autoritaria e neocoloniale, di prepararsi alla rottura della moneta unica, e di ritornare all'idea originaria di una Europa democratica e cooperativa. Bisogna iniziare una battaglia culturale e politica per modificare sostanzialmente i trattati esistenti e costruire un'altra Europa. Un'Europa in cui le sovranità nazionali non vengano schiacciate, un'Europa magari con un euro comune ma (come suggerisce Le Monde) anche con monete nazionali il cui valore sia concordato. E' auspicabile una Europa non presidenziale ma in cui il Parlamento – magari con due camere, una eletta dal popolo, l'altra rappresentativa degli stati membri – conti davvero e generi un governo condiviso senza gerarchie schiaccianti tra gli stati. Occorreranno certamente più tempo e maggiori sforzi per costruire l'Europa dei popoli: ma è questa l'Europa che vogliamo.