È sempre bello vedere un attore che riscrive la sua parte in
corso d'opera. Renzi aveva “giurato” - o qualcosa di simile – sul fatto
che oggi avrebbe presentato sia il jobs act che il decreto con cui
veniva tagliato del 10% il cuneo fiscale. E che il 27 aprile (data
simbolo della riscossione degli stipendi), “prima delle elezioni
europee”, i lavoratori dipendenti avrebbero trovato in busta paga la
differenza tra la vecchia tassazione e la nuova. Il “decreto” sul cuneo è
diventato insomma una “informativa”. La differenza è invisibile solo
per i leccalulo professionali, ovvero per gran parte della stampa
mainstream. La dichiarazione è ovviamente più vaga: «Oggi é stata
approvata la relazione del presidente del consiglio dei ministri che
individua il risparmio di 10 miliardi di euro per coloro i quali
prendono meno di 25mila euro l'anno, a partire dal primo di maggio»,
spiega in conferenza stampa. «Gli atti tecnici dal Def al Dl attuativo,
alle misure delle singole aziende che dovranno intervenire, saranno
realizzati da qui al 30 aprile del 2014».
Correzione in corsa, dunque: dal primo maggio, ovvero dal 27 maggio,
per quanto riguarda il “vedere” la differenza. Dopo le elezioni europee,
dunque; con ovvie conseguenze sui risultati elettorali del Pd, di cui
Renzi è anche segretario. Il passaggio a vuoto – determinato con tutta
evidenza dalle incertezze persistenti sulle “coperture” - potrebbe
perciò costargli qualche cosa più di quanto in questo momento non sembri
(o di quanto i media non vogliano far sembrare). Una brutta botta alle
elezioni incrinerebbe forse irreparabilmente la sua immagine di
inarrestabile “vincente”, di macchina schiacciasassi che travolge
“burocrazie, privilegi, resistenze”.
E non ci sono all'orizzonti credibili carte di riserva per la
boghesia mutinazionale che ha preso da un paio d'anni il controllo delle
leve del paese. A meno di non importare di nuovo un “tecnocrate” da
Bruxelles (operazione già tentata con Monti e brutalmente fallita),
quella borghesia “apolide” ha bisogno di una maschera italiana che
faccia accettare le “riforme strutturali”, sia economiche che
istituzionali. L'unico interesse della “politica” di palazzo sta
soltanto in questo. Un eventuale fallimento dell'attore fiorentino
aprirebbe un vuoto pericoloso, al momento riempibile solo con operazioni
brutali, poco “democratiche” e rischiose per la tenta della quasi
irreale “pace sociale” che ancora caratterizza il clima del paese.
In sintesi, Renzi ha fatto il suo show per illustrare un rinvio. Come
la logica dello show vuole, ha dovuto aumentare la parte “promesse” per
compensare l'allungamento dei tempi. E quindi dal primo maggio ci sarà –
dice – anche un taglio del 10% all'Irap (una delle tasse più odiate
dalle imprese, ma che finanzia la sanità pubblica) e un aumento della
tassazione delle rendite finanziarie; dal 20 al 26% (esclusi i Bot).
La promessa è quella di portare in busta paga, a chi prende meno di
1.500 euro netti mensili, altri 80 euro al mese. Se calcoliamo che gli
enti locali hanno giù deciso l'innalzamento dell'aliquota Irpef di loro
competenza – da questo mese – pari a una media di circa 100 euro annui,
vediamo che tra entrate e uscite i conti in busta paga si fanno
scabrosi. Perché tra 15 giorni, questo taglio secco al salario netto, lo
vedremo eccome...
La carta segreta sta tutta nell'azione di Carlo Cottarelli, il
commissario preso dal Fondo Monetario Internazionale per realizzare la spending review,
ovvero un taglio sostanzioso e possibilmente “mirato” della spesa
pubblica nazionale. Nell'immediato, ha spiegato in altra sede lo stesso
Cottarelli, non si portranno ricavare più di 3 miliardi (e questo
aiuterebbe a capire i problemi alla base del rinvio sul cuneo fiscale);
mentre “a regime” l'azione di forbice dovrebbe produrre “risparmi” per 7
miliardi quest'anno. Mentre per il 2016 si “stima” che potrebbero
assommare a 35 miliardi, agendo con «iniziative sui beni e servizi,
sulla pubblicazione telematica degli appalti pubblici, sulle consulenze e
auto blu.
Il “jobs act” resta un cantiere aperto, a sua volta rinviato. Si
parla ora di un disegno di legge delega «per riorganizzare l'intero
sistema del lavoro. Ma un dld è molto più lento di un decreto; ma
soprattutto è un testo che deve passare al vaglio del Parlamento, dove
Renzi non potrà sempre contare sui voti a favore provenienti dai
berlusconiani, come sulla “riforma della legge elettorale”.
A chiacchiere, nel disgno di legge delega, c'è tanta roba. Ma tutto
in forma decisamente vaga: l'assegno universale di disoccupazione (ma la
scomparsa della cassa integrazione, meno che della sua forma
“ordinaria”, legata a catastrofi naturali o altri eventi “eccezionali”),
il salario minimo (su cui la Cgil camussiana minaccia mugugni), la
tutela per le donne in maternità... In pratica, un altro ddl che
dovrebbe fornire al governo la delega per riforma degli ammortizzatori
sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, oltre al
riordino dei rapporti di lavoro e alla “conciliazione” (la formula con
cui i contenziosi tra lavoratori e azienda, invece di finire davanti al
giudice del lavro, possono essere “risolti” con un arbitrato in cui il
dipendente è solo contro il prepotere dell'azienda e eventuali
“sindacati complici”).
C'è però anche una promessa di precarizzazione di lungo periodo. I
contratti a termine e l'apprendistato verranno rivisti con un decreto,
spiega l'attore: «Con il decreto attuiamo una semplificazione rispetto a
due strumenti della Fornero che vengono non dico smontati ma molto
semplificati. Il contratto a termine potrà valere al massimo per 3 anni,
applicabile senza causale, con il limite del 20% massimo sul totale dei
lavoratori. E poi l'apprendistato: doveva essere agevolato, è stato
reso più difficile, lo semplifichiamo». In pratica un regalo alle
imprese, che non dovranno più “inventarsi” una ragione plausibile per
tenere precario un dipendente per tre ani consecutivi. Da sottolineare
che nemmeno una parola è stata detta sulla prorogabilità o meno di tale
contratto.
«Dal primo di maggio ci sarà anche un'operazione sull'Irap che si
finanzia con l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, non
si toccano i titoli di Stato, ma la tassazione sulle rendite finanziarie
passerà dal 20 al 26% per 2,6 miliardi e si riduce l'Irap del 10% alle
aziende private per 2,4 miliardi». Un altro regalo alle imprese, per cui
– giura – c'è una totale copertura finanziaria. Così come lo è la
diminuzione della bolletta energetica per le piccole e medie imprese,
che dal primo maggio 2014 calerà del 10%.
Visto che c'era, ha rinverdito la promessa di pagare i debiti
arretrati della Pubblica amministrazione: «Ventidue miliardi sono stati
già pagati dai governi precedenti», «entro luglio lo sblocco degli altri
68 miliardi».
Con un disprezzo totale della prassi costituzionale, è stato infine presentato un ddl per la riforma del Senato. Bontà sua, o a causa dell'immaginabile insurrezione anche all'interno del Pd, sotto forma di “avvio di un percorso di confronto politico sul tema”.
Con un disprezzo totale della prassi costituzionale, è stato infine presentato un ddl per la riforma del Senato. Bontà sua, o a causa dell'immaginabile insurrezione anche all'interno del Pd, sotto forma di “avvio di un percorso di confronto politico sul tema”.
Rinvii, promesse, piglio paraculo e decisionista. Molte chiacchiere e tanto distintivo...
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