domenica 9 marzo 2014

Abbagli democratici


abbagli democraticidi Nicola Melloni - Negli ultimi anni, un po’ in tutto il mondo, sono tornati alla ribalta movimenti popolari che puntano, a volte con successo, a volte meno, a rovesciare tiranni, regimi, e governi. La stampa occidentale – insieme a gran parte dei politologi e dell’establishment – ha subito cercato di trovare una matrice comune, rievocando immediatamente l’89 e la scomparsa dei regimi socialisti. Il sottinteso è che un po’ ovunque i popoli oppressi, presto o tardi, si ribellano, e che la democrazia – quella occidentale, ovviamente – è un ideale a cui tutti tendono. In pratica una rilegittimazione – per mano altrui – di un modello che l’attuale crisi economica sembra mettere in discussione.La realtà, però, è assai diversa da quel che traspare sui media. Un po’ per ignoranza e impreparazione, un po’ per interessi strategici e geopolitici, queste rivolte sono state descritte, appunto, come democratiche. Rivoluzioni, addirittura. Si tratta di ben altro.Per prima cosa, non è possibile generalizzare: l’Egitto è diverso dalla Libia, e la Siria dall’Ucraina, tanto per fare qualche esempio. L’unica genuina rivoluzione che abbiamo visto in questi anni è quella di Piazza Tahrir, al Cairo. In quel caso si trattava davvero di una massa di diseredati, di sconfitti di un trentennio di regime di Mubarak, uniti a quella parte dell’elite economica egiziana in difficoltà a seguito delle riforme economiche neoliberali che hanno aperto il mercato alle multinazionali occidentali. La richiesta di democrazia delle masse egiziane, però, aveva ben poco a che fare con la voglia di Occidente, come ci avevano fatto credere in un primo momento. Il regime dittatoriale di Mubarak è stato sostituito da un governo filo-islamico, democraticamente eletto. E quando questo è caduto sotto i colpi dei militari, non si sono sentiti, in Occidente, gli alti lai di sdegno dei difensori della democrazia. Quella, in fondo, va bene solo se serve i nostri interessi. La bandiera della libertà è stata però sventolata in Libia e Siria, due feroci dittature da sempre non ben viste in Occidente. Peccato che, in questo caso, le rivolte non avessero nulla, o quasi, di democratico, trattandosi in realtà di scontri intestini tra diverse fazioni. In Libia, quella che era a tutti gli effetti una lotta di clan rivali, si è risolta, grazie all’intervento Occidentale, con la caduta del regime di Gheddafi, seguita però non certo da una svolta democratica quanto piuttosto dalla fine dello stato libico, al momento dominato da una guerra per bande, in una situazione totalmente anarchica. In Siria, dove si era provato a seguire una linea simile a quella libica, con tanto di intervento anglo-francese-americano, ci si è poi resi conto che i ribelli anti-Assad erano egemonizzati da gruppi di estremisti islamici. E dopo due anni di propaganda pro-democratica, la Siria è sparita da quasi tutti i media. In Ucraina ed in Venezuela, poi, la situazione è completamente diversa. Se in Medio-Oriente la lotta della piazza era comunque contro regimi dittatoriali, i leader di Ucraina e Venezuela son stati democraticamente eletti. Sì, democraticamente: a Kiev le elezioni furono giudicate dall’Ocse come democratiche, a Caracas, addirittura, l’ex presidente americano Jimmy Carter dichiarò che «il processo elettorale in Venezuela è il migliore del mondo». Nessuno nega i problemi dei due governi: quello ucraino, sicuramente corrotto e inetto; ed anche in Venezuela, dove, come in ogni paese in via di sviluppo, le fratture sociali sono spesso insanabili. In entrambi i casi, però, si tratta senza dubbio di governi e parlamenti eletti, e le rivolte di piazza tese a rovesciare il governo non possono certo essere definite democratiche. In entrambi i casi, però, ci fa comodo definirle in questo modo perché Maduro e Yanukovich hanno scelto politiche non accomodanti per l’Occidente. Nessuno, sia chiaro, mette in discussione la libertà di manifestare delle opposizioni. Bisogna però chiarire bene la situazione: a Kiev la piazza era dominata da gruppi paramilitari fascisteggianti che rifiutavano ogni compromesso per ribaltare, con la violenza, il governo eletto. Addirittura, come risulta da una telefonata intercettata tra il rappresentante europeo, Lady Ashton, e il ministro degli esteri estone, i cecchini che sparavano sulla folla – la pistola fumante contro Yanukovich – sarebbero stati membri dell’opposizione, incuranti di versare sangue pur di screditare il governo. Una notizia clamorosa, ma ignorata ad arte dai nostri giornali. In Venezuela, invece, la protesta dei cosiddetti studenti – in realtà giovani rampolli dell’alta borghesia, iscritti alle scuole private – è capeggiata da un golpista, già implicato in un precedente colpo di stato contro Chavez. Questi sono gli alfieri della democrazia occidentale, tanto osannati dalle nostre parti.No, non si tratta di rivolte democratiche, ed in fondo, a noi, nemmeno interessa più di tanto. L’importante è la caduta di regimi ostili all’Occidente. Se poi ci ritroveremo a fronteggiare nazionalisti ucraini e jihadisti siriani, poco male, l’orizzonte temporale della nostra politica estera svanisce ogni giorno al tramonto.

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