Di tutto quello che ho letto oggi la cosa più vergognosa non l’hanno
scritta né ‘il Giornale’ né ‘Libero’, ma il ‘Corriere della Sera’, nell’editoriale in prima pagina firmato Antonio Polito.
Un passaggio appena accennato, s’intende: secondo il quale «la
condanna di Berlusconi è un colpo molto duro non solo per lui, ma anche
per l’Italia e la sua immagine internazionale perché l’imputato è stato
per tre volte il capo del governo».
Si tratta di un rovesciamento logico agghiacciante, di quelli che fanno venire un po’ il sangue caldo.
Ieri l’Italia ha dimostrato, al contrario, di essere uno Stato di diritto: e proprio questa era la posta in gioco.
Uno Stato in cui la legge può essere uguale per tutti. Uno Stato in
cui ci sono giudici diversi (quindici, in tutto, fra Milano e Roma) che
non si sono fatti influenzare né dal governo, né dai partiti e nemmeno
dal Capo dello Stato: che si sa bene per quale sentenza tifasse.
Giudici che non si sono fatti spaventare dal ricatto a reti unificate
che andava in onda da mesi: la stabilità, la pacificazione, le reazioni
dei mercati!
E’ stato uno schifo, come hanno cercato di imbrogliare le carte, di
farci credere che il rispetto della legge dovesse passare in secondo
piano rispetto alle esigenze delle ‘larghe intese’. O che un cittadino
non poteva essere condannato perché ha preso otto milioni di voti.
E’ stata invece una cosa di cui andare orgogliosi scoprire che lo Stato di diritto non ci è cascato.
Altro che duro colpo all’Italia.
Dire che la sentenza di ieri è stato un duro colpo all’Italia è
proprio un effetto della subcultura berlusconiana: quella per cui
l’immagine del nostro Paese non era rovinata dalla mafia, ma dalle
inchieste che raccontavano cos’è la mafia e quali legami ha.
Ma soprattutto quella che quando il Caimano era a palazzo Chigi manganellava l’opposizione accusandola di essere «anti-italiana», parola che è stata un refrain dei suoi media per anni, ve lo ricordate?
Già, a danneggiare l’Italia allora non era un premier criminale, ma
chi lo contestava. Oggi, per il ‘Corriere’, non è chi viola la legge, ma
chi la fa rispettare.
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