Sono stati spesi miliardi in Brasile per allestire il mondiale. Miliardi letteralmente strappati di bocca allo sterminato popolo delle favelas per accontentare i famelici squali degli appalti, miliardi senza un vero ritorno. E il risultato di tanti sforzi per coronare la gloria circense del gigante sudamericano, si è risolta in una disfatta senza uguali nella storia del pallone. Sarebbe da dire “ben gli sta” vedendo in campo 11 atleti contro 11 starlette appena uscite dal tatuatore o dal coiffeur che si aggiravano sul campo come turisti in una città sconosciuta. L’eccesso di investimento emotivo e finanziario anche a discapito dei più deboli, anzi nel tentativo di rabbonirli dando loro un falso orgoglio, dà come risultato l’indebolimento e la decadenza.
Ma mentre si consumava la goleada in Brasile, anche lo squadrone dei fanfaroni nazionali che tremare il mondo fa, subiva una cocente sconfitta alla faccia di ceti popolari ormai quasi tutti dentro il cerchio magico della povertà, della disoccupazione o della precarietà creativa come dicono le statistiche, peraltro anche edulcorate dell’Istat e le cifre dell’Inps sulla vergogna che è diventato il sistema pensionistico italiano. Renzi non ha fatto in tempo a dire- da Venezia, dov’è andato in gita di piacione politico – che la spesa pubblica per gli investimenti di alta tecnologia digitale, leggi banda larga, dovrebbe essere stralciata dai bilanci, che dall’Ecofin giunge uno stop senza rimedio: “Nessuna spesa può restare esclusa dal calcolo debitorio dello Stato”.
E’ quasi un autogol perché la riunione dell’Ecofin era presieduta dal ministro dell’economia Padoan e di tante promesse e vagheggiamenti sulla flessibilità, non è rimasto praticamente nulla: “niente spese e niente deroghe”. E per quanto i giornaloni abbiano fatto i salti mortali per non dare il senso della sconfitta, per salvare la figura del caro leader, la goleada c’è stata lo stesso, anche senza contare l’attacco speculativo sulle banche italiane che si è sviluppato sempre nella giornata di ieri. Appare sempre più chiaro che la narrazione complessiva prodotta dalle classi dirigenti, interessate alla propria sopravvivenza, non solo è fasulla, ingannevole, bugiarda, ma si svolge in uno scenario ormai ampiamente usurato.
Il problema non è più solo quello dei trattati come è divenuto chiaro non appena sono stati firmati, non consiste più nelle balle stratosferiche sulla precarietà espansiva, è un problema che ormai coinvolge il declino complessivo dell’Europa e dell’occidente. La famosa ripresa negli Usa non c’è stata, anzi si è rivelata una produzione statistica, dovuta al cambiamento dei parametri del Pil, come avverrà in Europa a settembre e nel contempo i Paesi forti del nostro continente, quelli stessi che presumibilmente si disputeranno il mondiale, appaiono in crisi: l’Olanda ha fatto uno scivolone sul Pil, mentre per il terzo mese consecutivo la produzione industriale tedesca è calata: non si tratta di oscillazioni, ma di nuovi assetti globali che si vanno creando e consolidando. L’idiozia europea di tenere bordone agli Usa nella vicenda Ucraina sta determinando cambiamenti profondi: Cina e Russia con le loro immense riserve di materie prime e di tecnologia si sono riavvicinate e stanno dando vita a un nuovo polo economico e strategico marginalizzando il nostro continente, nel momento stesso in cui attentano alla posizione del dollaro come moneta universale di scambio e di riserva. Senza tuttavia che questo favorisca l’euro che anzi perde sempre più terreno come divisa da tesaurizzare.
E tutto un mondo che si sta avviando al macero e nel quale comunque c’è molta meno disponibilità alle concessioni e alle strizzate d’occhio di quanta non ce ne potesse essere due anni fa o anche solo l’anno scorso. Le ricette si sono rivelate fallimentari e prodotte dai ciechi interessi della finanza, il cibo è velenoso e lo sconsiderato ingaggio geopolitico voluto dai dementi della commissione Ue, sta sfasciando ciò che resta: Austria e Slovenia, proprio nei giorni scorsi hanno firmato trattati per un nuovo gasdotto dalla Russia, alla faccia delle sanzioni, la Gran Bretagna minaccia un’uscita ormai praticamente certa, la Finlandia si sta sfilando, mentre la Merkel deve fare i conti con industriali furibondi per aver secondato Washington nei suoi giochi di guerra mettendo in pericolo l’export tedesco. Altro che carica prestigiosa per l’inesistente ministero degli esteri di Bruxelles: l’Europa è ormai divisa come non mai. E vi si intravede al fondo il liberi tutti che probabilmente comincerà dalla moneta unica, ormai insostenibile. Qualcosa che sta avvenendo nel peggiore e disastroso dei modi possibili.
A noi tocca il triste ruolo degli asini che vogliono fingersi primi della classe quando l’anno scolastico è alla fine.
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