Chi mi conosce sa che mi ritengo un vecchio (neanche poi tanto)
marxista. Sono cioè convinto che l’umanità possa aspettarsi qualcosa di
meglio nel suo futuro di quello che sta vivendo attualmente. E che tale
attuale (sotto)sviluppo con i suoi enormi costi
sociali, umani ed ambientali, produce contraddizioni che prima o poi
porteranno al suo superamento e alla sua sostituzione con qualcosa di
meglio.
Assistendo però al triste spettacolo delle nostre classi
dominanti, viene a volte di pensare anche a me che magari ci fosse anche
in Italia un capitalismo serio, del
tipo, diciamo, di quello tedesco o anche statunitense. Siamo del resto
un Paese oramai sempre più periferico, all’interno di un’area regionale,
quella europea, che per effetto delle sue interne contraddizioni e
delle dissennate politiche, in primo luogo made in Germany, che vengono seguite, pare destinata a un declino rapido e inevitabile nel suo complesso.
Un fenomeno come Berlusconi, in effetti, può darsi solo in Italia. E non basterà la magistratura
a risolvere il problema, anche se oggi ci rallegriamo tutti del fatto
che continui a fare il suo indispensabile mestiere nonostante le
pressioni e i tentativi di condizionamento. Si tratta, in buona parte,
di difetti di origine, che non riguardano solo Berlusconi, che pure è il
caso più tipico e inquietante. E’ proverbiale la mancanza di cultura e di prospettive dei nostri “capitalisti”.
Come pure fenomeni fortemente, anche se non solo italiani, sono la forte presenza delle mafie, della corruzione, dell’evasione fiscale,
dell’abusivismo edilizio, delle lobby di ogni genere, dagli alti
burocrati ai politicanti (in genere inutili e sempre più tali) ai
professionisti d’alto bordo, a quelle più piccole, come i tassisti,
sulle quali di solito si appunta l’esecrazione generale dato che con i
grossi è meglio non prendersela, il coraggio non fa certo parte delle
virtù nazionali riconosciute.
Non esiste del resto, contrariamente a quanto pensano gli idealisti un po’ naif, un Idealtipo di capitalismo
cui commisurare quelli concretamente esistenti. Ogni capitalismo, con o
senza le virgolette, ha la sua storia, le sue determinanti economiche e
culturali. E’ il nostro, ahinoi, è contrassegnato prevalentemente, sia
pure con eccezioni importanti, da sconcertante pochezza culturale,
scarsa propensione all’innovazione, tendenza a infrangere le regole,
caparbia ostinazione nel far tornare i conti mediante lo sfruttamento
selvaggio, cui faceva almeno da argine fino a tempo fa la forza
dell’organizzazione sindacale, che però, per precise responsabilità
politiche di quella che fu la sinistra, vive oramai da più di trent’anni
una stagione non certo gloriosa.
Un’altra cosa che gli ingenui fans
del capitalismo puro e duro non capiranno mai è che questo nostro
capitalismo deteriore non è certo destinato a risanarsi o a migliorare
bagnandosi nelle acque limacciose della globalizzazione. Al contrario.
L’esaltazione del potere della finanza (anche e
soprattutto di quella mafiosa), la soppressione dello Stato sociale e
dei servizi sociali, la svendita dei beni pubblici, l’immiserimento dei
ceti subalterni sono tutti fenomeni che determinano inevitabilmente
l’incancrenimento delle peggiori caratteristiche del capitalismo
all’italiana dei magliari semianalfabeti.
La grande intuizione del governo Letta e di Giorgio Napolitano
è stata del resto quella di prendere atto di questa situazione,
adattandovi, in ottemperanza anche qui a precise richieste della finanza
internazionale, il quadro istituzionale. Rafforzare l’esecutivo,
depotenziare magistratura e diritti, anzitutto quelli sociali, farla
finita con le irraggiungibili chimere dell’eguaglianza e ridurre
definitivamente sessanta milioni di persone da cittadini ad individui
senza poteri. Cancellare definitivamente il popolo italiano
per salvare il “nostro” capitalismo da straccioni. Ecco il sogno di
Letta e l’obiettivo reale dell’operazione di snaturamento della
Costituzione che è in corso.
Non so se i partiti che sostengono
Letta e il suo disegno di affossamento della Costituzione repubblicana
ce la faranno. Sicuramente bisogna fare di tutto per contrastarlo ad
esempio firmando l’appello lanciato dal Fatto.
Quello
che certo però è che questo capitalismo all’italiana non è riformabile.
Non si deve quindi permettere che contagi con la sua nullità gli
ordinamenti giuridici dignitosi per i quali i nostri nonni e i nostri
padri hanno combattuto, dando a volte la vita. Nei momenti del bisogno,
talvolta, il popolo italiano ha dato contezza di sé sorprendendo gli
osservatori più imparziali. Occorre augurarsi che un momento del genere
si avvicini.
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