Finalmente
una condanna definitiva: Berlusconi che ha pregiudicato l’Italia è a
sua volta un pregiudicato. Una bella soddisfazione anche se manca – come
del resto in molti avevano preconizzato – il detonatore per far saltare
le larghe intese, vale a dire una decisione definitiva
sull’interdizione dai pubblici uffici. In attesa di sapere quanti cazzi
di gradi di giudizio ci siano in questo Paese, si può però dire che è
comunque una vittoria, anche se arrivata dopo una dozzina d’anni
estenuanti e su una vicenda di sconcertante evidenza: se Berlusconi
fosse stato innocente sarebbe stato anche un truffato e avrebbe dovuto
fare causa a chi gonfiava i costi di Mediaset.
Ma insomma lasciamo perdere e lasciamo godere a Silvio i domiciliari
in qualche augusto palazzo o villa più grande di un villaggio vacanze e
con molti più animatori. Quello che dobbiamo domandarci è se questa
riconciliazione di una verità processuale con la realtà del
berlusconismo porterà a qualche sostanziale cambiamento. E purtroppo le
risposte sono tutt’altro che chiare, se non inquietanti. Certo la
sentenza non facilita la vita del governo, ma nemmeno la impedisce in un
Parlamento di nominati e ricattati con la poltrona, soprattutto non
pare che il progetto di stravolgimento in senso autoritario della
Costituzione sia destinato a subire un arresto, non comunque senza una
chiara ribellione dei cittadini.
Il segnale lo si è avuto subito dopo la notizia della condanna,
quando l’insonne uomo del Quirinale si è pronunciato. Dapprima
sorprendendo con l’assoluta originalità e pregnanza di un incipit in cui
dice che bisogna rispettare la magistratura. Diavolo di un presidente,
ma come se le inventa? Subito dopo però fa capire che la sgradevole
sentenza per il suo editore -mentore gli sta proprio sul gargarozzo e
annuncia che il Parlamento dovrà assolutamente occuparsi della riforma
della giustizia e che dovrà essere scardinata la Costituzione anche nel
titolo quarto ossia quello che si occupa del tema.
Come dire, in soldoni, che se anche la condanna è legittima alla luce
dell’attuale ordinamento, in futuro non si dovrà permettere che un
ricco tycoon, per giunta onorevole, rischi la galera. Alla fine questi
europeisti di diamante sono molto simili alla bigiotteria sudamericana.
Quindi riforma come vuole il Pdl. L’uscita è quanto mai opportuna per
comprendere la personalità da sempre modesta, ma da tempo anche
appannata di chi regge le fila della Repubblica. Uscirsene a pochi
minuti dalla sentenza della Cassazione con una dichiarazione in cui si
appoggiano le richieste del partito di Reo Silvio, non è solo segno di
un’ossessione patologica per i destini dell’inciucio, ma espressione di
aperta complicità col berlusconismo. Forse erano meglio le telefonate
segrete con Mancino, fossi nell’uomo del Colle comincerei a secretare
anche le pubbliche dichiarazioni.
Dunque una battaglia è stata vinta, ma non certo la guerra perché le
quinte colonne sono infilate nei muri e nelle colonne delle istituzioni,
come untori di una classe dirigente e di un modello di Italia che è
giunto al capolinea e comincia a divorare se stesso. Per questo non
bisogna affatto abbassare la guardia, ma anzi alzarla al massimo perché
proprio queste sono le situazione pericolose, non certo a causa del
gregge elettorale del berlusconismo, subalterno per definizione, ma a
causa del potere sclerotizzato che si difende. Continuiamo a firmare
contro i tentativi di scippo della Costituzione (qui), sapendo però che non basterà questo e che tutta una politica è da ricostruire e reinventare.
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