Se c’era qualche dubbio sul disorientamento che sta vivendo il Pd il
voto sulla presenza femminile «paritaria» nelle liste elettorali
lo ha sciolto. Un nutrito gruppo di parlamentari democratici si
è nascosto all’ombra del voto segreto non solo per bocciare la norma
50 e 50 per cento (tra donne e uomini), ma anche per sbarrare la strada
all’emendamento meno «disturbante», che stabiliva un minimo del 40
per cento di presenza sia per le donne che per gli uomini. È vero che
alla bocciatura hanno contribuito anche i parlamentari di Forza
Italia, ma è certo che se il Pd avesse votato compattamente la
seconda opzione avrebbe vinto.
Questo voto rappresenta un passo indietro per un partito
che ha costruito la sua storia anche difendendo i diritti delle
donne. Tuttavia è avvenuto qualcosa di più, perché si trattava di
bocciare una politica da sempre discriminatoria. E, ancora più
singolare, è la contraddizione con un governo formato
dall’assoluta parità numerica tra maschi e femmine. Non a caso Renzi
aveva dato parere neutrale su tutti gli emendamenti.
Cosa accadrà nel Pd nei prossimi giorni è facilmente intuibile,
perché il voto apre un solco culturale, oltre che politico, non
solo al proprio interno ma anche con potenziali alleati come Sel, che
hanno attaccato duramente chi ha voluto sottrarsi al voto palese.
E infatti per allontanare i sospetti numerosi parlamentari del Pd
di ambo i sessi hanno dichiarato espressamente il loro sostegno al
sub-emendamento.
Eppure non tutte le colpe vanno attribuite al partito di maggioranza.
Stupisce che il Movimento 5 Stelle non abbia voluto marcare una
presenza significativa in questa vicenda. Evidentemente per chi
è abituato ancora ad essere «nominato» è difficile fare delle scelte
in totale autonomia.
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