Una leggenda si aggira per l’Italia: il nostro sarebbe un paese keynesiano.
1) Nel 1981 la Banca d’Italia e il
Tesoro “divorziano”. Lo Stato quindi rinuncia al controllo sui tassi di
interesse dei titoli e lascia crescente spazio nella loro determinazione
e nel finanziamento del debito pubblico ai mercati finanziari.
Risultato: il debito pubblico incomincia ad aumentare rapidamente. Keynes riteneva che lo stato dovesse controllare i tassi di interesse.
2) Durante gli anni ’80, al contrario di quel che quasi tutti credono,
la crescita della spesa primaria (cioè al netto degli interessi) si
arresta. Alla fine degli anni 80 tornano a salire le tasse …
… e a partire dai primi anni 90 l’Italia produce sistematicamente
avanzi primari fino ad oggi (con la sola eccezione del 2009, quindi
oltre 20 anni, a prescindere dal ciclo), mentre è in deficit
considerando la spesa per interessi. La conseguenza è che lo Stato
toglie risorse all’economia reale e le sposta verso la rendita mentre i
mercati stabiliscono i tassi di interesse. Keynes invece proponeva l’eutanasia del rentier. Siamo così bravi nei “sacrifici” da fare sfigurare anche i virtuosi tedeschi.
3) Negli anni 90 vengono privatizzate
tutte le banche pubbliche. Keynes invece parlava di una “socializzazione
di una certa ampiezza dell’investimento”. Al di là delle banche,
l’entità delle privatizzazioni è seconda solo alla Gran Bretagna della
Thatcher(*). Insieme ai “panettoni di stato” si privatizzano anche
imprese strategiche e relative reti (Telecom).
4) Soprattutto sotto i governi
Berlusconi si procede ad appiattire la curva delle aliquote fiscali,che
invece Keynes riteneva dovesse essere ripida per mantenere alta la
propensione al consumo.
5) Nel 1998 l’Italia aderisce all’euro,
una moneta unica basata sull’idea di una banca centrale indipendente
(secondo il postulato neoclassico delle “aspettative razionali”), un
bilancio pubblico molto piccolo e mai in disavanzo, nessun
riequilibratore automatico federale, nessun sistema che impedisca
sistematici deficit/surplus delle partite correnti e criteri
macroeconomici che limitano l’autonomia fiscale degli stati membri,
senza alcuna compensazione “federale”. Ovvero esattamente il contrario
delle prescrizioni keynesiane.
6) A partire dagli anni ’70 gli scambi
commerciali e i movimenti di capitale vengono liberalizzati senza alcun
meccanismo di riequilibrio. Cioè l’opposto di quanto Keynes propose a
Bretton Woods. Il mercato unico europeo è l’apoteosi di questa politica.
7) Con la cosiddetta “legge Draghi” si
procede alla liberalizzazione del sistema bancario abolendo la vecchia
legge bancaria, mentre (come sanno anche i sassi) il keynesismo
prescrive una forte regolamentazione delle banche (come con il
Glass-Steagall Act) e la “repressione” dei mercati finanziari.
8) Con la crisi dei debiti sovrani l’Italia decide di applicare un’austerità ancor più dura che nei 20 anni precedenti, tagliando la spesa
e aumentando le imposte nel tentativo di raggiungere il pareggio di
bilancio (inserito peraltro in Costituzione). Il risultato, come
prevedono i modelli keynesiani, è che il PIL si riduce più dell’aggiustamento fiscale, portando così a crescere il rapporto debito/PIL.
La sintesi è che abbiamo fatto l’esatto opposto di quanto prescrivevano Keynes e i Keynesiani.
Sostenere che siamo nei guai perché siamo stati “troppo keynesiani”
facendo deficit (in realtà accumulando avanzi sistematici) suona
piuttosto ironico.
_______
(*) UK: 13,4% del PIL periodo 1984-1996; ITA: 12,3% periodo
1992-2003. Alberto Quadrio Curzio ha calcolato una classifica differente
tenendo conto di periodi più estesi e senza rapportare al PIL: “Dal
1985 al 2012 l’Italia ha effettuato dismissioni (sia dello Stato che
degli Enti locali, sia parziali che totali) con introiti per 157
miliardi di euro correnti preceduta nella Ue25 (senza Bulgaria e
Romania) solo dalla Francia (174 miliardi) e seguita da Regno Unito e
Germania”. Il Sole 24 Ore: http://24o.it/CR3zQ
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